Clima. Meno ventisei

La Cop28 e l’accordo di Dubai

Proteggere la «casa comune». (foto Gerd Altmann - Pixabay)
Mondo
Paolo Moiola

Difficile capire quanto valga l’accordo raggiunto a Dubai (Emirati Arabi Uniti) lo scorso 13 dicembre. Di sicuro, l’enfasi del sito ufficiale della Cop28 è fuori luogo: «We united. We acted. We delivered» (Ci siamo uniti. Abbiamo agito. Abbiamo raggiunto).

La conferenza mondiale sul clima, svoltasi in casa dei produttori di petrolio, ha deciso che, entro il 2050 (cioè tra 26 anni), i combustibili fossili dovranno essere usciti di scena. La frase centrale – da molti definita «storica» – recita così: «Uscire dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050 in linea con la scienza» (punto 28, lettera d).

Certamente, davanti a dati sempre più drammatici (il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è a livelli mai visti, l’Artico è in grandissima sofferenza, eccetera), quella data pare troppo lontana, i fondi del «Loss and damage» (perdite e danni causate dai cambiamenti climatici) per i paesi più poveri sembrano un’inezia ed esagerati i sorrisi compiaciuti di Sultan Al Jaber (presidente della Cop28 e petroliere) e di gran parte dei delegati.

La Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece) ha commentato: «Accogliamo con favore il difficile accordo raggiunto sull’eliminazione dei combustibili fossili, ma siamo preoccupati per il reale impegno delle parti ad attuarlo in modo efficace». Detto questo, una lettura pessimistica degli accordi non conviene a nessuno perché può indurre all’inazione e fare un favore ai tanti negazionisti climatici, palesi od occulti.

La riunione appena conclusa si è tenuta in un paese petrolifero e così sarà anche per la prossima. Nel 2024 la Cop29 si terrà, infatti, in Azerbaijan, cioè in un altro paese produttore di petrolio e gas. La Cop30 sarà invece in Brasile, paese che a gennaio 2024 entrerà come osservatore nell’Opec, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio.

L’attivista indiana di soli 12 anni sul palco della Cop28 con il suo cartello di protesta.

Nel frattempo, da oggi al 2050, tutti sono tenuti a contenere l’aumento della temperatura della Terra in un grado e mezzo rispetto all’epoca preindustriale. In primis, spetta agli stati con le loro politiche, ma anche ai giornalisti con il racconto della verità scientifica e ai singoli cittadini con le loro scelte quotidiane. Tutto difficile, ma – lo speriamo in tanti – non impossibile.

La speranza si può forse intravvedere tra le righe dell’accordo di Dubai, ma è certamente più visibile nell’esempio e nell’intraprendenza di Licypriya Kangujam, attivista indiana di soli 12 anni che, saltata sul palco della Cop28, ha alzato al cielo il suo cartello scritto a mano: «Basta combustibili fossili. Salviamo il nostro pianeta e il nostro futuro».

Paolo Moiola

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