ADELANTE, MA…

Sono in Colombia da due giorni. Padre José è
addetto al mio soggiorno a Bogotá, prima di
«andare in missione». Oggi è giorno di spesa
e decide di portarmi al mercato o Carrefour.
«No ai nada de terzer mundo»
mi anticipa ridendo.
L’auto percorre le vie di Modelia, il quartiere dove
risiediamo, evitando le grandiose buche nell’asfalto
o piombandoci dentro a tutta birra. Il sindaco
della capitale ha, nel rilancio del sistema dei trasporti,
uno dei punti forti del suo programma politico.
Ma le dimensioni di Bogotá (7 milioni di abitanti)
sono tali che…
Siamo arrivati. Il Carrefour si staglia davanti con
il suo parcheggio ancora semivuoto e le insegne così
uguali in tutto il mondo. Sorpresa.
Ma non mi sorprende l’ipermercato in se stesso,
bensì il trovare il «mio» ipermercato, dove 10
giorni prima ho comprato il giubbetto di tela blu
leggera (che taglia l’aria), le lamette da barba di riserva
(perché «non si sa mai») e le pile per la radio-
sveglia (anche se l’«orologio biologico» mi sveglia
regolarmente alle due del mattino).
Dunque la prima sensazione, positiva, è l’incontrare
il mio Carrefour dietro l’angolo. È la cancellazione
dell’imprevisto, dell’incognita «x», che rappresenta
una palla al piede per la civiltà superoccidentalizzata.
Grazie, Carrefour.
Entro e mi trovo davvero a… Torino, al centro
commerciale Le Gru. Ho impiegato 13
ore di aereo per ritornare esattamente dove
ero partito. Mi vengono
in mente alcuni versi di
Thomas Eliot:
«Non cesseremo mai di
esplorare.
E alla fine di ogni nostra
esplorazione
arriveremo dove abbiamo
iniziato.
E conoscere il luogo per
la prima volta».
In altre parole, grazie al
Carrefour, conoscerò
meglio me stesso in
Colombia… Il primo assaggio di frutta esotica avviene
in una sala spaziosa con… mele e pere; ma
c’è pure un oceano di papaie, manghi, guayabas.
L’ipermercato è enorme, lussuoso, asettico. I ragazzi
del banco «macelleria» indossano berretti e
mascherine bianche: sembrano infermieri. La ragazza
con radio-microfono lancia messaggi interni,
rullando su velocissimi pattini a rotelle. Se non
fosse per l’agente di sicurezza all’ingresso (che ci
ha fatto aprire il baule dell’auto e ne ha scandagliato
il fondo con il metal detector prima di concederci
di parcheggiare), parrebbe proprio di essere
altrove.
Poi la domanda: «Chi compra in questo ipermercato?». In un paese dove lo stipendio medio di un
impiegato si aggira sui 200 euro mensili, chi può
permettersi acquisti consistenti al Carrefour?
«Carrefour» in francese significa «incrocio».
Penso a Il libro dei proverbi, secondo il quale la
sapienza è presente anche agli incroci delle strade
(cfr. Pro 8, 2). Ma dubito che essa abiti nel regno
del consumismo.
A meno che uno sappia scegliere!
Toando a casa, scorgo in cielo due aerei
militari in rotta verso il sud del paese. Il
pensiero corre al Caquetá, ieri zona di distensione
e oggi di scontro. Là operano confratelli,
silenziosi segni di speranza fra stragi di «destra» e
di «sinistra». E ora? Due aerei in più, carichi di
bombe e di vite umane. Altre madri in ansia, altri
dolori da lenire. Forse altri morti ammazzati.
Riconciliazione e pace.
Ma come?
La patata bollente (narcotraffico,
guerriglie, sequestri
di persona, violenza
generalizzata) è
anche nelle mani del
nuovo presidente
ALVARO URIBE, eletto
il 26 maggio scorso.
«Adelante, signor presidente,
ma… con juicio».

UGO POZZOLI

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