Come in Senegal, Burkina Faso e Congo Rd, anche a Brazzaville i giovani si mobilitano. Trascinati dai loro eroi musicali, i rapper, scendono in piazza. Chiedono democrazia e diritti. Con coraggio, rivendicano un futuro diverso da quello dei loro padri. Il movimento di chi «ne ha abbastanza» cerca di svegliare i congolesi.
Martial Pa’nucci si definisce artista-rapper, attivista, autore, compositore e poeta urbano. Di certo è un giovane congolese che si è messo in gioco per il suo paese. Lo abbiamo sentito per il suo ruolo di portavoce del movimento sociale giovanile «Ral-le-bol», che si è opposto alla ricandidatura e rielezione di Denis Sassou Nguesso a presidente della Repubblica. E per questo ne ha subito le conseguenze.
Il suo nome da artista, Martial, lo ha voluto in italiano, «perché – ci dice – sono un fan della cultura italiana». Si tratta di un acronimo, Pa’nucci, il cui significato è: Purista, a’ccro (ovvero: attaccato al rap puro), negro, ultra-rivoluzionario, cosciente e contro l’ingiustizia.
Ral-le-bol, invece, in francese significa letteralmente esasperazione, «en avoir ral-le-bol», vuol dire avee abbastanza. Martial accetta di rispondere alle domande di MC sulla situazione del paese.
Come si caratterizza il vostro movimento e cosa chiedete?
«Ral-le-bol è un movimento pro democrazia che lotta per il risveglio della coscienza cittadina. Quando ancora c’erano le autorità in Congo – adesso non c’è più uno stato legittimo – chiedevamo il rispetto dell’ordine costituzionale. Ma la Costituzione del nostro paese è stata purtroppo violata e oggi chiediamo ancora uguaglianza per tutti, acqua potabile, cibo, casa. Sono problemi di base, ma continuano a porsi con una certa ampiezza in Congo. Noi rivendichiamo la giustizia sociale, il benessere, il rispetto dei diritti umani e della democrazia.
Il movimento Ral-le-bol è nato nel dicembre 2014, ben prima che la situazione precipitasse, ed è stato un “ral-le-bol” di giovani, studenti, artisti, che ne avevano abbastanza di vedere il paese in continua regressione, i diritti umani non rispettati, la gente che non mangia a sazietà, la qualità dell’educazione che non è buona, la mancanza di acqua ed elettricità, la violenza poliziesca continua. Vediamo tutti i momenti delle ingiustizie, il saccheggio dei beni pubblici e dei fondi. Così siamo nati per cercare di portare una soluzione a tutti questi problemi, utilizzando lo strumento della rivendicazione».
Chi sono i membri di Ral-le-bol?
«È un movimento con molti giovani, direi dai 20 ai 30 anni. All’inizio eravamo in maggioranza artisti e studenti, ma poi si sono uniti lavoratori, funzionari, disoccupati. È un movimento che raggruppa tutti. Io sono musicista rapper e scrittore».
Cosa avete fatto per il referendum e per le elezioni e come ha reagito il potere?
«Per lottare contro la modifica della Costituzione, nel 2015 abbiamo iniziato a portare la Carta verso i cittadini, per spiegare loro perché è importante rispettarla. E anche se ci sono delle modifiche da fare, occorre che si prenda il tempo necessario. Il presidente della Repubblica aveva terminato i suoi mandati e il testo gli proibiva di ricandidarsi. Abbiamo cominciato quindi con campagne di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale, in particolare a Brazzaville e Point Noire, le due città principali del paese, dove c’è una forte concentrazione di popolazione.
È stato un “porta a porta” per sensibilizzare, e alla fine abbiamo organizzato, insieme ad altri movimenti, una marcia di protesta pacifica il 9 ottobre 2015. Purtroppo questa manifestazione è stata repressa dalla polizia e dalla gendarmeria che ci hanno dispersi, e hanno arrestato 6 dei nostri attivisti. Questi sono stati giudicati, e condannati a 3 mesi di prigione e a una multa di 150.000 franchi (ca. 228 euro). Intanto, quelli che erano scampati all’arresto non erano tranquilli perché temevano che la polizia volesse prendere tutti. Fortunatamente sono stati risparmiati. Gli arrestati sono stati condannati a torto in quanto esigevamo solo il rispetto della Costituzione e il diritto alla manifestazione».
Con voi c’erano altri movimenti sociali?
«Assieme a noi, il 9 ottobre c’era il movimento dei giovani cittadini (Mjc), che purtroppo dopo si è alleato alla maggioranza presidenziale, e ha tradito la causa. Il leader di questo movimento si è poi ritrovato consigliere di uno dei ministri eletti alle elezioni truccate. E c’era l’Amicale nell’organizzazione di questa manifestazione di protesta».
Anche tu sei stato arrestato?
