Pellirosse e mandarini

Per liberare l’evangelizzazione dai laccioli del «patronato», il papato istituisce un dicastero speciale: la Congregazione «de propaganda fide».
Le nuove direttive e l’istituzione dei «vicariati
apostolici», dipendenti direttamente da Roma,
vengono attuate nelle nuove frontiere
aperte dalla colonizzazione
francese in Nord America
e nella regione indocinese,
mentre nelle colonie
portoghesi e spagnole
ci sono forti resistenze.
Ma ormai la nuova strategia
missionaria è avviata
e Propaganda fide riprenderà in mano
le redini dell’attività missionaria
in tutto il mondo.

Nasce Propaganda Fide

L’aveva suggerito Raimondo Lullo nel 1373; Ignazio di Loyola era ritornato alla carica, come pure eminenti personalità del tempo: la Santa Sede deve prendere in mano le redini dell’azione missionaria. Nel 1622 Gregorio XV istituisce finalmente la Congregazione de Propaganda Fide (dal 1968 «Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli»).
Con questo dicastero la chiesa assume in proprio e in esclusiva, per la prima volta nella storia, tutta l’opera di evangelizzazione. Non più patronati né deleghe a re o imperatori, non più interferenze di carattere politico. Nessun missionario può predicare il vangelo senza la missio o investitura, diretta o indiretta, di questa Congregazione.
Vengono emanate direttive precise: l’evangelizzazione deve essere apolitica e adattata al carattere dei popoli evangelizzati; sono proibiti metodi coercitivi; dare priorità assoluta alla formazione del clero locale. Per liberare l’attività missionaria dai patronati, si propone l’erezione dei vicariati apostolici, dipendenti direttamente da Roma.
Tali innovazioni non si attuano di punto in bianco. In alcuni territori, soprattutto portoghesi, il dualismo giurisdizionale di Roma e dei patronati durerà ancora a lungo (in Mozambico fino al 1975!) e sarà causa di tanti conflitti; ma ciò non impedisce all’evangelizzazione, dopo 150 anni di patronato, di rientrare a poco a poco sotto la guida della chiesa.
Come sostenere l’attività missionaria senza l’aiuto economico delle potenze coloniali? Dove pescare nuovi vescovi e vicari fuori di Spagna e Portogallo? Per Propaganda è un rompicapo. Al primo problema si comincia a rispondere con la vendita degli anelli cardinalizi, eredità, offerte di privati, elargizioni straordinarie di principi e pontefici. In seguito si farà appello alla responsabilità di tutto il popolo cristiano.
Nel 1627, cinque anni dopo la fondazione di Propaganda, Urbano VIII erige il collegio Urbano di Propaganda Fide con lo scopo di formare alunni «di qualsiasi popolo e nazione, da inviarsi, per mandato del sommo pontefice, in tutto il mondo a diffondere la chiesa cattolica». Tale Collegio (oggi Università) formerà nei secoli posteriori migliaia di missionari d’ogni lingua e colore, e sussiste tuttora sul Gianicolo.
Intanto la Francia, esclusa dalla spartizione del mondo, si sta lanciando nell’avventura coloniale e missionaria. È un’occasione per liberarsi dai patronati. Nel 1663 a Parigi viene fondato il seminario delle Missioni estere, con lo scopo di reclutare sacerdoti secolari e prepararli alla missione. Il papa vi attingerà a piene mani, pur continuando a servirsi dagli ordini religiosi.

