Ventimiglia. A qualsiasi costo

reportage dalla frontiera italo-francese (seconda puntata)

Stazione di Ventimiglia. Alcuni migranti e un operatore di Ong. (Foto Simona Carnino).
Italia Francia
Simona Carino

 

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha denunciato, dietro ricorso di varie associazioni tra cui Avocats pour la défense des droits des étrangers (Adde), la forma in cui vengono svolti i respingimenti dalla Francia che contravverrebbe la direttiva europea sui rimpatri. In teoria, un cittadino irregolare dovrebbe beneficiare di un certo tempo per lasciare volontariamente il territorio, invece di essere allontanato in maniera forzata come avviene adesso.

Al mattino, le persone fermate e identificate dagli agenti francesi vengono espulse e, camminando attraverso il ponte San Luigi, arrivano alla frontiera italiana che ne notifica l’espulsione e le lascia andare. Da lì si torna a Ventimiglia a piedi, o con un bus di linea.

Mentre Haroun si prepara a tornare in città, arriva un messaggio di WhatsApp di Hamza (il ragazzo marocchino protagonista della prima puntata) che un altro modo di passare lo ha trovato. «Ieri la polizia francese ci ha fermato sul treno – scrive in un inglese zoppicante tradotto dall’arabo -. Ci hanno respinto in Italia, ma abbiamo preso un sentiero di montagna e superato la frontiera. Poi abbiamo camminato sulla linea ferroviaria e preso un treno fino a Marsiglia. Ora stiamo andando verso il nostro destino finale».

Da Grimaldi, ultima frazione di Ventimiglia arroccata sul mare, è possibile intercettare il passo della Morte, un cammino di tre ore che, tra sentieri mal segnalati, sterpaglie, rovi e salite che si riescono a fare solo con l’aiuto di una corda, permette di superare la frontiera in montagna. Il passo è pericoloso. Basta mettere un piede fuori sentiero per scivolare in dirupi, soprattutto se si percorre di notte o con la pioggia. Si scende tra le prime ville di Mentone per poi arrivare al centro. Spesso la gendarmerie controlla la strada e capita che, dopo una camminata estenuante, le persone vengano fermate su questa rotta e respinte in Italia.

Ventimiglia. Giovani migranti parlano davanti alla Caritas. (Foto Simona Carnino).

«I controlli in frontiera non fanno che aumentare i rischi e i costi in termini di vite umane ed economici. Non c’è decreto, non c’è gendarme che possa fermare le persone. La gente passa anche a costo della vita. A volte arrivano da noi persone con traumi provocati nel tentativo di superare la frontiera in montagna o in autostrada», spiega Serena Regazzoni, referente area immigrazione di Caritas Intemelia.

La militarizzazione e le politiche securitarie, che in Francia si manifestano nei respingimenti e in Italia in proclami di apertura di nuovi centri di permanenza per il rimpatrio, si scontrano con le motivazioni delle persone che spesso sono più forti e le spingono a viaggiare a qualsiasi costo.

Intanto a Ventimiglia, il numero di persone che si raduna in città in attesa di attraversare il confine sta crescendo, principalmente a causa dei respingimenti più che dei nuovi arrivi da Lampedusa. «Molte delle 300-400 persone ferme quotidianamente a Ventimiglia sono state respinte dalla polizia francese – spiega Jacopo Colomba di We World – Se dovessero arrivare anche migranti da Lampedusa i numeri in città potrebbero raddoppiare». Secondo i dati della Diaconia valdese e Caritas, il 25% di coloro che transitano per Ventimiglia sono minorenni. In aumento anche le donne, spesso con bambini piccoli, ma lo zoccolo duro è rappresentato da ragazzi adulti nel pieno dei loro vent’anni.

Ad umanizzare la frontiera ci pensano organizzazioni come la Caritas, la Diaconia valdese e volontari che forniscono vestiti, cibo, cure mediche, orientamento legale, ascolto e, a volte, amicizia. Una piccola umanità laboriosa, che si sostituisce all’assenza della politica locale nelle attività di accoglienza.

Ventimiglia. Distribuzione di pasti alla Caritas Intemelia. (Foto Simona Carnino).

A mancare a Ventimiglia sono i letti, i bagni e l’acqua dove lavarsi e lavare i vestiti. Il campo della Croce Rossa che dava un letto a circa 400 persone è stato smantellato a luglio 2020, portando di fatto la gente a vivere in strada «La maggior parte delle problematiche sanitarie in cui si trovano le persone potrebbero essere facilmente curate se avessero poi un tetto sulla testa, cibo e idratazione a sufficienza – spiega Cecilia Momi, referente advocacy di Medici senza frontiere -. È urgente discutere con le autorità del territorio per cercare di dare un minimo di accoglienza a queste persone».

A Ventimiglia ci sono circa 17 posti letto per donne e famiglie in accoglienza diffusa della Caritas e uno rifugio di circa 12 posti per minori gestito da Diaconia e Save the Children. Gli altri dormono nei sottopassaggi o lungo il fiume Roya dove, tra acquitrini e sporcizia, scabbia, infezioni e punture di insetti sono all’ordine del giorno.

Alcuni rimangono in questi accampamenti per giorni o settimane. Qualcuno decide di chiedere asilo politico in Italia, ma la maggior parte aspetta il momento giusto per saltare al di là della frontiera e uscire dal limbo di Ventimiglia. La speranza di riuscirci c’è, perché – alla fine – c’è sempre qualcuno che ce la fa, nonostante l’aumento dei controlli.

Come Hamza che, nel suo ultimo messaggio di mercoledì notte, scrive: «Sono arrivato. Thanks God». «E cosa farai ora?», gli chiediamo. «Mi riposo perché son troppo stanco. Poi cercherò un lavoro. Sono un barbiere».

Simona Carnino

(prima puntata al https://www.rivistamissioniconsolata.it/2023/10/02/ventimiglia-refus-dentree/)

Hamza mostra le ferite alle mani che si è fatto durante gli attraversamenti. (Foto Simona Carnino).
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