Cari missionari

Dossier Nyerere

Ciao, padre Francesco,
ho letto con vero piacere il tuo dossier su «Nyerere santo» (MC 10/2011). Congratulazioni! Ti ho invidiato quando ho letto che Nyerere si è fermato sulla strada per parlare con te. Io l’ho incontrato tante volte a Iringa e a Dar Es Salaam, ma non ho mai avuto la fortuna di parlargli a tu per tu. Il giorno che gli sono stato assieme più a lungo è stato quando ha partecipato a Ubungo alla consacrazione della chiesa parrocchiale. Temo che non lo faranno santo per via della guerra contro l’Uganda e che l’Uganda non gli perdona.
Mi ha un po’ stupito che non abbia parlato della sua conferenza alle Suore di Mariknoll, radunate per gli Esercizi spirituali, quando fu in America per la prima volta. Era una conferenza illuminante e da lì è partito il motto: il missionario deve «lavorare con», non «lavorare per». Un altro discorso illuminante è stato quello fatto all’università di Makerere (Uganda), che dopo l’indipendenza gli aveva offerto la laurea honoris causa. Le parole che mi hanno colpito sono pressappoco queste: «Mi hanno condannato a sei mesi di prigione per il libello che ho scritto contro un ufficiale inglese, oppure a 5 mila dollari di multa. Avrei potuto scegliere i sei mesi di prigione (nelle prigioni inglesi non si stava male) e diventare eroe, col rischio di far sorgere venti di guerra. Ho preferito l’umiliazione di pagare la multa».
In preparazione all’indipendenza, in un incontro con il comitato che doveva stabilire le condizioni per la nazionalità del Tanzania, si è decisamente opposto a che l’africanità (o altro del genere) divenisse un requisito essenziale. Se non si fosse accettato di definire importante solo la lealtà al paese (il ministro delle finanze era un indiano), si sarebbe ritirato dalla politica.
Auguri a tutti che possiate fare tanto bene.
p. Giulio Belotti
Alpignano (TO)

Carissimo padre Giulio, grazie delle informazioni preziose. Grazie anche dei rilievi critici, che condivido. Non ho accennato al celebre discorso alle Suore di Mariknoll per mancanza di spazio. Avevo scritto anche un inserto sul «Tanzania oggi», ma non è stato pubblicato (penso) proprio perché lo spazio è tiranno in una rivista. Grazie, infine, dell’augurio di fare tanto bene. Io mi accontenterei di fae solo un po’.
 p. Francesco Beardi
Bunju, Tanzania, 4/10/2011
È vero, lo spazio è tiranno, e ci dicono anche che mettiamo sempre troppo testo! Lo scritto di p. Francesco su «Tanzania oggi» è solo rimandato. Apparirà presto.

RETTIFICA
Abbiamo anche ricevuto diverse telefonate e lettere a proposito della confusione fatta tra mons. Marinangeli e mons. Beltramino (ambedue Attilio) nell’ultima foto del medesimo dossier. La signora Elena Bottoni, affezionata lettrice della rivista e pronipote di mons. Beltramino, scrive:
«Alla pagina 50, c’è la foto del vescovo nel giorno della cresima del figlio di Nyerere. Vi voglio solo correggere, perché il vicario apostolico di Iringa lì raffigurato è mons. Attilio Beltramino e non Marinangeli come voi asserite. Visto che nella vostra edizione mensile non lo ricordate mai(!); almeno per una volta dategli il giusto nome, anzi cognome».
Chiediamo ancora scusa dell’errore! Quando mons. Beltramino è morto a Tosamaganga, il 3 ottobre 1965, questo direttore aveva fatto solo il suo primo anno di seminario tra i missionari della Consolata! (Non è un granché come scusa, lo so…)

