Europa e migranti. Le quattro forme di violenza

La violenza connaturata alle politiche migratorie Ue

Marcia di commemorazione dei sopravvissuti alla tragedia dei barconi di migranti del 3 ottobre 2013.
Unione europea
Aurora Guainazzi

 

«Non pensavamo di dover continuare a fuggire anche una volta giunti in Europa», dice un migrante agli operatori di Medici senza frontiere (Msf) a Ventimiglia, al confine con la Francia.

Sono parole contenute nell’ultimo rapporto di Msf, Morte e disperazione. Il costo umano delle politiche migratorie dell’UE, uscito a febbraio 2024 per denunciare quanto le politiche europee su migrazione e asilo generino diverse forme di violenza sulle persone.

Una conclusione a cui Msf è giunta grazie a testimonianze raccolte tra i beneficiari di dodici dei suoi progetti in Paesi europei (come Italia, Grecia e Polonia) ed extraeuropei (come Libia, Niger e Serbia).

Dal momento della partenza dai Paesi di origine a quello dell’ingresso nell’Ue, e anche dopo, salute, benessere psicofisico e dignità dei migranti sono messi a repentaglio.

In particolare, l’organizzazione umanitaria individua quattro fasi del percorso migratorio nelle quali la violenza diventa esplicita: la prima è l’intrappolamento nei paesi con i quali l’Ue ha preso accordi di contenimento; la seconda è l’assenza di assistenza e la violenza sui confini; la terza è la detenzione in condizioni spesso degradanti all’interno dei confini dell’Ue; la quarta è l’insicurezza sistematica, l’esclusione e l’indigenza sperimentate nei Paesi di approdo.

Intrappolati nei Paesi extra Ue

Accordi di cooperazione tra Ue e Paesi extra Ue (ad esempio, Libia, Tunisia e Serbia), da cui spesso i migranti transitano per compiere l’ultimo tratto di viaggio, permettono a Bruxelles di esternalizzare le proprie frontiere, intrappolando le persone in Stati non sicuri, dove le condizioni di vita sono difficili e le violenze quotidiane.

La Libia è l’esempio per eccellenza di questa prima forma di violenza fisica e psicologica sui migranti. Tra il 2016 e il 2022, la quantità di persone che dopo aver tentato di lasciare il Paese nordafricano vi sono state riportate a forza è cresciuta fino alla metà del totale delle partenze. Nei primi otto mesi del 2023, più di 11mila persone sono state intercettate e respinte in Libia. Dietro a questo incremento si nascondono i cospicui finanziamenti di Ue e governo italiano per rafforzare la capacità libica di controllare i propri confini.

Muri, barriere, assenza di soccorsi

Nonostante questo, i flussi verso l’Europa continuano. Ed è a questo punto che i migranti si scontrano con una seconda tipologia di violenza. Muri e barriere, dotati delle più moderne tecnologie di sorveglianza, costellano i confini esterni dell’Ue e testimoniano la brutalità dell’approccio securitario europeo alle migrazioni.

Ad esempio, lungo il confine tra Polonia e Bielorussia corre una barriera di filo spinato alta 5,5 metri. Questa crea quella che viene chiamata la «zona della morte»: una terra di nessuno tra i due Paesi alla quale le organizzazioni umanitarie non possono accedere e dove i migranti – esposti alle intemperie e oggetto di violenze e umiliazioni da parte della polizia polacca di frontiera – si trovano bloccati.

Ma non sono solo muri e barriere a tenere fuori i migranti dell’Ue. Anche la decisione, sempre più frequente, dei Centri maltese e italiano per il coordinamento dei salvataggi in mare di ignorare la presenza di barche in difficoltà nelle proprie aree di competenza costituisce una forma di violenza psicofisica sui migranti. Questo mentre le organizzazioni umanitarie che cercano di supplire alla mancanza di operazioni di salvataggio sono criminalizzate e le loro attività osteggiate.

Detenzioni

Giunti nell’Ue, i migranti si scontrano con una terza forma di violenza, la detenzione. Molti si trovano a vivere in strutture di accoglienza che di accogliente hanno ben poco.

Sono gli hotspot, introdotti in Italia e Grecia per velocizzare le operazioni di identificazione dei migranti ed eventuali processi di rimpatrio. Luoghi dove le persone sperimentano privazioni e restrizione di diritti e libertà. Questo genera in loro un senso di coercizione che aumenta le sofferenze fisiche e psicologiche già accumulate durante il viaggio.

Marginalizzazione

Infine, a testimonianza di quanto la violenza sia connaturata alle politiche migratorie europee, in diversi Paesi si verificano forme di rifiuto ed esclusione che impediscono ad adulti e bambini di accedere al sistema di accoglienza. In questo modo, i migranti sono forzati a vivere nella precarietà e non beneficiano, ad esempio, di un’abitazione o di assistenza sanitaria di base.

In più alcuni Paesi destinatari di movimenti secondari, come la Francia, ostacolano i flussi: per i migranti, superare il confine italo-francese a Ventimiglia è diventato molto difficile a causa del ripristino dei controlli alla frontiera.

Violenza connaturata alle politiche Ue

Quelle descritte dal rapporto di Medici senza frontiere sono quattro forme di violenza che generano un costo umano enorme. L’organizzazione umanitaria, infatti, riscontra tra i migranti, oltre a problemi fisici come malnutrizione, disidratazione, malattie della pelle e dell’apparato gastrointestinale, anche un’allarmante crescita di disturbi psicologici: disturbi del sonno, ansia, stato di allerta costante e flashback ricorrenti di momenti traumatici.

Nonostante l’evidenza dei dati, le politiche e le pratiche dell’Ue sulle migrazioni sono state confermate e normalizzate nell’ultima versione del Patto europeo su migrazioni e asilo del dicembre 2023. Lo scopo rimane quello di contenere i flussi, senza considerare però l’impatto su coloro che quei flussi li compongono: persone.

Aurora Guainazzi

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