HARRIS: UN PROFETA… SPECIALE

Aveva quasi 50 anni William Wade Harris quando si affacciò
sul litorale della Costa d’Avorio. Era nato nel 1865
nel sud est della Liberia, da etnia grebo, gruppo kru. Predicatore
e responsabile della chiesa metodista di Cape Palmas,
conosceva la bibbia a menadito. Nel 1910 fu imprigionato
per motivi politici. Un’esperienza mistica decise la sua vocazione
profetica: si impegnò di portare il vangelo ai suoi
fratelli.
Nell’estate del 1913 varcò la frontiera della Costa d’Avorio
e cominciò a predicare lungo il litorale, fino alla Costa
d’Oro (Ghana), finché nell’aprile del 1915, scambiato per
un agitatore politico, fu espulso dal governo coloniale
francese.
Alto e corpulento, sguardo vivo e parlantina affascinante,
turbante bianco, tunica candida e fascia nera incrociata sul
petto, un bastone di bambù a forma di croce, la bibbia sfogliata
senza sosta, una zucca piena di semi per ritmare i
canti e una ciotola per battezzare, Harris predicava con impero
e tono dei profeti dell’Antico Testamento.
Anche il suo messaggio era basato sull’antica alleanza: unicità
di Dio, decalogo, lotta all’idolatria. Insisteva sulla necessità
d’imparare a leggere, per conoscere la parola di Dio,
scritta nel libro che sfogliava davanti agli occhi della gente.
Parlava pure del Dio d’amore, che ha mandato il figlio Gesù
Cristo a salvare il mondo, spiegando il significato della croce
che reggeva in mano. Se qualcuno la mirava con lo stesso
terrore e passione con cui si guarda un feticcio, la spezzava
e ne costruiva un’altra, per dimostrare che non era
un talismano, ma un simbolo del peccato umano e dell’amore
divino.
Contro idoli e superstizioni era più focoso del profeta
Elia. Predicava per tre giorni in una località,
concludendo il suo lavoro con un grande
falò, dove i feticci venivano bruciati, e con
il battesimo dei nuovi adepti. Si dice che
abbia personalmente amministrato più di
100 mila battesimi. Una volta, vicino ad
Abidjan, c’era tanta folla che il profeta si
sentì perduto: fece inginocchiare tutti e,
mentre la pioggia inzuppava le loro teste,
pronunciò la formula del battesimo.
Si raccontano pure di malati guariti e paralitici
tornati a camminare. «Dio è grande!
» esclamava con semplicità a ogni fatto
portentoso. Nessuno mai gridò al miracolo.
Harris non voleva attirare l’attenzione sulla
sua persona, tanto meno fondare una nuova
religione. Come il gallo annuncia l’aurora, diceva,
lui annunciava la venuta dei «bianchi
con il libro», i missionari che un giorno avrebbero
portato quella parola di cui egli
era primo testimone.
In ogni gruppo convertito, Harris lasciava
dei predicatori, incaricati della vita
spirituale e del culto, «apostoli», responsabili
dell’organizzazione e condotta morale
della comunità, e un «Pietro», come punto di
riferimento. E raccomandava di attendere i
missionari, riconoscibili dal libro sacro.
Di fatto, la maggior parte dei seguaci di Harris entrarono
nella chiesa cattolica e, soprattutto, protestante. Ma i seguaci
più ferventi rimasero fuori del cristianesimo importato.
Dopo la seconda guerra mondiale, con l’esplosione dell’autenticità
africana, vari personaggi carismatici fondarono
chiese autonome, ispirate ad Harris che, dopo la sua
morte (1929), i fedeli ritenevano più messia che profeta.
Oggi l’harrismo è ancora radicato lungo tutto il litorale
della Costa d’Avorio, con tre centri indipendenti e significative
differenze morali e dottrinali. Una costola dell’harrismo,
inoltre, è costituita dalla religione deima, fondata
dalla profetessa Marie Lalou e diffusa nella regione di Ganoa.
Denominatore comune dell’harrismo è il richiamo alla bibbia,
mescolato con questioni di stregoneria; il culto è molto
vicino a quello protestante; la poligamia è autorizzata.
Alcuni gruppi si caratterizzano per l’impegno nella carità e
solidarietà; altri per le severe esigenze di moralità nei riguardi
di alcornol, denaro e sessualità.
Tutti i fedeli harristi si aspettano dall’intercessione di Harris
una prosperità uguale a quella degli europei.

Benedetto Bellesi

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