DOSSIER TRAPIANTI Testimonianza (1)

Un trapiantato di fegato

"AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO"


Un vescovo riflette a voce alta sul suo percorso terreno. Che un trapianto

di fegato ha contribuito ad allungare. Con felicità di tutti.

È importante, anche se accade spesso solo in età matura, rendersi conto che la propria vita spirituale, culturale e fisica deve essere custodita e curata perché è dono di Dio da donare agli altri, senza mettere però da parte la saggia consapevolezza che «siamo tutti utili, nessuno è necessario».
E così un’epatopatia trascurata, un’Hcv aggressiva, un’iperattività continua ed altri fattori contingenti, mi hanno portato alla decisione, guidato da amici medici, di ricorrere a quello che vedevo come un surplus di grazia, un dono che molte persone (anch’io) hanno preventivato o i parenti permettono: il trapianto di fegato.
Ero controllato, consigliato e seguito da alcuni professionisti del settore nell’isola di Ischia, dove svolgo il ministero pastorale anche se il paziente scalpitava e continuava imperterrito la sua missione, secondo l’indicazione biblica «zelus domus tuae comedit me» (lo zelo della tua casa mi divora).
E così tra Giubileo 2000, visita pastorale 2001-2003 inframmezzata dalla visita del papa a Ischia (2002) e il lavoro ordinario diocesano senza soluzioni di continuità, sono arrivato alla fase terminale per fare il pre-olt di controlli clinici per il trapianto all’Ospedale delle Molinette di Torino e susseguente chiamata secondo l’ordine di prenotazione.
Le motivazioni che mi hanno guidato in questo periodo sono state: il dovere di continuare a servire la chiesa, la cura degli altri ma anche di se stessi («Ama il prossimo tuo come te stesso»), l’obbedienza ai medici nella consapevolezza però di un compito affidatomi che poteva essere in scadenza. Il tutto vissuto con grande serenità di spirito.
Questa serenità partiva certamente dalla fede, ma anche da una buona dose di… incoscienza non avendo mai affrontato un’operazione chirurgica. Comunque ripetevo a me e agli altri le parole di san Paolo «Ho combattuto la buona battaglia (nonostante varie sconfitte), ho conservato la fede, altro non mi resta che…» e così ero spiritualmente pronto all’eventuale tramonto della mia giornata terrena, dopo 64 anni di esistenza pienamente vissuta.
Ho affrontato così l’impegnativo trapianto di fegato nel reparto del dottor Mauro Salizzoni e della sua équipe di medici ed infermieri/e, apprezzando l’alta competenza e professionalità coniugate a tanta umanità.
La degenza è stata per me abbastanza lunga: quasi un mese, vivendo le varie vicende di sofferenza, difficoltà e contrattempi fisici con ottimismo, anche se ero «disorientato nello spazio, nel tempo e nelle persone» durante il periodo post-operatorio.
E così dal 5 dicembre al 31 dello stesso mese, pur ricevendo numerose visite, mi confortava l’eucaristia quotidiana e la santa messa ricominciata la sera della vigilia di Natale, sul tavolino della mia stanzetta di terapia semintensiva che mi sembrava una cattedrale.
Il giorno dopo scrissi alla mia gente di Ischia questa lettera:

«Carissimi, questo Natale è un insieme di gioia e sacrificio, di tenerezza e sofferenza. È il primo Natale che passo lontano “da casa” e da voi tutti dal giorno della mia venuta ad Ischia, sei anni or sono.
Invece del tepore della nostra cattedrale c’è la corsia anonima di un ospedale, invece dei nostri suggestivi presepi, il freddo luccichio di una grande città addobbata per l’occasione di queste feste, al posto di strade profumate di salsedine in riva al mare, i grandi viali gelati con le Alpi lontane, invece delle nostre case isolane e dei giardini con luci multicolori, i grandi palazzi dell’antica capitale della Sabaudia. Avverto una grande nostalgia ma Natale è Natale, è l’incarnazione di Gesù nel mondo, è l’inizio della nostra redenzione.
Natale è la contemplazione di un Dio che, per amore dell’uomo, ha assunto il volto di un bambino che Maria, madre dolcissima, avvolse in poche fasce, lo depose in una mangiatornia di legno, rivestita di paglia.
Ma Natale è anche sacrificio e sofferenza perché il legno della mangiatornia evoca il futuro lavoro del carpentiere di Nazareth e soprattutto il legno della croce dove Dio ha sofferto l’abbandono totale.
Questo è il Natale che sto vivendo… Sarà per me un vero Natale, perché misto a gioia, attesa, sacrificio e sofferenza, nell’attesa di una realizzazione di speranza, con pieno abbandono alla volontà di Dio.
A voi tutti auguro tutto il bene di questo mondo mentre la lontananza acuisce l’affetto per tutti.
Mi accorgo di volervi sempre più bene».

Ora, grazie al dono ricevuto, ho ripreso a pieno ritmo il lavoro pastorale e con scarsa obbedienza agli amici medici che mi dicono di «lavorare di meno, per durare di più». Non ci riesco e mi affido alla vostra preghiera e alla loro pazienza esprimendo a tutti la mia gratitudine.

P. Filippo Strofaldi


padre Filippo Strofaldi

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