Attaccati alla stessa corda

Era il 1992, vent’anni fa, a febbraio. I miei ultimi mesi a Maralal, Kenya. La siccità imperava.
Tutti ne soffrivano. In missione, mettendo insieme tutte le nostre risorse, avevamo
aperto un rubinetto per la gente. La coda cominciava alle quattro del mattino. Si dava acqua
fino alle sette di sera, quando era già buio pesto. A ognuno un bidoncino da 20 litri.
Venivano i bambini, marinando scuola. C’erano le donne/mamme, contente di non dover far chilometri
e trovare acqua pulita. C’erano i poverissimi e i benestanti del paese, accomunati da un
problema che rendeva tutti uguali. Anche se chi poteva, negozianti soprattutto, pagava dei giovanotti,
altrimenti sfaccendati, per l’incombenza. I miei ragazzotti dell’Azione Cattolica distribuivano
l’acqua e tenevano la disciplina. I litigi erano frequenti. I bambini si perdevano a giocare, le
donne si imponevano sui bambini, i giovanotti a cottimo scavalcavano tutti per guadagnare di più.
Neanche le bacchettate distribuite generosamente dai miei «ascari» riuscivano a mantenere
l’ordine. E si sprecava un sacco d’acqua. Provammo così con i tappi delle bottigliette. Ne raccogliemmo
un bel po’ e li numerammo con dei punzoni. Entro sera non ce n’era più uno in giro: i
bambini li avevano presi tutti per giocare. In magazzino c’era un rotolo di spago. Infilammo allora
lo spago nei manici dei bidoncini per bloccarli in una fila ordinata. L’ultimo arrivato andava in
coda, infilava il suo bidone e attendeva tranquillo il suo tuo e, se bambino, poteva anche perdersi
a giocare. Funzionò per alcune ore. Poi lo spago si bagnò, si sfilacciò e si spezzò. Fioccarono
bacchettate. Inutili. Occorreva una soluzione radicale. Comprammo allora una lunga corda di
nailon, robusta, resistente all’acqua, difficile da tagliare senza farsi notare. Finalmente si formò
una lunga coda ben ordinata, senza litigi, immune da bullismo, da distrazioni, da petulanza. Tutti
uguali, bambini e adulti, ricchi e poveri a condividere quel bene così prezioso ed essenziale.
Si potesse trovare una corda così per affrontare insieme la gestione di questo nostro mondo!
Era lo scorso agosto, quando è stato dato l’allarme che avevamo già consumato la nostra
razione annuale di risorse e che stavamo già consumando la quota dell’anno prossimo.
Ci è anche stato detto che quell’«avevamo» non include tutti gli abitanti della terra in
maniera uguale. C’è un 20% di mangioni che consumano l’ 80% del tutto, ed è indifferente, se
non arrabbiato, al fatto che l’altro 80% voglia una fetta più grande della torta o addirittura parti
uguali. Si inquina il mondo, e gli inquinatori pensano di risolvere il problema comperando le
quote verdi di chi (per ora) non inquina. C’è un bisogno vorace di energia per il dio «auto» e tutte
le altre comodità della vita, Inteet compreso. Allora si fanno le «operazioni di pace» che lasciano
lutti e rimpinguano i fabbricanti d’armi, e si affamano quelli che son già poveri per prendee
le terre e produrre il cosiddetto biofuel, che di bio (vita) ha ben poco perché sta causando
la morte per fame (quella vera) di milioni di persone. Una parte del mondo consuma troppo. Invece
di dire: «Condividiamo in giustizia ed equità», dice «siamo troppi» e vuol risolvere il problema
impedendo la crescita di chi già consuma poco attraverso controllo delle nascite, aborti facili,
sterilizzazioni forzate. Certo, questo non viene detto così brutalmente, ma presentato con belle
parole che confondono anche gli onesti. Non dimenticherò mai quelle due consonanti, «T.L.»,
scritte nell’angolo in basso a destra di un foglio di quaderno che doveva essere la cartella clinica
di una giovane madre keniota a cui avevano legato le tube (T.L.= tube ligation) senza neanche
informarla, solo perché ragazza madre, disoccupata, analfabeta e al terzo figlio.
Niente di nuovo in quanto scrivo e non ci stancheremo mai di scrivere su questa rivista. Un
approccio troppo sociologico? Dipende dai punti di vista. Un tempo la Chiesa è stata accusata
di aver benedetto la colonizzazione del mondo. Tacere oggi sulle ipocrisie di un
benessere (di pochi) costruito sulla pelle dei più poveri (molti), è rendersi complici di un
sistema schiavista e ingiusto che di cristiano non ha niente. Questo nostro mondo non si salva
con delle «arche» per pochi, ma con una cordata dove tutti fanno la propria parte.

                                                                                                                              Gigi Anataloni

Gigi Anataloni

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