Nel ghetto della cronaca

L’immigrazione sui mass media italiani

Quale immagine dell’immigrato viene data dai media italiani? Che linguaggio si utilizza?
Quali situazioni vengono descritte? In Italia i professionisti dell’informazione
sono generalmente succubi degli stereotipi e lontani da quella funzione civile ed educativa
a cui il giornalismo dovrebbe mirare.

Sui mass media italiani l’immigrazione – e con essa la diversità religiosa e culturale – è vista come un problema. La si associa a illegalità, devianza, criminalità o comunque a disagio sociale sia per i protagonisti dei fatti raccontati (i soggetti immigrati, trattati come autori di atti o, meno spesso, come vittime), sia per i cittadini italiani (costretti a «subire» le conseguenze dell’immigrazione). Le fonti che trattano dell’immigrazione, che producono quindi fatti «notiziabili» (neologismo giornalistico, ndr), sono soprattutto quelle istituzionali: forze dell’ordine, magistratura e, quando si tratta di esprimere commenti, classe politica. Gli elementi, le occasioni che rendono gli immigrati soggetti meritevoli di essere rappresentati sulle pagine dei giornali, nei notiziari radiofonici, in Tv o sui siti Web informativi sono gli «sbarchi dei clandestini», le azioni delittuose, i problemi sociali (inserimento sociale difficoltoso, abitazione, credenze religiose), talvolta il lavoro; quasi sempre situazioni, fatti, eventi e casi che creano problemi alla collettività. Se il soggetto immigrato non è un problema – possiamo affermare sulla base delle ricerche – non è «notiziabile», ovvero non interessa ai media.

Il giornalista seduto
L’immagine del singolo soggetto immigrato tratteggiata dai mass media è quella dell’irregolare, del «clandestino», del criminale, di colui/colei che causa insicurezza, ansia, tensione e conflitto. Molto spesso è di sesso maschile; e talvolta è una vittima, ma comunque una vittima che dà problemi. Il taglio giornalistico dato all’informazione sui cittadini stranieri che vivono in Italia è soprattutto quello delle brevi notizie e degli articoli di cronaca. I cittadini immigrati sono «confinati dentro il ghetto della cronaca», per usare un’espressione della ricerca del Censis del 2002 Tuning into diversità, sull’immagine dell’immigrazione nella stampa italiana. I media offrono notizie e articoli senza scavo, senza approfondimento, senza problematizzazione, senza inchiesta, senza indagine, insomma senza ciò che fa del giornalismo una delle professioni più nobili e affascinanti. Le notizie e gli articoli sull’immigrazione nascono, si alimentano di particolari e sono scritti soprattutto al «desk», alla scrivania del giornalista, nel chiuso della redazione, alla stretta dipendenza delle fonti (carabinieri e polizia soprattutto); fonti dalle quali i giornali mutuano il linguaggio.
Il linguaggio con cui sono rappresentati l’immigrazione e i suoi protagonisti impiega il «lessico dell’estraneità»: extracomunitario, straniero, immigrato; oppure albanese, romeno, marocchino, nomade. Si tratta di un linguaggio il quale definisce la persona che «viene da fuori» e continua a restare fuori della comunità. All’estraneità viene associata l’aggressività, la criminalità, l’illegalità, l’irregolarità, caratteristiche – anche queste – che sono fuori di qualche cosa (della calma, dell’ordinario, della legge, delle regole). Quando l’estraneo è una vittima, entra in campo il linguaggio della compassione, della lacrima, dell’intenerimento temporaneo.

Che giornalismo vogliamo?
Lo «straniero» rappresentato dai giornali è afono, senza voce o (quando va bene) con una voce flebile. Non viene mai intervistato, ascoltato; non ha quasi mai diritto di parola o di scrittura, pur in presenza di un giornalismo che ricorre sempre più alla narrazione e alle dichiarazioni – messe fra virgolette – dei protagonisti dei fatti. Senza voce e senza diritto di parola, l’immigrazione sembra non avere neppure una cultura meritevole di essere narrata, se si escludono i casi considerati «curiosi» o le occasioni in cui pratiche diverse (ad esempio, la macellazione degli animali fatta da persone di religione musulmana) sono viste con sospetto o denunciate come fuori della norma.
Quanto sia importante comprendere a fondo – in un quadro pedagogico-interculturale – la produzione giornalistica italiana sull’immigrazione, è Luigi Secco a sottolinearlo. In un suo fondamentale testo sulla pedagogia interculturale, il pedagogista scrive: «La situazione interculturale, in cui si trovano soggetti di diversa provenienza, non può essere risolta dalla scuola da sola. La scuola è sempre un istituto entro la collettività. Lo scolaro passa a scuola un certo numero di ore della giornata; il resto del tempo lo passa in famiglia, nei club di vario genere, sulla strada, ecc. Entra allora urgente e cogente il tema della società educante nel senso più ampio del termine».
La trasformazione sociale della nostra società – con 3 milioni di cittadini stranieri che sono parte attiva del tessuto economico-produttivo ma anche della convivenza civile – richiede un giornalismo all’altezza; capace di leggere, interpretare e offrire ai lettori la «nuova Italia» multiculturale che è sotto i nostri occhi tutti i giorni, nelle città più grandi e nei piccoli paesi di provincia. Un giornalismo che sia consapevole del proprio ruolo civile ed educativo.