Evangelizzazione del Nordamerica

«Il sole splende per me come per gli altri – protestava Francesco I, re di Francia, di fronte alla papale spartizione del globo tra Spagna e Portogallo -. Vorrei proprio vedere la clausola del testamento di Adamo che mi esclude dalla spartizione del mondo». Allo stesso modo la pensano i paesi protestanti di Inghilterra, Olanda, Svezia. Tutti vogliono il loro pezzo al sole.
Siccome l’America centro-meridionale è già in mano a spagnoli e portoghesi, i nuovi contendenti puntano più a nord: i francesi occupano il Canada; inglesi e olandesi si contendono le zone sottostanti. I primi hanno la meglio e fondano tredici colonie lungo la fascia atlantica. Gli olandesi hanno più fortuna in Estremo Oriente e Sudafrica.
Varietà di colonie, varietà di religioni. Nella Nuova Francia (che all’inizio comprende l’attuale Canada e vari territori ora sotto gli Stati Uniti) arrivano i missionari cattolici; con i coloni inglesi sbarcano i pastori protestanti: anglicani, luterani, calvinisti, quaccheri e via dicendo.
In ritardo di oltre un secolo rispetto a Spagna e Portogallo, intralciata da inglesi e olandesi, che vedono come fumo negli occhi la formazione di una colonia cattolica alle loro spalle, l’evangelizzazione in Canada sfocia in autentica crociata mistica a partire dal 1632. Nel giro di cinque anni arrivano 54 gesuiti, tre suore orsoline e tre ospedaliere, le prime nella storia delle missioni. Coniugando azione e contemplazione, le religiose curano gli infermi, istruiscono i fanciulli, raccolgono anziani e malati, tutti pesi morti della tribù durante il periodo della caccia. Numerosi volontari laici (medici, artigiani, gentiluomini e dame dell’aristocrazia) si lanciano a briglia sciolta nell’avventura missionaria.
I gesuiti seguono gli indiani nel loro nomadismo. Poi, lungo le rive del fiume San Lorenzo e dei Grandi Laghi, costruiscono comunità stabili, con chiese, scuole, campi e strutture varie. In pochi anni migliaia di famiglie di algonchini e uroni sono battezzate. In tempo di caccia i cristiani diventano apostoli presso i fratelli ancora nomadi; per questi i missionari organizzano missioni volanti.
Un lavoro esaltante, ma rischioso. Gli stregoni, sentendo minacciata la loro autorità, sobillano la gente contro i «veste-nera». Ma il pericolo più grave viene dagli irochesi: aizzati dagli inglesi, muovono guerra agli uroni, che nel giro di otto anni (1642-50) vengono sterminati insieme ai missionari: i martiri canadesi.
Ufficialmente sono 8 gesuiti: 6 padri e 2 fratelli laici, canonizzati nel 1930. Numero simbolico, rispetto ai tanti missionari e fedeli, europei e indiani, che, con fede eroica, hanno scritto in pochi anni una delle pagine più gloriose della storia della chiesa. Immensità del territorio e rigori del clima, ferocia e lotte tribali, conflitti politici e religiosi, solitudine nei deserti di ghiaccio, martirio fisico e spirituale… costituiscono un’epopea indimenticabile.
Ma il sangue dei martiri non cade invano. Dieci anni dopo comincia un’altra crociata missionaria: gesuiti, sulpiciani, cappuccini fondano missioni tra gli irochesi. Cristiani algonchini, uroni e irochesi cominciano a vivere insieme nei villaggi, coltivando i campi comunitari. E fiorisce il «giglio degli irochesi»: Caterina Tekakwitha, prima tra tutti gli indigeni dell’America a salire agli onori degli altari (1980).
Intanto la storia continua. Nel 1658 Québec diventa vicariato apostolico (il primo istituito da Propaganda Fide) affidato al vescovo François de Laval.
Nel 1763 le colonie francesi passano sotto la corona britannica. I cattolici vengono discriminati. Ma nel 1777 nella regione del Québec vengono ristabilite le leggi francesi e garantita piena libertà religiosa.
Con l’indipendenza degli Stati Uniti (1776), la situazione dei cattolici migliora in tutto il Nord America. Cessa a poco a poco l’ostilità riservata ai cattolici durante il periodo coloniale. Con le nuove immigrazioni cresce il loro numero e anche la loro presenza nei quadri direttivi del paese. Nel 1789 con la creazione della diocesi di Baltimora, la prima negli Usa, i cattolici sono poco più di 20 mila, su 5 milioni di americani; ma nei secoli successivi la chiesa cattolica assumerà proporzioni tali, che finirà per diventare la comunità religiosa più consistente del paese.
Nello stesso tempo due grossi problemi affliggono l’America del Nord: i massacri di indiani perpetrati dai coloni, lanciati alla conquista dei territori dell’est; la deplorevole condizione degli schiavi negri, che superano ormai il milione. Sono problemi che l’evangelizzazione affronta solo marginalmente per l’impossibilità di inviare missionari e per l’intransigenza degli stessi coloni, troppo convinti che indiani e negri siano esseri inferiori.

