Migrazioni. Per terra e per mare

Prigionieri ungheresi innalzano barriere di filo spinato anti migranti ad Asotthalom, villaggio al confine tra Ungheria e Serbia. Foto Csaba Segesvari - AFP.
Europa, Mondo
Paolo Moiola

Muri, forze di polizia, norme di legge non bastano a fermarli: la forza della disperazione li spinge a proseguire, nonostante tutto. Maurizio Pagliassotti è stato sulle rotte dei migranti e li ha raccontati in due libri, crudi. Come crudo e irrisolto è il fenomeno migratorio.

In cerca di pane e futuro. Sono migranti tunisini, nigeriani, siriani, egiziani, afghani, pachistani, bengalesi. Da un paio di mesi, in seguito al ritorno della guerra in Sudan, ci sono anche molti cittadini di quel paese africano.

Per tentare l’entrata in Europa, questi migranti hanno due possibilità, entrambe molto rischiose: prendere la strada del mare o quella della terra ferma. La prima è più scenografica e, dunque, più raccontata, la seconda è più nascosta e, pertanto, meno conosciuta.

La realtà delle migrazioni verso l’Europa viene descritta in tutta la sua durezza e disumanità nei due libri – forse imperfetti ma sicuramente pregevoli – che Maurizio Pagliassotti, giornalista (Domani, il Manifesto, ma anche Missioni Consolata) e scrittore, ha dedicato al fenomeno, non studiandolo da fuori ma calandosi in esso.

Il primo lavoro – «Ancora dodici chilometri» (2019) – è ambientato sul confine tra Italia e Francia (Claviere, Briançon, Monginevro, Bardonecchia, Colle della Maddalena, …) dove operano soprattutto gendarmi d’oltralpe, molto solerti nel riportare i migranti sul territorio italiano1.

Il secondo – «La guerra invisibile» (2023) – parte dai luoghi del primo, ma allarga l’orizzonte dalle Alpi ai Balcani, attraversando vari confini e arrivando fino al Kurdistan turco (Erzurum, Van, Igdir).

(Photo by Matteo Trevisan / NurPhoto / NurPhoto via AFP)

Vittime e novelli carnefici

«Il mondo delle migrazioni – scrive Pagliassotti – è duro […]. Il migrante sa che per tutto ciò che farà durante il suo viaggio dovrà pagare qualcosa. Con il denaro, con il lavoro, con la schiavitù, con il sesso». Pagine dalla parte dei migranti – le vittime, anzi i nemici di questa «guerra invisibile e silenziosa» -, ma senza paternalismo o pietismo e, soprattutto, senza alcun giro di parole: il racconto di Pagliassotti è crudo e senza sconti per alcuno. Neppure per gli anziani avventori di un bar di montagna che commentano una storia di migranti affogati in mezzo al mare. «L’odio di questi paesi non è quello dei quartieri periferici di Torino, o di un’altra grande città. […] in un posto così, dici “se lo meritano”, “ma chi se ne frega”, “crepino”. Solo così sei accettato. Qui non c’è il nigeriano che spaccia o ti ruba la bicicletta. Qui non c’è nulla. Lo dicono tutti, quindi lo dici anche tu. E tutti ridono nel bar, dandosi di gomito. […] Un sodalizio strapaesano tra vecchi piemontesi e vecchi meridionali accomunati da un rancore irrazionale, soprattutto i secondi: furibondi nei loro “noi siamo venuti qui per lavorare e quelli vengono a fare un c… Che se ne stessero a casa loro”. […] La vittima che diventa carnefice. Infiniti patimenti e angherie, ma poi alla fine è arrivato qualcuno ancora più reietto, ancora più scuro di pelle, ancora più terrone».

Il clima politico di questi anni complicati non aiuta. È ormai annosa la questione delle Ong del Mediterraneo da molti considerate «pull factor» (fattori di attrazione) per i barconi e i barchini dei migranti. Se – come racconta Pagliassotti in Ancora dodici chilometri – anche una piccola associazione come «Il Pulmino verde» viene minacciata perché aiuta i migranti irregolari, significa che il degrado umano è profondo.

«Che vita schifosa deve essere quando tutti ti odiano e tu odi tutti», commenta l’autore a un certo punto de La guerra invisibile. Eppure, non mancano incontri con figure tanto umane da fare notizia. Come a Trieste.

Dopo Bolzano, l’autostrada che conduce al Brennero, il confine tra Italia e Austria. Foto Tibor Pelikan – Pixabay.

Gli «eserciti» del papa

«I loro nomi si protendono lungo la rotta dei Balcani fra migranti, cooperanti, giornalisti e non sempre sono amati neppure tra noi buoni: “troppo mediatici”. Lei è una psicologa clinica, lui un ex docente di liceo in pensione. […] Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi ogni sera, da anni, vanno a ricucire le ferite di chi giunge dalla rotta dei Balcani

[…]. Lei, una signora apparentemente semplice ma dal portamento aristocratico, lava e medica i piedi luridi coperti di fango e sangue di chi arriva qui […]. Due anziani che in cambio di niente salvano la dignità di un continente […]. Indubbiamente sono sotto i riflettori ma questo che problema è?». «Esiste una vasta invidia nel nostro mondo di buoni», chiosa con sarcasmo Pagliassotti. Che non può dimenticare gli operatori e volontari della Caritas.

«Li apprezzo molto – confessa l’autore – , pur essendo ateo e molto molto critico rispetto all’altruismo fondato sulla misericordia. […] La Caritas che ho conosciuto io l’ho trovata nei campi di frutta del Nord Italia

[…]. La Caritas che mi accoglie a Šid (cittadina serba al confine con la Croazia, ndr) fa parte di un esercito della misericordia

[…] che si protende verso l’aiuto degli umiliati e offesi in marcia».

