A cuore e piedi scalzi

Con Missio giovani ai confini di Laos e Myanmar

Testo e foto di Maristella Tommaso


Ottobre, quest’anno, oltre a essere stato straordinario per desiderio del Santo Padre, lo è stato per me in modo particolare per ciò che la missione ha donato alla mia vita, per i cammini di liberazione che ho incrociato lungo la mia strada e per il calore, l’affetto, la presenza della gente incontrata nelle terre meravigliose dove i miei piedi si sono poggiati.

Ho ventisette anni, insegno e sono innamorata del mondo in tutte le sue sfumature, i suoi colori. Amo i bambini, i giovani che sono il presente, gli anziani che per secoli hanno custodito e protetto questo mondo, le donne e gli uomini della terra. Non riesco a immaginare la mia vita da «disinnamorata». Amo tutto ciò che la vita ci dona, accolgo tutto come un immenso regalo e mi sforzo di poter ricambiare al mondo l’amore che lui ha per me, per noi.

La mia vita è cambiata nel 2012 quando in Puglia ho partecipato a un primo incontro regionale di Missio Giovani, organismo della Cei che si occupa di animazione, formazione e cooperazione missionaria. Da quel momento ho iniziato a sognare di partire, di stare dalla parte degli impoveriti della terra, di mettermi in gioco e di sporcarmi le mani.

Così ho iniziato, piano piano, a benedire i miei piedi con la terra sacra dei paesi visitati: il Brasile, la Palestina, il Benin, per continuare a cercare e ad amare il Signore nei volti, nei sorrisi, negli abbracci, nelle lacrime di chi incontravo.

Nel Nord della Thailandia

Il 23 agosto scorso sono tornata dalla Thailandia, precisamente dal Nord, dalla diocesi di Chiang Rai (costituita nel 2018), ai confini con Myanmar e Laos, e il cuore fa ancora fatica a staccarsi da quella terra magica, meravigliosa, verdeggiante, sorprendente. Sono partita grazie all’esperienza estiva che Missio Giovani Italia organizza ogni anno ed ero insieme ad altri 16 giovani e 2 accompagnatori: Anita Cervi, formatrice presso il Centro unitario per la Formazione missionaria (Cum) e Giovanni Rocca, segretario nazionale di Missio Giovani.

Siamo abituati a vedere la parte turistica della Thailandia, le calette caratteristiche, il mare cristallino, la Bangkok caotica e lussuosa, gli hotel da sogno sulle palafitte, le scimmie addestrate, gli elefanti costretti a trasportare turisti sul loro dorso… ma mai nessuno parla di un’altra Thailandia. Quella poco turistica, ma proprio per questo motivo splendida, quella impoverita e nello stesso tempo ospitale, quella che respira gli influssi del Laos e del Myanmar, che ama gli incontri e ama la gente. La Thailandia del Nord, ricca di storia e di storie, di vite che si intrecciano e di culture.

Ambientazione e mandato

Siamo partiti il 1° agosto da Roma e dopo più o meno 15 ore di aereo ci siamo ritrovati a Chiang Mai (diocesi dal 1965, fondata come missione nel 1931), dove ci ha subito accolto don Attilio, sacerdote fidei donum che è parte del gruppo di dieci sacerdoti del Progetto Triveneto, sostenuto dalle diocesi del Veneto. Ospitati dalla diocesi, i primi tre giorni ci siamo fermati a pensare, a giocare, a riflettere, a riscoprirci anche con l’aiuto di Anita Cervi. Con Giovanni Rocca, invece, abbiamo scoperto la Thailandia, le sue tradizioni e cultura, e abbiamo conosciuto le quattro missioni in cui saremmo stati destinati.

Quei giorni di preparazione e formazione sono stati un mix di ansia, paura, entusiasmo e gioia. Le emozioni, tutte, positive e negative, ci scorrevano nelle vene… e la cosa più bella era capire che eravamo sorelle e fratelli e tutti provavamo le stesse cose.

Domenica 4 agosto, durante la messa, abbiamo vissuto il bellissimo momento del mandato, quando ci hanno consegnato la croce verde, gialla, rossa, blu e bianca simbolo di Missio. I gruppi erano formati: un gruppo a Mae Sai, un altro a Chiang Cam; il terzo a Chiang Saen, e il quarto a Nan. «Si inizia», ci siamo detti. Davvero tutto stava iniziando e tutto si stava realizzando.