Altre frontiere missionarie

N el 1658, insieme a quello di Québec, Propaganda Fide istituisce altri due vicariati: Tonchino e Cocincina (Vietnam). In queste regioni dell’Indocina avevano lavorato alcuni gesuiti, ma con scarsi risultati. L’evangelizzazione sistematica comincia nel 1624, per opera del gesuita francese Alexandre de Rhodes, e continua, con una presenza a singhiozzo fino al 1645; ma lascia il segno. Egli diffonde la scrittura vietnamita; distanzia il cristianesimo dalla politica portoghese; redige un catechismo in lingua locale e fonda una congregazione di catechisti. Questi esercitano tutte le funzioni che non richiedono il sacerdozio, fanno voto di castità e vivono in comunità con i missionari; in tempo di persecuzione mantengono viva la chiesa. Il sogno della formazione del clero indigeno rimane nel cassetto.
Tornato in Europa per evitare la condanna a morte, de Rhodes accelera la fondazione del seminario delle Missioni estere di Parigi e preme su Propaganda perché istituisca la gerarchia in Vietnam: François Pallu e Pierre Lambert de la Motte vengono nominati rispettivamente vicari del Tonchino e della Cocincina.
Attraversando l’Asia via terra, per consegnare ai vescovi, di nascosto dalle autorità coloniali, le «Istruzioni» di Propaganda Fide, mons. Pallu arriva in Indocina. E poiché nel Tonchino infuria la persecuzione, si stabilisce nel Siam (Thailandia), dove si adopera per la formazione del clero indigeno.
La Motte è più fortunato: riesce a soggioare per qualche tempo nel Vietnam; celebra il primo sinodo del Tonchino e Cocincina; istituisce la «Casa di Dio» per raccogliere missionari, seminaristi e catechisti; ordina i primi preti vietnamiti, crea una congregazione religiosa femminile, fonda il seminario per tutto l’Estremo Oriente.
L’evangelizzazione dell’Indocina continua, tra persecuzioni a momenti di bonaccia. Le cristianità sono esigue, complessivamente 400 mila cattolici, ma ben stabilite e in grado di svilupparsi con le proprie forze.
In Corea, caso più unico che raro nella storia della chiesa, il vangelo arriva prima dei missionari: alcuni membri dell’ambasciata che ogni anno si recano a Pechino a rendere omaggio all’imperatore (la Corea è paese vassallo della Cina) avvicinano i gesuiti, si foiscono di libri cristiani e li diffondono tra gli amici.
Nel 1784 si reca a Pechino un letterato di nome Ni-Seung-houn, che riceve il battesimo con il nome di Pietro Ly. Ritornato in patria battezza altri compagni e con essi continua a diffondere il cristianesimo.
Dieci anni dopo, il sacerdote cinese Giacomo Tiyon, inviato in Corea dal vescovo di Pechino, vi trova una comunità di quattromila cristiani. Arrivano le persecuzioni, ma il cristianesimo coreano non sarà più sradicato.
Il Tibet, invece, è un osso duro. Nel 1630 il gesuita portoghese Antonio De Andrade vi apre una missione, ma è subito distrutta. Ritentano inutilmente altri gesuiti. Più fortunato è il gesuita pistorniese Ippolito Desideri: riesce a stabilirsi a Lhasa, la capitale tibetana, e per cinque anni studia, commenta e traduce i testi sacri del lamaismo.
Nel 1703 Propaganda affida la missione del Tibet ai cappuccini italiani. Sotto la direzione del marchigiano Francesco Orazio da Pennabilli, essi riescono a costruire una chiesa e un convento nella capitale, ma le conversioni sono scarse. Nel 1742 una persecuzione orchestrata dai lama costringe i cappuccini a lasciare il Tibet.
Ci provano ancora i lazzaristi francesi e, a più riprese, i preti della Missione di Parigi, convertendo parecchi tibetani presenti nei territori cinesi; ma anche questi sono raggiunti dall’odio dei lama: i cristiani sono massacrati nel 1905. I preti delle Missioni lasciano sul campo otto martiri, l’ultimo è ucciso nel 1940.