Raccontare le diversità
oltre stereotipi e pregiudizi
Un cambio delle routines redazionali, una diversa organizzazione del lavoro giornalistico con il superamento del fenomeno della «deskizzazione» (lavoro giornalistico svolto stando alla scrivania, ndr), l’impiego di un nuovo linguaggio, la formazione e l’aggioamento dei giornalisti: sono queste alcune delle azioni da compiersi per arrivare ad una stampa «diversa» che sia in grado di raccontare la diversità e l’Italia multiculturale; per un giornalismo che sia «interculturale». Sono gli «uomini macchina» – i giornalisti che lavorano alla scrivania – ad avere una visione meno sensibile, più stereotipata dell’immigrazione.  La routine uccide la professionalità: il ricorso al «formato breve» della notizia, il lavoro al desk che costringe il giornalista a guardare il mondo con una specie di cannocchiale rovesciato che allontana gli eventi, il distacco dalla realtà aggravato dall’abuso di stereotipi linguistici, la perdita di spessore dell’identità giornalistica, portano ad una perdita di credibilità della professione. D’altra parte, il compito primario dei media è di restituire ai lettori una realtà che soddisfi la loro richiesta di comprensione dei fatti che accadono nel mondo e che formi la loro coscienza critica.
Il giornalismo interculturale raccoglie la sfida educativa e – anziché presentare il fenomeno immigrazione con toni negativi, caratterizzandolo come invasione, emergenza, minaccia – cerca di cogliere, di comprendere e di presentare le opportunità, i vantaggi, gli arricchimenti che derivano dalla situazione multiculturale.
Il giornalismo interculturale è quindi disponibilità alla ricerca e al cambiamento, per offrire a lettori assetati di conoscenza le basi per capire la nuova realtà e per interagire con essa. Esso punta all’approfondimento, alla ricerca, all’indagine, al dibattito civile, alla promozione culturale per offrire una rappresentazione del fenomeno immigrazione e dei suoi protagonisti libera da generalizzazioni, stereotipi, pregiudizi e che eviti così ogni forma di discriminazione. Il giornalista interculturale deve dare prova di preparazione professionale e di responsabilità civile, sviluppando attenzione e consapevolezza per il contesto multiculturale in cui si trova a lavorare; considerando la differenza come un bene da tutelare e mettendo in atto un’autentica comprensione di fenomeni, problemi, persone, popoli appartenenti a culture diverse dalla propria.
Si tratta di una professionalità consapevole e rispettosa della diversità etnica; di una professionalità che comprende sia competenze tecniche, sia conoscenze specifiche e inoltre una particolare impostazione mentale aperta al dialogo, al confronto, allo scambio. È così che i mass media possono indirizzare in modo positivo, costruttivo e creativo, opinioni e sentimenti dei lettori verso l’«Altro», il «diverso» e favorire un processo di conoscenza, integrazione e arricchimento reciproco fra persone portatrici di usi, costumi, lingue, tradizioni, religioni e valori differenti.
L’informazione è invece la risorsa basilare per assicurare a ciascuno una prima forma di inclusione sociale. Essa può essere considerata il primo elemento di cittadinanza. I mezzi di comunicazione di massa, grazie alla loro pervasiva presenza nella odiea società globalizzata e al loro ruolo di «scuola parallela», assumono un’importanza fondamentale nell’attuale contesto pluriculturale e multietnico, in quanto possono sia favorire l’inserimento dei cittadini immigrati, sia educare i cittadini autoctoni a dialogare e a comprendere le culture «altre». Ecco che il giornalismo interculturale si impegna a valorizzare la presenza immigrata come risorsa per la società di accoglienza, favorendo la conoscenza, l’accettazione reciproca, l’integrazione e lo scambio fra culture diverse: obiettivi raggiungibili se si seguono i principi fondanti e le indicazioni della Pedagogia interculturale, ben espressi dai testi del pedagogista Agostino Portera; se si acquisisce un nuovo atteggiamento  culturale basato sul rispetto, sull’accoglienza, sul dialogo. Non dobbiamo dimenticare, poi, che nei mass media aperti all’intercultura i cittadini di origine straniera possono trovare una forma positiva di rispecchiamento; una ragione in più per amare la nuova patria dove vivono, per sentirsene parte attiva e costruttiva.