 

Verso Chiang Saen

Il lunedì, zaini in spalla, ci siamo divisi e siamo partiti per raggiungere le nostre destinazioni. Durante il tragitto abbiamo fatto tappa al Tempio Bianco, dove abbiamo potuto ancora una volta, come già fatto a Bangkok, ammirare la meraviglia dei templi buddhisti e apprezzare la cura con cui i fedeli vivono la loro religione. È stato bellissimo essere a stretto contatto con un’altra religione e sapere che tra cristiani, buddhisti e musulmani c’è un bellissimo rapporto di stima reciproca, di collaborazione e di amore profondo per il creato.

Giunti alla missione siamo subito stati accolti dalle missionarie, dai missionari, dalle ragazze e dai ragazzi che vivono con loro. Ci hanno fatto sentire a casa come membri della loro grande famiglia. Le nostre giornate si sono svolte nei villaggi, nelle risaie o nella struttura insieme alle ragazze e ai ragazzi. Abbiamo persino fatto giardinaggio, piantato e raccolto riso, preparato 150 panzerotti durante la festa della mamma (in Thailandia si festeggia nel giorno del compleanno della Regina Madre, il 12 agosto). Ci siamo imbattuti nei mestieri più strani, pensando di non esserne capaci. Abbiamo provato l’ebbrezza di lasciarci coccolare dall’altalena akha (gli Akha sono una tribù thailandese presente soprattutto nel Nord) che viene costruita proprio durante i giorni della festa dell’Assunta per far divertire i bambini del villaggio (…e anche noi grandi!).

Sono stati giorni intensi di accoglienza, di collaborazione, di pazienza, di adattamento, di prova, spesso giorni stancanti… ma sempre stracolmi di bellezza. Abbiamo apprezzato la cura con cui ogni missionaria e ogni missionario porta avanti l’opera di Dio, prendendo sulle proprie spalle i più piccoli della terra, mettendosi costantemente al servizio dei più poveri e degli indifesi, mangiando con loro, sporcandosi ogni giorno le mani nella terra per confermare l’amore per tutto il Creato.

Condivisione

Ci tengo, mentre scrivo di quella che è stata per me la Thailandia, a raccontare un aneddoto che ha stravolto la mia vita, il mio sguardo, il mio tutto. Una sera, di ritorno da un villaggio dove avevamo passato la notte, raccontavamo alla suora che ci seguiva come fossimo rimasti meravigliati del fatto che alle sei del mattino sul nostro tavolo per la colazione avevamo trovato ben 30 ciotoline diverse piene di cibo. Lei ci ha risposto con una semplicità disarmante: «Avete visto? Non bisogna avere tanto per fare grandi cose. In quel villaggio ognuno vi ha portato quel poco che aveva, che era diverso dal poco dell’altro… e dal poco di ognuno è venuta fuori una tavola stracolma di bontà che avrebbe sfamato tantissima gente».

È proprio vero. Dal poco di ognuno vien fuori il moltissimo di Dio.

Partire è…

La missione mi ha cambiato la vita, le partenze me l’hanno stravolta, la gente incontrata mi ha fatto capire quanto bella fosse la mia esistenza così intrecciata all’esistenza delle altre e degli altri. A chi mi chiede se è bene o no partire, senza esitare rispondo che partire è camminare, partire è respirare, partire è crescere, è osare, è scoprire che in qualsiasi parte del mondo tu vada, avrai sempre una famiglia che sarà pronta ad accoglierti, ad amarti.

«Tutto il mondo è la mia famiglia», canta Jovanotti… ed è proprio così. I nostri piedi inevitabilmente si incroceranno con altri piedi, le nostre mani si sporcheranno con altre mani e il cuore batterà per e con altri cuori. La missione è stare con la gente, fermarsi a mangiare con loro, stare sotto un albero a chiacchierare, giocare con i bambini, aiutare le ragazze a studiare. La missione è «stare» nella libertà di essere ciò che si è insieme agli altri!

