L’ultimo polmone del pianeta

La foresta del bacino del fiume Congo

Piste nelal foresta di Bayenga - di Flavio Pante
Bacino fiume Congo
Aurora Guainazzi

La foresta del fiume Congo è la sola al mondo in grado di assorbire più anidride carbonica di quella che produce. È un ecosistema unico, messo a rischio costante dalle risorse naturali che contiene. Alcuni paesi la tutelano, ma in molti altri lo sfruttamento è fuori controllo.

Il bacino del fiume Congo ospita la seconda foresta tropicale più estesa al mondo dopo l’Amazzonia: oltre due milioni di chilometri quadrati che toccano sei Paesi (Camerun, Gabon, Guinea equatoriale, Repubblica centrafricana, Repubblica del Congo e Repubblica democratica del Congo).

A oggi, è l’unica foresta al mondo ancora in grado di assorbire una quantità di anidride carbonica (CO₂) maggiore di quella che produce. Secondo il think tank indipendente Center for global development, la foresta assorbe ogni anno 1,1 miliardi di tonnellate di CO₂ a fronte di emissioni pari a 530 milioni di tonnellate.

ponte sul fiume Nepoko, affluente del Congo – Foto Virgilio Pante

Una foresta unica

La foresta del fiume Congo è un ecosistema unico. I suoi 202 milioni di ettari ospitano 10mila tipologie differenti di piante tropicali (di cui il 30% è endemico della regione), oltre a innumerevoli specie di mammiferi (400), uccelli (mille) e pesci (700). Tra essi, molti animali in via d’estinzione come l’elefante della foresta, lo scimpanzé, il bonobo e i gorilla di pianura e montagna.

La foresta è fondamentale per gli equilibri meteorologici di buona parte del continente.

Studi hanno dimostrato che quando l’aria passa sopra ad aree coperte da vegetazione tropicale intensa porta maggiore pioggia. Man mano che la deforestazione procede, quindi, si riducono le precipitazioni – in particolare nel Sahel e nel Corno d’Africa – e aumentano i periodi di siccità.

Molte popolazioni indigene dell’Africa centrale vivono nella foresta, che fornisce loro cibo, acqua e mezzi per la sopravvivenza quotidiana. Sono circa 75 milioni di persone, appartenenti a 150 gruppi etnici. Tra essi spiccano i pigmei, cacciatori e raccoglitori con una conoscenza estremamente approfondita dell’ambiente naturale che li circonda, degli animali che vi vivono e delle piante medicinali (cfr MC ottobre 2019).

Le minacce

La sopravvivenza della selva del Congo è minacciata dalla deforestazione, trainata dall’abbondanza di risorse naturali (legname, minerali e idrocarburi), spesso sfruttate con metodi insostenibili. Secondo Global forest watch (una piattaforma per il monitoraggio delle foreste), tra il 1990 e il 2000, i livelli di deforestazione in Africa centrale erano tra i più bassi al mondo. Poi hanno iniziato a crescere pericolosamente. In particolare, tra il 2002 e il 2021, sono andati persi 17 milioni di ettari. Tra questi, 5,82 erano foreste primarie, aree che non erano mai state toccate dalle attività umane.

Ampie porzioni di foresta sono sfruttate sia da singoli individui sia da grandi compagnie internazionali con obiettivi che vanno dalla sopravvivenza quotidiana all’ottenimento del maggior profitto economico possibile.

La crescita della domanda internazionale di legname, idrocarburi e minerali spesso spinge le multinazionali a progetti di sfruttamento incontrollato. La costruzione di infrastrutture di servizio a queste attività – come dighe e strade – costituisce un danno ambientale considerevole e forza le popolazioni indigene a spostarsi in aree sempre più remote.

Lo sviluppo di reti stradali permette anche ai bracconieri di inoltrarsi sempre più a fondo nella foresta. Con la crescita della domanda di carne di selvaggina – secondo il Wwf, nella sola Rdc ogni anno viene consumato più di un milione di capi -, ne aumenta anche il commercio, spesso illegale. E così è sempre più a rischio la biodiversità: scimmie, antilopi, gorilla e bonobi sono ormai in via di estinzione. Mentre la richiesta internazionale di avorio ha ridotto la popolazione di elefanti della foresta a poche migliaia.