Un nuovo giornalismo
per una società più giusta
Vi è, inoltre, un aspetto di «giustizia sociale» nell’azione del giornalismo interculturale. Come sottolinea Nobre Correia (in Problemi dell’informazione n. 4,  anno 2005), ci avviamo verso una società duale anche in campo mass-mediale: da una parte la grande maggioranza della popolazione che fruirà di mass media gratuiti, fornitori di emozione e intrattenimento senza informazione aggiornata e di spessore su quanto accade nel mondo; dall’altra parte un’élite in grado di pagare per avere un’informazione che foisca gli strumenti per affrontare le difficoltà della vita e per conservare una posizione di privilegio nella società. Solo un giornalismo «diverso», che non si rassegni alla profezia della sua «morte annunciata», può lavorare per una società che non sia così ingiusta; e può affermare di non volersi arrendere alla discriminazione, allo sfruttamento, all’imbonimento ai danni di chi non ha potere economico e politico per alzare la voce e pretendere condizioni di vita e di comunicazione democratici ed eguali per tutti.
Visione critica del mestiere di giornalista (ma anche del mestiere di autore di fiction e prodotti multimediali), rigore professionale, uso riflessivo della tecnica giornalistica, rispetto dei codici deontologici e sensibilità umana: sono questi i pilastri del giornalismo interculturale. Su questo fronte si gioca la battaglia per avere professionisti dell’informazione – già in servizio o in procinto di entrarvi – capaci di cogliere le sfide di una società pluralistica, complessa, multiculturale e multireligiosa. In questo ambito si pone l’aver avviato, due anni fa,  all’Università degli studi di Verona – grazie al Centro studi interculturali (vedere riquadro) – un insegnamento di giornalismo interculturale che è una novità nel panorama della formazione universitaria. Perché la sfida è quella di avere giornalisti e comunicatori in grado di rispondere in modo adeguato alla sfida – affascinante e inquietante – che la società multietnica ci pone di fronte. 

Maurizio Corte*

(*) Maurizio Corte è professore a contratto all’Università degli studi di Verona, dove insegna comunicazione interculturale e giornalismo interculturale. Collabora da anni al Centro studi interculturali dell’ateneo veronese. Gioalista professionista, lavora al quotidiano L’Arena di Verona. Ha pubblicato «Stranieri e mass media. Stampa, immigrazione e pedagogia interculturale» (Cedam, Padova 2002) e «Comunicazione e giornalismo interculturale. Pedagogia e ruolo dei mass media in una società pluralistica» (Cedam, Padova 2006).

ll’Università di Verona
Un altro giornalismo è possible

La ricerca sulla rappresentazione dell’immigrazione nei media – affidata a Maurizio Corte – è solo una delle attività svolte dal Centro studi interculturali (Csi) dell’Università degli Studi di Verona, diretto da Agostino Portera, direttore del Dipartimento di Scienze dell’educazione della Facoltà di scienze della formazione e professore ordinario di pedagogia e di pedagogia Interculturale. Il Csi, infatti, promuove e realizza supporti scientifici, culturali e strumenti metodologico-didattici nel campo dell’educazione e dell’istruzione in una società pluralistica e multiculturale. Fra i suoi obiettivi vi sono quelli dell’educazione, dell’istruzione, della consulenza, della ricerca e dell’alta formazione interculturale, in ambito scolastico e dell’extrascuola.
Il Csi collabora con enti, istituzioni, associazioni (pubbliche e private, nazionali e inteazionali), con singoli professionisti accreditati e con istituzioni universitarie italiane e straniere. Il direttore del Centro studi interculturali, Agostino Portera, è membro dell’esecutivo dell’Iaie (Intercultural association for intercultural education) ed è il direttore di due Master promossi e organizzati dal Csi: il Master, con formazione a distanza in «Comunicazione interculturale e gestione dei conflitti» e il Master Fse, con didattica in presenza, in «Comunicazione interculturale nelle organizzazioni e nelle relazioni inteazionali». Entrambi i Master sono proposti anche nell’anno accademico 2006-2007 e si inizieranno a primavera di quest’anno: le informazioni sono reperibili sul sito del Csi. Fra i membri del comitato scientifico dei Master tre studiosi di livello internazionale: Donata Gottardi, professore ordinario di diritto del lavoro, Nicola Sartor, professore ordinario di scienza delle finanze, e Luigi Secco, pedagogista e professore emerito di pedagogia.
«Miriamo allo studio e alla ricerca, nonché alla qualificazione dei percorsi scolastici ed extrascolastici, agli interventi educativi, di consulenza psicopedagogica, di formazione e di specializzazione professionale, così come delle politiche di intervento nel settore interculturale», spiega Portera. «In questo modo, il Csi si propone a livello locale, nazionale ed internazionale, come una struttura che svolge servizi ed attività rivolti a ricercatori e studiosi nel settore della pedagogia interculturale; a educatori ed operatori impegnati nel settore; agli insegnanti; ai giovani laureandi e ai laureati; a professionisti».
Ogni anno il Centro studi interculturali organizza convegni di livello internazionale. Sia l’attività convegnistica che quella di ricerca trovano poi espressione nella pubblicazione di testi scientifici a disposizione della comunità degli studiosi e introdotti nei corsi di pedagogia, di pedagogia interculturale, di comunicazione interculturale e di giornalismo interculturale proposti dall’Università degli studi di Verona. L’ateneo veronese è il primo in Italia ad avere un insegnamento pedagogico di giornalismo interculturale nell’ambito dei due Master organizzati dal Csi e del corso di laurea specialistica in giornalismo della Facoltà di lettere e filosofia.