Papa Francesco, capo di questo esercito2, parla spesso in difesa dei migranti. In Ancora dodici chilometri Pagliassotti cita un suo passo: «“Spostarsi e stabilirsi altrove con la speranza di trovare una vita migliore per se stessi e le loro famiglie: è questo il desiderio profondo che ha mosso milioni di migranti nel corso dei secoli”». Ma, come ricorda l’autore, anche il pensiero del papa è spesso derubricato alla categoria denigratoria del «buonismo».

 

C’è profugo e profugo

Le guerre parevano lontane. Almeno fino al febbraio 2022, quando la Russia di Putin ha aggredito l’Ucraina e la guerra è entrata di prepotenza nell’esistenza di noi europei. Maurizio Pagliassotti abbandona il suo percorso narrativo sulla rotta balcanica e turca per portarci più a nord, in Polonia, paese appartenente al cosiddetto «gruppo di Visegrád», ovvero i quattro stati europei (oltre alla Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria di Orbán) «reazionari, cementati, tra le altre cose, dall’ossessione delle frontiere chiuse che hanno trasformato i migranti in nemici».

«Sono stato nei giorni scorsi – racconta l’autore riferendosi all’inizio di marzo 2022 – al confine tra la Polonia e l’Ucraina per vedere cosa è l’umanità in fuga che viene accolta. Io arrivo da un viaggio dove ho incrociato solo l’umanità che viene respinta. Profughi delle guerre in Afghanistan e Siria sono gli esseri umani incontrati nei Balcani e in Turchia: i siriani possono perfino condividere l’origine delle bombe con gli ucraini. Bombe russe».

In definitiva, via libera a milioni di ucraini, stop indefinito per siriani, afghani, africani. Perché – si chiede l’autore – «esistono profughi che sono giustamente degni della nostra umanità e altri a cui viene concessa soltanto la nostra disumanità?».

Dall’esperienza nella stazione polacca di Przemyśl, l’autore esce (anche) con altre stoccate accuminate. «I fotografi – scrive – sono tra i più eccitati e spietati, sono tra quelli che meglio annusano il sangue: i loro obiettivi si avvicinano al volto dei bambini fino ad abusarne, e scavano alla ricerca dello scatto più duro, affamati di lacrime e senza scrupoli; le madri si ribellano, subentra la polizia che vieta di fare le foto, ma tutti se ne infischiano, ci sono discussioni. Sulla pelle dei profughi campa un sacco di gente e la sofferenza è un grande mercato da sfruttare a fondo».

«Ci servono»

I passaggi dei confini tra Italia e Francia, tra Italia e Austria e – soprattutto – tra i paesi della ex Jugoslavia e tra Grecia e Turchia sono pagine dense di storie e ingiustizie, che suscitano l’indignazione e l’impotenza di Pagliassotti.  «Perché – scrive con acuta perfidia – i muri che alziamo e le milizie che schieriamo per mari e per monti sono, in realtà, strumenti per evitare la tragedia: questo è il messaggio mai esplicitato, ma nemmeno troppo sottinteso. Una forma di bontà e altruismo con il mitra in mano».

C’è la guerra degli Stati contro i migranti e, all’interno di questa, la guerra dei penultimi contro gli ultimi. «“Ci odiano perché lavoriamo”, mi ha raccontato un ragazzo (siriano, ndr) di Erzurum. “Dicono che rubiamo il lavoro ai turchi. Ma questo non è vero […]. Lo stipendio medio di un muratore siriano è di circa 400 euro, contro gli 800-1.000 di un turco. Un panettiere 300 contro 600.

[…] il rifugiato siriano è percepito come un concorrente sleale che si vende per pochi soldi pur di non tornare al suo Paese».

Odio, razzismo, guerra: i due libri di Pagliassotti lasciano poco spazio alla speranza. Anzi, proprio non ne lasciano. Ma come si fa a dargli torto?

È triste ammetterlo, ma oggigiorno il mondo e il sistema sono questi. Prendiamo, ad esempio, l’Italia. Oggi, escludendo alcune chiese (cattolica, valdese, ecc.) e diverse organizzazioni della società civile, chi non si oppone3 all’arrivo di migranti lo fa quasi esclusivamente sulla base di un calcolo di mera convenienza: «Ci servono». Per fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare, per garantire le nostre pensioni, perché gli italiani invecchiano e non fanno più figli.

D’altra parte, meglio essere cinicamente pratici piuttosto che dare spazio a concetti (guerra etnica, difesa della razza, suprematismo bianco, teoria della grande sostituzione, purezza razziale) bocciati dalla storia e dalla morale. Ma che potrebbero anche tornare.

Paolo Moiola

Le montagne attorno a Claviere, zona di confine con la Francia molto battuta dai migranti. Foto Piero Mobile – Unsplash.

Note

(1) Sulla questione migranti lo scontro tra Francia e Italia è aspro. Dopo aver rafforzato il confine con altri gendarmi, i transalpini hanno accusato il governo Meloni di incapacità nella gestione del problema (4 maggio).

(2) Peraltro, anche la Caritas ha i suoi problemi. Lo scorso novembre papa Francesco ha deciso di commissariare Caritas Internationalis, la confederazione delle 162 Caritas nazionali operanti nel mondo.

(3) Il clima culturale vigente è stato sintetizzato (con toni esasperati) da una copertina (riprodotta sopra) e un’inchiesta del settimanale «Panorama»: «Un’Italia senza italiani» (3 maggio).

 

I MIGRANTI SU MC

Tra i molti articoli sul tema leggibili sul sito della rivista, ne segnaliamo alcuni:

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Paolo Moiola
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