La missione è tutto ciò che di più semplice possa esserci. Ed è proprio questa semplicità che ha reso la mia vita straordinaria, proprio perché è vita insieme ad altre vite, storia insieme ad altre storie, cammino insieme ad altri cammini di liberazione.

Semplicità straordinaria

I piedi scalzi con cui si sta spesso in questa terra immensa ci siano di esempio per la vita, perché bisogna spogliarsi, vivere dell’essenziale, sporcarsi per poter essere prossimi, per poterci prendere cura, per poter amare.

«A cuore scalzo», canta Max Gazzè. «A cuore e a piedi scalzi» continuo io, perché la Chiesa che sogniamo sia sempre più povera con i poveri, priva di fronzoli, essenziale, compagna delle donne, degli uomini e dei bambini della terra, umile proprio perché la terra la tocca, la sente sotto i piedi e la ama. Continuiamo a ricercare la bellezza, l’essenziale. Continuiamo a mettere in atto una rivoluzione dell’amore, continuiamo a mettere i cuori gli uni vicino agli altri, a sentire qualsiasi ingiustizia della terra nelle nostre vene, continuiamo a lottare per il bene di tutte e di tutti… e partiamo se ne sentiamo il desiderio e lasciamoci travolgere dall’immensa straordinarietà che vi è negli stili di vita, nelle culture diverse, nell’accoglienza, nel sentirci tutti appartenenti alla stessa terra, allo stesso mare, collaboratori di un sogno grandissimo. Quello che si realizza nell’innalzare ponti, nell’abbattere muri, nell’eliminare qualsiasi confine, nel volere una Chiesa che sia grembo accogliente, scalza. Il sogno di una Terra in cui tutti si sentano sorelle e fratelli, senza più discriminazioni, senza lasciare indietro nessuno, senza esclusioni e senza più oppressi ed oppressori, ricchi e poveri.

Un sogno che è anche il sogno di Dio, ne sono certa. Sogniamo con lui… e realizziamolo!

Maristella Tommaso


Chiang Saen

Costruita nel 545 d.C. Chiang Saen, nel Nord della provincia di Chiang Rai, era una città importante del regno di Lanna (o Lannathai) durato fino al 18° secolo. È al Nord della Thailandia, quindi nella parte verdeggiante, in cui scorrono fiumi – in particolare il famoso Mekong -, si innalzano montagne che ospitano ai loro piedi villaggi, nella parte che profuma di fiori, tutti diversi e tutti colorati, che è piena di natura incontaminata. Quasi un paradiso terrestre vero e proprio… ma anche là dove sembra tutto perfetto, in realtà si svolge la vita di chi non ha nulla, di chi vive in case di lamiera, di chi non ha un lavoro, di chi per anni ha fatto uso di droghe e ancora adesso non riesce ad uscirne.

Era a pochi chilometri dal cosiddetto Triangolo d’Oro, ai confini con il Myanmar e il Laos, luogo che per anni è stato il centro dello spaccio mondiale, della cultura dell’oppio e della sua coltivazione. Moltissima gente è stata arrestata e messa in carcere per aver fatto uso di droghe e moltissimi bambini sono cresciuti senza genitori. Il Nord della Thailandia è abitato, più che da thailandesi, da birmani dei gruppi etnici Akha e Lahu, come quasi tutte le ragazze della casa, che dal Myanmar arrivano in Thailandia come rifugiati e profughi senza documenti e senza educazione formale. Questo li taglia fuori dalle opportunità di lavoro, per cui spesso vivono nell’illegalità. Violenza e abuso di sostanze stupefacenti sono rampanti nella regione, molte famiglie vivono in estrema povertà.

L’evangelizzazione nella regione è iniziata nel 1931 con l’arrivo dei primi due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi a Chiang Mai, capitale della regione, diventata diocesi nel 1969. Nel 2018 è stata creata la diocesi di Chiang Rai. La comunità cristiana di Chiang Saen è seguita da missionari gesuiti.

I giovani di Missio sono stati accolti nella «Casa Lilia», dal 2013 gestita dalle Sorelle della Provvidenza (fondate a Udine nel 1837) che ospita una trentina di ragazze orfane o di famiglie molto povere.

M.T.

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