«No, fortunatamente sono riuscito a salvarmi e sono fuggito, quando hanno iniziato a tirare le bombe lacrimogene. Perché sapevo che sarebbe finita con degli arresti. In seguito il mio ruolo è stato capitale nella denuncia della situazione attraverso certi media inteazionali, cosa che ha evitato che i nostri amici fossero accusati di essere ribelli. Infatti i governativi, al loro arresto, per accusarli hanno messo loro in mano delle armi. Trenta minuti dopo abbiamo informato la stampa internazionale, che ha fatto fallire questa messa in scena».
Dopo gli arresti del 2015 avete avuto altri problemi con le autorità?
«Due mesi dopo la marcia è stato arrestato un altro nostro militante, Andy Bemba, che è stato rilasciato solo a fine agosto. Ha passato otto mesi senza processo, poi è stato liberato anche grazie a delle pressioni nazionali e inteazionali. Recentemente, non più tardi di qualche giorno fa, (20 ottobre) abbiamo ancora subito attacchi al nostro movimento, con minacce di arresto per Franck Nzila, un altro militante. Sono andati al suo ristorante, hanno arrestato il suo cuoco perché lui non c’era e poi lo hanno liberato dopo 5 giorni di detenzione. È stato poi liberato con l’aiuto dell’Ocdh (Organizzazione congolese per i diritti umani, ndr)».
Poi ci sono state le elezioni presidenziali anticipate.
«La posizione di Ral-le-bol era quella di rimandare le elezioni, perché secondo noi non c’erano le condizioni affinché si tenessero consultazioni libere, trasparenti e rispettose di tutte le regole democratiche. Abbiamo pubblicato un comunicato su questo, ma il potere, che si manifesta sempre con la forza, ha fatto in modo che si tenessero a tutti i costi il 20 marzo. Avevamo anche messo in piedi un’operazione di prossimità, per dire ai cittadini che eravamo contro queste elezioni, perché il presidente si sarebbe imposto con la forza.
Abbiamo detto alla gente, quando votate, restate sul posto per aspettare i risultati, per mostrare alla comunità nazionale e internazionale come questo signore froderà. Nella notte del 20 marzo tutti sapevano già che Sassou aveva perso le elezioni. E aspettavamo di vedere cosa sarebbe successo. Ma il seguito è stato drammatico.
In effetti tutte le previsioni lo davano perdente. A causa delle condizioni nelle quali ha messo il paese, i congolesi non volevano rieleggerlo. Sassou ha sempre imbrogliato e non ha mai vinto un’elezione in maniera trasparente. La prima votazione libera fu nel 1992, e lui la perse.
Per questo noi di Ral-le-bol, sapevamo che avrebbe perso ma che avrebbe voluto imporsi».
Parlando della società civile in Repubblica del Congo, oggi a che punto siamo?
«È molto indebolita. Sassou sapeva che è stata proprio la società civile a farlo cadere nel 1992. Così appena è tornato al potere, con le armi, ha fatto di tutto per metterla all’angolo. Oggi in Congo possiamo dire che una parte della società civile è comprata dal potere e parla il suo stesso linguaggio. Poi c’è qualche piattaforma di organizzazioni che riesce ad andare avanti, ma è debole e con il clima di terrore che regna nel paese non riescono a fare grandi cose. Quindi è allo stesso tempo indebolita o asservita al potere. E un paese non può svilupparsi con una società civile di questo tipo.
Posso dire che tra noi c’è collaborazione, perché con certe piattaforme riusciamo a comunicare e anche a collaborare. Parlo ad esempio della fondazione Ebina, che fa parte delle Ful-d (Forze unite per la libertà e la democrazia), dell’Ocdh e dell’Associazione per la promozione della cultura, la pace e la nonviolenza».
Siete in una rete internazionale?
«Abbiamo collegamenti con movimenti di cittadinanza attiva come il nostro in altri paesi africani. Con le tecnologie di oggi possiamo comunicare regolarmente e scambiare idee. Talvolta riusciamo a incontrarci in occasione di qualche festival. Penso a Balai Citoyen del Burkina Faso, Filimbi e Lucha della Rdc e Y en a marre del Senegal, con i quali collaboriamo e scambiamo idee. In particolare ci siamo ispirati ai senegalesi, che sono stati i primi a costituirsi».
Come fate a finanziare le vostre attività, i viaggi, gli incontri?
«Nel rispetto dei testi statutari di Ral-le-bol noi funzioniamo grazie alle quote associative dei membri, ma accettiamo anche doni, aiuti e finanziamenti che possono aiutarci a realizzare le attività. Questo non vuol dire che ne abbiamo già ricevuti, finora abbiamo potuto contare solo sui nostri mezzi.
Come membri attivi siamo un centinaio e come membri con partecipazione saltuaria e simpatizzanti siamo a circa 500».
Cosa sta succedendo nel dipartimento del Pool?