Centro studi interculturali
Dipartimento di Scienze dell’educazione
Facoltà di Scienze della formazione
Università degli studi di Verona
via Vipacco 22
37129 Verona

Telefono / E-mail / Sito Web:
045.8028147 (dal martedì al giovedì, ore 9.30-13.00)
csi.intercultura@univr.it
http://fermi.univr.it/csint.

Testi di riferimento:
Maurizio Corte
Comunicazione e giornalismo interculturale. Pedagogia e ruolo dei mass media in una società pluralistica
Cedam, Padova 2006

Maurizio Corte
Stranieri e mass media. Stampa, immigrazione e pedagogia interculturale
Cedam, Padova 2002

Agostino Portera
Globalizzazione e pedagogia interculturale
Edizioni Erickson, Trento 2006

L’annuale dossie della Caritas
Avanza l’Italia multietnica

Con 300.000 nuovi immigrati (regolari) all’anno  il nostro paese si sta trasformando. Anche se 4 italiani su 10 li considerano dei criminali.

Qual è la situazione «reale» dell’immigrazione in Italia? La grande stampa italiana – sempre puntuale nel denunciare reati e crimini commessi da persone di origine straniera – ne ha parlato poco e male quando, lo scorso ottobre, si è trattato di presentare i dati del Dossier Caritas-Migrantes sui migranti in Italia, giunto alla sedicesima edizione («Al di là dell’alternanza»). Eppure si tratta di numeri che interessano cittadini, educatori, operatori sociali, imprenditori e professionisti dell’informazione e della comunicazione. Infatti, senza cittadini immigrati la situazione economica e sociale italiana sarebbe destinata al disastro: fra 15 anni, i lavoratori italiani giovani (entro i 44 anni) saranno diminuiti di 4.500.000. E senza persone di origine straniera, nel 2050 l’Europa, vedrebbe diminuire di 7 milioni la popolazione nel suo complesso e di 52 milioni la parte di popolazione in età da lavoro. 
Con un ritmo di 300 mila nuovi ingressi regolari l’anno, rivela lo studio della Caritas, l’Italia è sempre più multietnica. Il nostro paese supera, in percentuale, gli ingressi di immigrati regolari negli Stati Uniti. Gli attuali 3.035.000 regolari (l’incidenza con la popolazione italiana è del 5,2%) – stimati a fine 2005 – sono destinati a diventare entro 10 anni il doppio, oltre 6 milioni (10%). È lo scenario che emerge dal Dossier 2006.