La disputa dei riti

Propaganda Fide è appena nata e si trova tra le mani una delle patate più bollenti nella storia della chiesa: la «questione dei riti cinesi e malabarici». Dopo le dispute trinitarie e cristologiche dei primi secoli, non si è mai visto diatriba più accanita, meschina e devastante per l’evangelizzazione.
Ricci, De Nobili e altri gesuiti riscuotono buoni successi adattando al cristianesimo quegli elementi religiosi e culturali delle popolazioni locali che meglio si prestano per esprimere il messaggio evangelico. Sono tre i punti su cui ruota tale adattamento: 1) la «terminologia» religiosa locale è usata per invocare e parlare di Dio; 2) nella liturgia sono assunti riti secondari tradizionali e omessi certi gesti nell’amministrazione dei sacramenti, come l’uso della saliva nel battesimo; 3) tolleranza di usanze sociali tradizionali, come il culto degli antenati in Cina e certi riti matrimoniali e di fecondità in India. Finché i gesuiti ne discutono tra loro, va tutto liscio. Ma nel 1631-33 arrivano in Cina un domenicano e un francescano spagnoli: partecipando a una cerimonia civile, restano scandalizzati nel vedere che anche i cristiani, con l’accondiscendenza dei gesuiti, compiono riti in onore di Confucio e degli antenati. I due frati avvertono i rispettivi superiori; questi si appellano a Roma e la questione diventa una disputa teologica europea.
Il domenicano Morales pone a Propaganda Fide una domanda a brucia pelo: possono i cristiani onorare gli idoli (intendendo Confucio e antenati)? Evidentemente la risposta è negativa (1645). I riti sono condannati.
Dieci anni dopo i gesuiti domandano: si possono rendere a Confucio onori puramente civili? La risposta è affermativa. I riti cinesi sono riammessi.
Ma la questione non si placa. Gli schieramenti pro e contro i riti cinesi e malabarici spaccano i missionari d’Oriente: domenicani e francescani contro i gesuiti; gesuiti contro gesuiti. Dispute furiose si scatenano anche in Europa, coinvolgendo le Missioni estere di Parigi, vescovi e curialisti, teologi e moralisti, politici e scrittori (Pascal). Quasi tutti contro i gesuiti.
Tra studi e reazioni, condanne e concessioni, accettazioni e rifiuti, interventi canonici e diplomatici, la confusione si protrae fino al 1744, con la condanna senza appello dei riti cinesi e malabarici. Solo nel 1939 Roma cancellerà quelle posizioni intransigenti. Ma ormai il guaio è fatto: la mentalità estremorientale non farà più differenza tra cristianesimo e potenze coloniali; la missione continua vivacchiando.

La missione segna il passo

Lo chiamano il «secolo dei lumi». Per la chiesa e l’evangelizzazione, il 1700 è un secolo disgraziato. Lo scontro tra l’assolutismo di stato e la chiesa si fa ogni anno più aspro. Il conflitto tra patronati e Propaganda Fide incancrenisce. Nuovi sistemi di pensiero minacciano di spazzar via il cristianesimo in blocco. Le vocazioni entrano in crisi. L’anticlericalismo si abbatte su chiesa, papato, ordini religiosi.
Vittime illustri del secolo dei lumi sono i gesuiti. Già bersagliati all’interno della chiesa per la «questione dei riti», incappano nelle ire dell’intellighenzia europea, che vede in essi il più forte baluardo del papato e dell’ortodossia. Uno dopo l’altro i paesi cattolici li cacciano, ne confiscano i beni e ne chiedono al papa la soppressione. Nella speranza di avere un po’ di tregua, nel 1773 Clemente XIV sopprime la Compagnia in tutta la chiesa: 30 mila missionari devono lasciare le loro opere e non sono rimpiazzati. A corto di personale, Propaganda è impotente a tamponare tale emorragia. Con la rivoluzione francese e l’impero napoleonico, Propaganda viene soppressa, insieme alle istituzioni che le foiscono missionari.
In Cina, dove 3 diocesi e 3 vicariati coprono un territorio immenso, il personale missionario è dimezzato. All’inizio del ’700 i cristiani sono circa 300 mila; alla fine del secolo scendono a 200 mila e cercano di sopravvivere con le proprie forze.
In India, ai francescani, domenicani, agostiniani, gesuiti, si aggiungono carmelitani spagnoli, cappuccini francesi e teatini italiani. Alle numerose diocesi del patronato portoghese, si affiancano i quattro vicariati istituiti da Propaganda. Nei primi 50 anni del 1700 i cattolici indiani passano da 800 mila a un milione. Ma nella seconda metà del secolo l’evangelizzazione avanza a passo di lumaca. Alla controversia dei riti malabarici e alla cacciata dei gesuiti, si aggiunge il crollo del patronato portoghese sotto i cannoni degli olandesi, francesi e inglesi. Nel 1763 l’India passa nelle mani della Compagnia inglese delle Indie Orientali. E comincia la concorrenza delle missioni protestanti.
In America, le missioni dei territori soggetti a Spagna e Portogallo sono ormai quasi tutte assorbite da un regolare ordinamento territoriale, articolate in arcidiocesi e diocesi. Ma con l’espulsione dei gesuiti le «riduzioni» cadono in rovina. Quello splendido processo di salvaguardia fisica e culturale delle popolazioni e di graduale integrazione nella nuova società viene bloccato e si ripropone daccapo il problema indigenista, ancora attuale ai giorni nostri.