Dunque, la tensione tra conservazione di un ecosistema eccezionale e possibilità di trarre profitto dalle sue risorse si sta ponendo sempre più come elemento cruciale nella gestione futura dell’area.

Raccolta delle termiti nella foresta di Bayenga – foto Godfrey Msumange

Il legno in Gabon

L’88% del territorio gabonese è coperto dalla foresta: 22 milioni di ettari nei quali vivono più di 200 specie animali e vegetali a rischio. Tra cui il 60% degli elefanti della foresta ancora esistenti.

Negli ultimi anni, una serie di considerazioni economiche, sociali e ambientali ha fatto sì che tutelare questo ecosistema diventasse sempre più importante per il Paese. Nel 2002, il Gabon ha istituito, sull’11% del territorio nazionale, tredici aree protette (tra cui il Parco Lopé-Okanda, patrimonio Unesco) nelle quali è vietata qualsiasi attività economica.

Al contempo, il Paese ha introdotto una serie di politiche per contrastare le pratiche illegali (soprattutto taglio di legname) e sviluppare un settore del legno sostenibile. Grazie all’utilizzo di immagini satellitari, gli esperti ambientali monitorano lo stato della foresta e individuano aree oggetto di deforestazione sospetta. Il taglio di alberi è strettamente regolamentato: è possibile abbattere una o due piante per ettaro ogni 25 anni, così da permettere una riforestazione naturale. Mentre il percorso dei tronchi – dalla foresta ai porti – è attentamente tracciato.

Sforzi che si inseriscono in una politica di sviluppo economico più ampia: il Gabon è un importante produttore di petrolio, ma nei prossimi anni il settore (che attualmente rappresenta il 40% del Pil nazionale e il 70% delle entrate) è destinato al declino. Sviluppare un’industria del legname sostenibile e al contempo redditizia è quindi diventata la sfida per il futuro economico del Paese.

Per farlo, nel 2010, Libreville ha vietato le esportazioni di legname grezzo per incoraggiare le aziende a sviluppare centri di lavorazione nel Paese. Inizialmente, la produzione è rallentata, ma poi centinaia di compagnie hanno cominciato a spostare le proprie attività in Gabon. Attualmente, il parco industriale di Libreville si estende su 1.200 ettari e ospita 150 aziende, le cui attività spaziano dalla produzione di compensato a quella di mobili di alta qualità.

Già oggi il Gabon è un importante produttore mondiale di rivestimenti e compensato (nel 2019, il giro d’affari ammontava a 500 milioni di dollari l’anno). In dieci anni, l’obiettivo è arrivare a un’industria da 10 miliardi di dollari e 300mila posti di lavoro. Il tutto tutelando l’ambiente: entro il 2025, le compagnie che operano nel Paese hanno l’obbligo di essere certificate da Fsc, uno standard globale sulla gestione etica della foresta che assicura la produzione del legno in modo sostenibile.

Attraversamento del fiume Nepoko con una piroga

Foresta ed emissioni

Tra il 1990 e il 2010, il Gabon aveva perso 10mila ettari di foresta all’anno. Nei dieci anni successivi, invece, sono stati abbattuti solo 12mila ettari e molte aree, che all’inizio degli anni Duemila erano in degrado, sono state rigenerate, anche grazie alla decisione di ripiantare alberi.

Nel 2021, il Gabon è diventato il primo Paese africano a ricevere una ricompensa in denaro per aver ridotto la deforestazione e le emissioni di anidride carbonica derivanti dal degrado dell’ambiente forestale. Sulla base di un accordo siglato due anni prima, la Central african forest initiative (Cafi) – un’intesa tra donatori occidentali e Paesi del Sud globale per la protezione delle foreste – ha erogato al Gabon 17 milioni di dollari. Ogni dollaro corrisponde a una tonnellata di CO₂ non emessa (rispetto alla media del Paese tra il 2005 e il 2014) per un massimo di 150 milioni di dollari in dieci anni.