Grazie
Ci siamo trovati improvvisamente, a inizio settembre, nella necessità di recarci in Venezuela per rimpatriare il fratello/cognato Gaetano, residente nel paese da oltre 35 anni, colpito da infarto cerebrale. Siamo partiti senza conoscere esattamente le condizioni di salute di Gaetano. Non conosciamo lo spagnolo, per questo abbiamo cercato un appoggio in grado di aiutarci sia nella logistica che nel risolvere le numerose pratiche necessarie per il rientro in Italia di Gaetano. Questo aiuto l’abbiamo trovato nella missione della  Consolata di Caracas. Il superiore, p. Lisandro insieme ai pp. Andrea e Vilson ci hanno accolto con grandissima attenzione e disponibilità sia al nostro arrivo (noi poi abbiamo proseguito per Cumanà, dove era ricoverato Gaetano) sia al ritorno a Caracas. L’assistenza a Gaetano nei giorni precedenti il viaggio di ritorno, le pratiche con il Consolato per il rinnovo del passaporto, l’ottenimento dell’assistenza al volo si sono concretizzate in tempi molto rapidi grazie all’aiuto generoso ed efficace dei padri della Consolata. Con grande affetto e riconoscenza ringraziamo anche a nome di tutta la nostra famiglia i padri che con estrema semplicità ci hanno offerto il grande dono della loro amicizia.
Luigi Veronesi
e Piero Bredi
Milano, 29/09/2011

20 giorni in Thailandia
Buon giorno, sono d’accordo con il vostro corrispondente da Bangkok Stefano Vecchia. Ho potuto constatare con i miei occhi durante il mio soggiorno per vacanza a Bangkok e Koh Tao l’estrema povertà e infelicità della popolazione. Frequentando la stazione dei treni ho potuto vedere dei poveretti che giacevano lungo il corso dei binari come i nostri senzatetto, ma molto malridotti, e bimbi che vivevano per strada soli senza famiglia. Al mercatino venivano vendute persino le dentiere usate e rientrando da una visita ad un’altra città alle quattro del mattino ho notato che la gente che vive nei tuguri della periferia di Bangkok dove passa il treno, lavora giorno e notte per cucinare quello che altri vendono lungo le vie della città, e per passare da una casa all’altra devono attraversare le case altrui senza nessuna privacy. Lo sguardo delle persone era molto triste anche perché stanno demolendo le case fatiscenti per farci degli hotel di lusso e quindi spingono gli abitanti meno abbienti ad andarsene in periferia dove ci sono le bidonville. Ho visto donne che sotto il sole cocente lavoravano nell’edilizia accanto agli uomini facendo lavori pesantissimi, senza parlare poi degli animali che sono trattati peggio delle cose. I thailandesi sono gentilissimi, ma penso che se si sono ribellati poco tempo fa con le camicie rosse al regime è per la forte disuguaglianza tra ricchissimi e poverissimi. Sono tornata a Milano veramente scioccata da questa realtà che tra l’altro sta distruggendo anche le isole più belle perché, non essendoci un sistema fognario, i liquami che si possono vedere e annusare in superficie accanto alle case vengono versati tutti a mare con conseguenze ben immaginabili. Spero che la situazione possa migliorare altrimenti non posso che compiangere quella popolazione! Cordiali saluti
Mirella De Gregorio
Milano, 1/10/2011

Due Chiese?
Salve, ho letto con molto interesse e frutto il numero di ottobre della vostra rivista. Mi permetto di rilevare tuttavia alcune imprecisioni conceenti l’intervista a Paolo Bertezzolo in merito al suo libro «Padroni a Chiesa nostra» (articolo «La croce e la spada», Mc 10/2011 pp.19-21). Se sono d’accordo con lo scrittore sulla realistica visione che ha della strategia politica e sociale della Lega nord, non credo che egli abbia molto chiaro il catechismo di base. Mi spiego: in primis, non esistono due Chiese, una «che si rifà al modello del cattolicesimo di Pio V» (che ricordo essere sempre San Pio V) e una del «Vaticano II». Questa esclamazione mi suona tanto come un’applicazione di criteri umani alla Chiesa che è «colonna e fondamento della verità», come afferma s. Paolo e, come Cristo, nella sua Fede è la stessa «ieri oggi e sempre» (ancora l’apostolo delle genti). Inoltre sarebbe opportuno contestualizzare con più cura affermazioni come «Io non posso combattere gli infedeli… Ce lo dice tutta la Parola di Dio». Forse il professore non conosce l’Antico Testamento o l’Apocalisse? Saranno simboli ma sono pur sempre S. Scrittura. Non è con un rancoroso disprezzo del proprio passato che i cristiani annunceranno il Vangelo nel XXI sec. Spero di non urtare la sensibilità di nessuno, ma amo profondamente la S. Chiesa e reagisco a questa divisione (pre o post-conciliare) come un figlio che vede la propria madre squarciata in due, da altri figli che considerano brutta una parte di lei. La Chiesa è per me Tota pulchra et nigra (a causa di noi suoi figli), sed formosa. Chiedo le vostre preghiere e assicuro le mie. Cordiali saluti.
lettera firmata
5/10/2011