EPOPEA CANADESE

I Martiri canadesi (1642-49). Sono otto gesuiti: sei padri e due fratelli. Renato Goupil: dottore, cura i suoi carnefici prima di spirare. È il primo martire, spirato per le torture subite (1642). Isacco Jogues: catturato e torturato insieme a Goupil, se la cava con le dita mozze e un anno di schiavitù. Ritorna a convertire gli uroni, suoi carnefici e viene ucciso con un colpo d’ascia (1646). Giovanni La Lande: fratello coadiutore, muore insieme a padre Jogues. Antonio Daniel: bersaglio di frecce e di archibugi, viene gettato nella chiesa in fiamme (1648). Giovanni de Brébeuf: in Canada dal 1625, è l’animatore della missione gesuita in Canada. Evangelizza algonchini e uroni: è bruciato vivo nel 1649. Gabriele Lalemand: muore insieme a Brébeuf, con le mani mozze. Carlo Gaier: colpito da archibugio, è finito a colpi d’ascia (fine 1649). Natale Chabanel: ucciso da un urone rinnegato e gettato nel fiume (1649).

Maria dell’Incaazione (1599-1672). Sposa, madre, vedova, a 31 anni diventa monaca orsolina. Prima missionaria nella storia della chiesa dell’era modea, approda a Québec nel 1639. Maestra e mistica, è definita «Teresa del Nuovo Mondo»; educatrice di generazioni di giovani indiane ed europee, è venerata come: «Madre della chiesa canadese».
Beatificata nel 1980, insieme a Caterina Tekakwitha.

MISSIONARI DI PROPAGANDA FIDE

Alexandre de Rhodes (1591-1660). Gesuita francese, missionario in India, Molucche e Macao: fluente in 12 lingue. Fonda la chiesa nel Tonchino e Cocincina (Vietnam), adattando il vangelo alla cultura locale e preparando ministri locali. Più volte cacciato, altrettante volte vi ritorna, finché è preso, condannato a morte ed espulso. Nel 1655 è in Persia, dove morirà.

François Pallu (1626-1684). Confondatore della Società per le Missioni Estere di Parigi. Vicario apostolico del Tonchino e amministratore in Cina, si stabilisce nel Siam, ma l’opposizione portoghese e la necessità di visitare i territori a lui affidati lo costringono a girare mezzo mondo, senza mettere piede nel Tonchino. Fonda un seminario per il clero locale. Muore in Cina.

Pierre Lambert de la Motte (1624-1679). Confondatore delle Missioni Estere, vicario apostolico della Cocincina e amministratore del Siam: perseguitato dall’inquisizione portoghese, difende i diritti di Propaganda Fide; fonda un seminario per il clero locale e una congregazione religiosa per donne indocinesi.

Ippolito Desideri (Pistornia 1684 – Roma 1733). Gesuita, esploratore e missionario in Tibet nel 1716. Stimato da re e Dalai-Lama, predica il vangelo, scrive vari volumi su lingua, cultura e religione tibetana e compone opere apologetiche accolte con favore. Nel 1721 passa in India, quando Propaganda Fide assegna il Tibet ai cappuccini.

Francesco Orazio da Pennabilli (1680-1745). Il più illustre missionario cappuccino in Tibet (1716-45), guida due spedizioni missionarie nel paese. Propaganda Fide lo nomina prefetto della missione di Lhasa. Lavora fino allo spasimo nella predicazione, compilazione di dizionari italiano-tibetano, italiano-hindi, opere etnografiche e traduzioni di libri biblici e di catechesi.

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