I fondi saranno destinati a progetti per la protezione della foresta e la ricerca scientifica. Il Gabon infatti è sempre più centrale nella lotta ai cambiamenti climatici: in media, la sua foresta assorbe 140 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno (mentre il Paese ne produce solo 40). A catturare così tanta CO₂ sono specie vegetali molto vecchie, con una capacità di trattenimento superiore a quella degli alberi dell’Amazzonia.

Viaggio sul fiume Congo da Kinshasa a Kisangani nel luglio 2006, foto di Ennio Massignan

Rdc, campione di deforestazione

Il 53% della foresta del fiume Congo (107 milioni di ettari) si trova nella Rdc, lo Stato dove la deforestazione si manifesta con maggiore forza: dal 2002 a oggi, sono andati persi il 35% della superficie coperta da alberi e il 5,6% della foresta primaria. Particolarmente colpite sono le foreste della pianura Nordoccidentale, della costa e, soprattutto, della zona montuosa orientale.

Quest’ultima è una delle regioni africane più ricche di biodiversità tanto che vi si trovano aree protette come il Parco Virunga, il Parco nazionale dei monti Rwenzori e il Parco nazionale dei vulcani. Ma, nonostante la loro presenza, bracconaggio, taglio abusivo di legname e deforestazione per agricoltura di sussistenza e attività estrattive sono molto diffusi. Pratiche spesso illegali, frequentemente controllate dagli attori armati attivi nell’Est della Rdc (vedi MC 03/2024) e incentivate dalla situazione di conflittualità perenne e dalla mancanza di istituzioni statali solide e servizi adeguati.

Produrre legname è molto redditizio e per molte famiglie costituisce una fonte fondamentale di sostentamento: in un Paese dove la rete elettrica è limitata e i prezzi di gas e petrolio sono elevati, il legno fornisce energia al 90% della popolazione. Così come importanti sono anche l’estrazione mineraria artigianale e l’agricoltura di sussistenza, la quale, soprattutto quando è itinerante, comporta alti tassi di deforestazione.

Senza dimenticare le multinazionali che, grazie alla corruzione di agenti statali, si aggiudicano (spesso in aree protette) vaste concessioni per taglio di legname o estrazione mineraria. Nel nome del massimo profitto possibile, si curano ben poco della tutela dell’ambiente naturale e dei suoi abitanti.

Fiume Congo a Saint Hilaire a Kinshasa – di Rinaldo Do

Petrolio e gas

Alla deforestazione nella Rdc contribuiscono anche politiche governative confuse e poco interessate alla conservazione ambientale. Nel 2021, anche il governo congolese aveva siglato un accordo con la Cafi: 500 milioni di dollari se la Rdc avesse rigenerato otto milioni di ettari di foresta in degrado e istituito aree protette sul 30% della sua superficie.

Ma lo stesso anno, la ministra dell’Ambiente, Eve Bazaiba, aveva annunciato la fine di una moratoria del 2002 che impediva l’assegnazione di nuove concessioni per il taglio di legname. Non che fosse realmente necessario: secondo Greenpeace (Ong per la tutela dell’ambiente), la disposizione era già stata violata più volte persino dal precedente ministro dell’Ambiente, Claude Nyamugabo. Mentre il governo aveva aperto il 40% del Parco nazionale di Salonga all’esplorazione petrolifera.

Alla fine di luglio 2022 poi l’esecutivo ha indetto un’asta: in palio c’erano 27 aree per lo sfruttamento di petrolio e tre per il gas. Molte si collocano in ecosistemi critici come il Parco Virunga o in zone coperte dalla torbiera tropicale più grande al mondo. Mentre le concessioni di gas si trovano nel lago Kivu.

Si stima che le risorse estraibili ammontino a 600 miliardi di dollari, ma devastazione ambientale, inquinamento e impatto sulle popolazioni locali (che non sono state consultate) rischiano di essere incalcolabili.

A giustificare la decisione è stata la ministra dell’Ambiente: «Abbiamo le risorse di suolo e sottosuolo: è su questo che tratteremo con il resto del mondo». La tutela della foresta può aspettare.

Aurora Guainazzi

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Bacino fiume Congo
Aurora Guainazzi
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