«A livello ufficiale c’è una ribellione che sarebbe ricominciata. Quello che si può dire è che da ottobre 2015 a oggi, Sassou ha iniziato un processo nel quale chiunque si opponga al regime o esiga il rispetto della legge, o chieda giustizia, è sistematicamente arrestato, oppure scompare, o viene torturato. Oggi ci sono circa 100 persone in prigione per questi motivi, di cui diversi oppositori, ma il governo sostiene che non ci sono detenuti politici in Congo.
Il 4 aprile 2016 il potere di Brazzaville ha fomentato un colpo di mano. Lo stesso momento in cui hanno iniziato a sparare, verso le 2 del mattino, si proclamavano i risultati ufficiali delle presidenziali. E gli scontri sono proseguiti fino alle 16. Si sparava nei quartieri Sud di Brazzaville. Questo è stato fatto per evitare che la gente scendesse in strada a protestare contro i risultati. Ma non è stato sufficiente, e allora si è cercato un capro espiatorio per dire che c’era un colpevole. Per questo si è accusato Pasteur Ntumi di essere alla testa di un gruppo di ninja, quando tutti sappiamo che questi sono stati disarmati oltre 15 anni fa. Come hanno avuto le armi per attaccare e fare la guerra? I ninja si nasconderebbero nel Pool e così si è cominciato a bombardare la popolazione civile. Sono i civili innocenti che stanno morendo nel Pool, non sono dei guerriglieri.
In quale paese si può accettare che l’esercito bombardi con elicotteri militari la popolazione disarmata? Non è uno scontro con un altro paese. È terribile quello che sta succedendo».
La comunità internazionale, i cosiddetti «amici del Congo», le potenze come Francia e Usa, cosa fanno?
«Oggi i congolesi sono molto delusi dal comportamento della Francia che appoggia ancora il regime di Brazzaville. Perché non dimentichiamo cosa ha detto Hollande quattro giorni prima del referendum anticostituzionale del 2015. Di fatto ha autorizzato il governo a violare la Costituzione, quando qualche tempo prima all’Assemblea generale della Francofonia (organizzazione mondiale che raggruppa i paesi francofoni, ndr), in Senegal, si era opposto alla ricandidatura di Nguesso.
Sono delusi del comportamento della comunità internazionale, perché tutte le nazioni che si dicono protettrici dei diritti dell’uomo, quando si tratta di altri paesi parlano, ma quando si tratta del Congo tacciono. In Congo continuano a morire cittadini che non hanno nulla a che vedere con la politica. Ed è terribile vedere che si continui a uccidere congolesi senza che la Francia dica qualcosa. Siamo molto delusi da tutti questi paesi che non fanno assolutamente nulla per aiutare il Congo a uscire dalla dittatura».
Pensi sia dovuto agli interessi per il petrolio?
«La Francia e gli altri stati guardano le situazioni dei paesi con gli occhi dei loro interessi. Ovvero se hanno affari in un paese, e questi sono garantiti, allora si possono anche uccidere le persone, tutti i giorni. Non è un loro problema. Ma questo è triste perché sono paesi che si dicono culla dei diritti e delle libertà.
Gli Usa hanno condannato la deriva in atto, ma questo non basta. Occorrono sanzioni, bisogna tagliare gli aiuti e la cooperazione, è così che si può aiutare la popolazione. È necessaria un’inchiesta internazionale, ma non è in agenda.
Inoltre si parla poco della Repubblica del Congo a livello di media inteazionali.
Quando, durante le elezioni, siamo rimasti quasi una settimana isolati dal mondo, poco si è scritto. E dopo un tale black out, Sassou si è imposto con la forza e ha utilizzato l’esercito contro la popolazione. Ma nessuno ne parla. Non lo trovo normale. L’opinione pubblica non capisce perché i congolesi si rivoltano, ma noi sappiamo che questo potere è illegittimo, illegale».
Qual è la vostra visione sul futuro del paese?
«Il movimento Ral-le-bol esiste soprattutto per far crescere la coscienza cittadina. Come ci sono problemi oggi, ce ne saranno in futuro. Ma bisogna che tutti i congolesi si alzino in piedi come un solo uomo per dire no all’ingiustizia. E noi continueremo a lavorare su questo terreno. Siamo sicuri che il Congo sarà libero ma occorrerà che tutti i congolesi possano impegnarsi per lottare contro la dittatura e i crimini economici che si stanno perpetrando.
C’è infatti anche una grave crisi economica, la cui causa è il governo. Ma chi detiene il potere crea diversivi, come la presunta guerriglia, in modo da non essere scoperti e continuare a dirigere il paese.
Noi vogliamo che il Congo sia un paese di diritto, giustizia e uguaglianza e che quelli che lo hanno messo in questa situazione siano giudicati e paghino per quanto hanno fatto».
Marco Bello