Caro amico che hai chiesto di restare anonimo, quando si parla di due chiese non si intende certo dividere la Chiesa che Cristo ha voluto una in Lui, come sua sposa, anzi come suo corpo.
Ma questa Chiesa vive nella storia, ed è in questa storia, fatta di tempo e di spazio, che realizza la sua fedeltà al suo Capo/Sposo che è Cristo. Se la fede in Cristo, che ha la sua pienezza nell’amore, rimane sempre la stessa, il modo di vivere ed esprimere questa fede cambia nel tempo, offrendo risposte nuove, fresche e vive al mondo presente.
La Chiesa è fatta di persone che cercano di vivere al meglio la fede nel loro presente. Quando si parla di un cattolicesimo «stile (san) Pio V» o «Vaticano II» si sottolinea il fatto che, pur nella continuità, non si può portare indietro il tempo e vivere come se nulla fosse successo. Lo «stile s. Pio V» era certamente innovativo rispetto a quello di s. Gregorio Magno, vissuto circa mille anni prima, o a quello di s. Clemente I, del primo secolo, ma non è certamente del tutto adeguato al nostro presente. Non si tratta di un «rancoroso disprezzo del proprio passato», ma di apprezzare il passato, senza usarlo per delegittimare il presente ed evitare gli errori di cui il beato Giovanni Paolo II ha chiesto perdono a nome di tutta la Chiesa.
è vero che nella Bibbia si parla molto di lotta e combattimento, soprattutto contro il male e il maligno, ma è un linguaggio che va inteso nella sua valenza simbolica non letterale, alla luce del «ma io vi dico» di Gesù (cf. Mt 5) che parla di amore per i nemici e invita a non lasciar spazio alla rabbia nel cuore.
Il reale problema della Chiesa oggi, lo dice anche il Papa, non viene da fuori, ma sta soprattutto nei moltissimi battezzati che non vivono il battesimo, non amano la Chiesa, non pregano più, non ascoltano la Parola, non vanno a messa, non accettano guide morali e sono sicuri di essere nella verità, perfettamente a posto pur riducendo la loro fede ad alcune pratiche formali e burocratiche. Se tutti gli italiani che hanno ricevuto il battesimo lo vivessero davvero, la Chiesa sarebbe davvero «tota pulchra et formosa».