Quanti sono? – Nel nostro paese c’è un immigrato ogni 20 italiani. L’Italia, che a fine 2005 conta così tanti immigrati quanti più o meno sono gli emigrati nazionali all’estero (3.150.000) si colloca al terzo posto in Europa per numero di immigrati regolari, dopo la Germania (7.287.980) e la Spagna (3.371.394).
Ogni 10 stranieri, 5 sono europei, 2 africani, 2 asiatici e 1 americano. Dall’Europa, spiccano in primo luogo i cittadini albanesi e gli ucraini mentre dall’Africa, i cittadini marocchini.
Nel 2005 sono nati 52 mila bambini da genitori stranieri ed hanno inciso per il 9,4% sulle nuove nascite. Le donne straniere hanno una percentuale di divorzio superiore alle italiane: 2,5% contro l’1,7%. Il 50,1% dei migranti che vivono in Italia è uomo, il 49,9% è donna. Per il 70% (contro il 47,5% degli italiani) si concentrano nella fascia di età 15-44 anni.
La Lombardia conta la maggior presenza di persone di origine straniera: ospita quasi un quarto del numero complessivo di cittadini immigrati. Roma e Milano detengono, rispettivamente l’11,4% e il 10,9% della popolazione straniera. Al Nord si trova il 59,2% degli stranieri, al centro il 27% e nel meridione il 13,5%.
Un occupato ogni 10 è straniero. Ogni anno si inseriscono nel mondo del lavoro quasi 200 mila immigrati. Lo scorso anno sono stati 727.582 i nuovi assunti su complessivi 4.559.952. I settori maggiormente coinvolti: collaborazione familiare, servizi di pulizia, edilizia e agricoltura. Sono 130.969 i cittadini stranieri titolari d’azienda, con un aumento del 38%.

A quale religione appartengono? – Il 49,1% dei cittadini immigrati sono cristiani (circa un milione e mezzo), il 33,2% sono musulmani (circa un milione), il 4,4% è legato a religioni orientali. In 5 anni sono raddoppiati i minori di nazionalità straniera: sono 586 mila, pari ad 1/5 della popolazione straniera, un’incidenza superiore a quella degli italiani. Il 56% è nato in Italia.

Quanti delinquenti? – Quattro italiani su 10 pensano che i migranti siano criminali. Non è vero, dice il Dossier della Caritas. Dati del ministero dell’interno dicono che i denunciati per qualche reato coinvolgono gli immigrati solo nel 10% dei casi, la metà di quella degli italiani.
Otto cittadini immigrati su dieci dicono di aver migliorato la loro vita in Italia. Il 91% ha il cellulare, l’80% possiede il televisore, il 75% invia rimesse in patria, il 60% possiede un conto in banca, il 55% ha un’auto, il 22% un computer. Circa il 20% è proprietario della casa.
Nel 2005 l’efficacia degli allontanamenti dalle frontiere italiane è stata una delle «più basse degli ultimi anni». Le persone effettivamente rimpatriate sono state il 45,3% di quelle che hanno ottenuto il provvedimento di allontanamento, contro il 56,8% dell’anno precedente.

Maurizio Corte

Sfogliando s’impara

Dal quotidiano «Libero»:

«Dialogo a senso unico
Sui banchi di scuola si studia l’islam. Grazie alla Cattolica»

«Per promuovere il dialogo tra le culture, all’Università cattolica del Sacro Cuore si sono convinti che, nelle scuole italiane, non si debba più insegnare la lingua di Dante, ma l’arabo. Lo strano metodo pedagogico per facilitare l’integrazione degli exracomunitari è stato  ideato dal Laboratorio interculturale e promosso, oltre che dalla Cattolica, dall’Ufficio Scolastico Regionale e sostenuto finanziariamente con il contributo della Fondazione Cariplo. (…)
In Largo Gemelli, a due passi dalla Basilica di Sant’Ambrogio, in effetti, di sostanza ce n’è in abbondanza da suggerire di mutare il nome dell’istituzione in Ateneo islamico della Mezzaluna. In attesa che un mullah rimpiazzi il Magnifico Rettore».
Andrea Morigi
(Libero, martedì 21 novembre 2006, pag. 48)

Dal quotidiano «la Stampa»:

«Una coppia di tossici terrorizza una famiglia
I domestici romeni la liberano e bloccano i rapinatori»

«Ancora violenza. Stavolta in una brutale rapina consumatasi in una palazzina fra i prati di Pino Torinese. Autori una coppia di italiani che hanno colpito e immobilizzato una ragazzina di 15 anni, prima di essere bloccati dal generoso intervento dei custodi, una coppia di romeni. (…)
Carlotta s’è messa ad urlare e l’hanno sentita i custodi romeni, che vivono in un alloggio adiacente, Elena e Vasile Zaharia, 45 e 48 anni, entrambi originari di Bacau, sono subito intervenuti.  (…) Il malvivente ha fracassato alcune suppellettili e con la gamba di un tavolo ha colpito Vasile al collo e in faccia, poi ha sferrato un calcio alla moglie, Elena. La lotta è durata alcuni minuti: alla fine, la coppia romena è riuscita ad immobilizzare l’energumeno (…)».
Angelo Conti
(la Stampa, domenica 26 novembre 2006, pag. 65)

Maurizio Corte

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