KENYA 2011
Ancora una volta siamo tornati in Africa, in Kenya. Eravamo stati undici anni fa, in un viaggio organizzato dai padri della Consolata, purtroppo la realtà del Kenya di ieri non è mutata in meglio, anzi è, per certi versi, peggiorata.
La globalizzazione ha investito in modo pesante anche i paesi poveri, portando un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità (farina, riso, mais, fagioli) e quindi un peggioramento delle condizioni di vita per la popolazione più povera.
Fame, sete, aids, sono le realtà contro cui si combatte ogni giorno. I cambiamenti climatici, la deforestazione hanno determinato una siccità spaventosa, da due anni le piogge cadono irregolarmente e poco, per cui l’acqua sta diventando il bene più prezioso e più atteso. Ad ottobre dovrebbero arrivare le piogge, se non sarà così moriranno prima gli animali e poi tanti bambini.
In alcuni villaggi l’acqua delle fontane, da due anni, è razionata, ciò significa che solo una volta alla settimana è possibile fare rifoimento, con conseguenze facili da capire sul piano sanitario.
Quando pensiamo al Kenya la nostra fantasia corre alla savana, ai safari, alle distese sconfinate e selvagge, ma è sufficiente inoltrarsi nei villaggi per capire le difficoltà di vita soprattutto delle donne e dei bambini. Capanne di fango e di sterco di mucca, accolgono questa umanità che, comunque, pur tra mille difficoltà trova i mezzi per andare avanti. Esiste un’Africa fatta di donne che, da sole, sostengono la famiglia, provvedono all’acqua, alla legna (unica fonte di energia), zappano la terra con i bambini legati sulla schiena, partoriscono da sole.
Donne schiacciate da enormi bidoni d’acqua, da fasci di legna pesantissimi portati sulla schiena anche per diversi chilometri costituiscono un quadro che si ripete ogni giorno.
La donna è la vera forza della società africana, non per la sua emancipazione, ma per il coraggio con cui affronta la lotta quotidiana, non ultimo quella dell’aids. Abbandonata dal marito, vittima di credenze tribali, combatte per la sopravvivenza sua e dei suoi figli una battaglia talvolta dall’esito drammatico.
Ci sarà un futuro migliore per queste persone? L’unica strada da percorrere è l’istruzione, la donna istruita potrà prendere consapevolezza dei propri diritti, della propria sessualità; l’uomo istruito, non considererà più la donna un oggetto da sfruttare e da abbandonare quando è malata o incinta, ma insieme potranno intraprendere un cammino di cambiamenti.
è proprio la diffusione dell’istruzione, con la costruzione di aule scolastiche, l’obiettivo principale dei missionari e delle missionarie che, ogni giorno, condividono le difficoltà della gente.
Diffusione di scuole, formazione professionale, costruzione di pozzi e dispensari sono gli sforzi principali verso cui convergono gli aiuti dei centri missionari da noi visitati.
Anche la nostra associazione «I sogni dei bambini – onlus» si è unita a questi obiettivi provvedendo alla costruzione di due aule scolastiche in un piccolo villaggio nel distretto di Isiolo a nord di Nairobi, e aiutando un centro di formazione professionale per ragazzi di strada, a Nairobi, con l’acquisto di materiale e macchine per la realizzazione di finestre in ferro, sedie, mobili. Il nostro aiuto è una goccia in un mare di necessità e bisogni primari, di fronte ai quali ci si sente impotenti e angosciati, ma il sorriso di tanti bambini ci sprona ad andare avanti e a trovare quegli aiuti, anche piccoli, che laggiù possono salvare dalla fame e dall’ignoranza anche solo una vita.
Rosella e Mario
6/10/2011

Grazie della condivisione che fate. Il Kenya, come altre nazioni africane, è una terra di grandi contraddizioni e, più il tempo passa, più si nota il contrasto tra la vita di una minoranza ricca (anche ricchissima) e quella della gente normale.
Davvero i missionari hanno sempre investito, e continuano ad investire in educazione e formazione professionale, in questo aiutati proprio da chi sostiene i loro mille progetti, tra cui l’adozione a distanza. Grazie a tutti coloro che sostengono queste attività di lotta all’ignoranza e povertà, sia che lo facciano direttamente attraverso la nostra onlus che con le molte onlus legate a tanti singoli missionari.
Però il missionario non può limitarsi a sviluppo, educazione e sanità. Sua missione è quella di dare un’anima all’impegno per la promozione dell’uomo attraverso l’annuncio di Gesù. In Cristo ogni uomo ri-scopre e ri-apprezza le vere radici della sua dignità, perché in Lui ogni uomo si scopre per quello che è, figlio e figlia di Dio, uguale nella diversità, membro di una sola famiglia, la famiglia di Dio. Una famiglia chiamata a vivere nella pace, giustizia, solidarietà e corresponsabilità.
Così non basta che chi può aiutare lo faccia anche attraverso progetti meravigliosi. Occorre darsi da fare per cambiare la mentalità, per promuovere leggi più giuste, per una nuova economia solidale e corresponsabile, per una politica di pace e non di guerra, una politica della fiducia e non della paura, della cooperazione e non dell’egemonia, dell’integrazione e non del razzismo.
E questo è un lavoro «da laici», un passo in più per cambiare il mondo che va fatto da questa splendida costellazione di forze che sono già impegnate nella solidarietà ai missionari, siano esse le Ong di vecchia tradizione o le molte nuove onlus radicate nel territorio.

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