Il potere, prima di tutto

Costa d’Avorio: la battaglia di Abidjan

Due presidenti, due primi ministri, due governi, 179 morti e centinaia di feriti, violazioni massicce dei diritti umani. Il paese che era il più prospero dell’Africa dell’Ovest è di nuovo in balia della stupidità dei suoi dirigenti. Laurent Gbagbo, al potere da 10 anni, ha perso le elezioni ma non vuole passare la mano.

Guerra civile o riconciliazione nazionale? La Costa d’Avorio sta camminando sul filo del rasoio. Le elezioni del 28 novembre, che avrebbero dovuto porre il sigillo su un decennio di instabilità politica e sociale, non sono riuscite ad aprire una transizione democratica. Il risultato ottenuto è il caos, con i due candidati, Laurent Gbagbo e Alassane Ouattara, che si proclamano vittoriosi. Una comunità internazionale che appoggia apertamente Ouattara. Il rischio di sanzioni da parte di Francia e Stati Uniti. Le forze armate che sostengono Gbagbo e gli ex ribelli del Nord che appoggiano Ouattara. Ma da dove nasce questa crisi? E quali sono state le cause scatenanti?

Gbagbo e la Francia
Tutto ha origine nel 2000. «In quell’anno – spiegano alcuni osservatori ivoriani – il generale Robert Guei, che aveva perso le elezioni, non si rassegnava a lasciare la scena e voleva mantenere il potere a tutti i costi. I sostenitori di Laurent Gbagbo, allora sfidante, scesero per strada, sostenuti dalle forze armate, per impedire la vittoria di Guei». Laurent Koudou Gbagbo sale quindi al potere. Nato da una famiglia di etnia bété a Gagnoa il 31 maggio 1945, professore di storia all’università di Cocody-Abidjan, successivamente diventa preside della facoltà di Lingue e culture. Nel 1982 entra in politica fondando il Fronte popolare ivoriano (Fpi). Sono gli anni del potere quasi assoluto del presidente-padre della patria Félix Houphouët-Boigny, sostenuto massicciamente dalla Francia, l’ex potenza coloniale, che in Costa d’Avorio mantiene forti interessi commerciali. Nel 1985, il presidente costringe Gbagbo all’esilio (che terminerà solo nel 1988). Gbagbo partecipa alle elezioni presidenziali del 1990, ricevendo però solo l’11% dei voti. Ci riprova nel 2000 e il consenso popolare premia il suo programma che vuole rompere con il passato.
Quali sono gli elementi di novità introdotti da Gbagbo? A differenza dei suoi predecessori, Gbagbo, che è un leader nazionalista fortemente legato alle etnie del Sud, non fa nulla per compiacere la Francia. È significativo il fatto che la sua prima visita all’estero sia stata in Italia e non in Francia. Ciò ha irritato moltissimo Parigi. Oltre al fatto che Gbagbo cerca nuove alleanze sia a livello politico sia a livello economico (guardando con interesse a nuovi partner tra i quali Stati Uniti e Cina). Questa «indipendenza» non può essere accettata da Parigi che, tra gli anni Novanta e Duemila, non ha ancora rinunciato alla politica egemonica sull’Africa occidentale.

La ribellione
La politica di Gbagbo non scontenta solo la Francia, ma anche il Nord del paese (e le sue etnie) sempre più relegato ai margini della vita politica nazionale e discriminato dal Sud egemone. Così, il 19 settembre 2002, ribelli delle regioni settentrionali tentano di rovesciarlo. Il golpe fallisce e si trasforma in una rivolta. La versione, diffusa da alcuni giornalisti francesi e dai sostenitori di Gbagbo, parla di ribelli mercenari pagati dal governo francese per destabilizzare un potere politico nazionalista e intellettualmente autonomo. La versione ufficiale francese è invece di soldati ribelli che tentano di conquistare Abidjan, Bouaké e Korhogo. Non riescono a prendere Abidjan, ma hanno successo nelle altre due città. Il paese si spacca: il Sud controllato dai governativi, il Nord dai ribelli.
Dopo alcuni mesi di combattimento viene raggiunto un primo accordo tra le parti che prevede l’arrivo dei peacekeeper francesi a controllare la linea del cessate il fuoco.
Dopo altri tentativi di accordo, lo stallo si rompe solo nel 2007 con la firma a Ouagadougou (Burkina Faso) di un’intesa che prevede il disarmo dei ribelli, il loro arruolamento nelle forze armate ivoriane e, soprattutto, nuove elezioni. Secondo l’accordo, Gbagbo deve rimanere in carica (i ribelli ne avevano chiesto la destituzione), ma con un nuovo governo di unità nazionale guidato da un primo ministro «neutrale»: il leader della ribellione Guillaume Soro.
I rapporti tra Gbagbo e la Francia intanto continuano a deteriorarsi. All’inizio di novembre del 2004, in seguito al rifiuto di abbandonare le armi da parte dei ribelli, Gbagbo ordina raid aerei contro le loro basi. Durante un attacco a Bouaké, vengono uccisi nove soldati francesi. Il governo ivoriano dichiara che si tratta di un errore, ma i francesi sostengono sia stato voluto e distruggono gran parte delle forze aeree militari ivoriane.

Il rivale Ouattara
Il mandato di Gbagbo scade nel 2005, ma viene più volte prorogato. E quindi anche le elezioni vengono rimandate. Le parti non riescono a trovare un’intesa sui criteri per il riconoscimento della cittadinanza ivoriana, requisito indispensabile per potersi iscrivere alle liste elettorali. I sostenitori di Gbagbo sono a favore di criteri restrittivi del riconoscimento della cittadinanza, nel tentativo di limitare l’accesso alle ue della gente del Nord, in gran parte musulmani di origine burkinabè (arrivati in Costa d’Avorio per lavorare nelle piantagioni di cacao e di caffé) o di etnie diverse da quelle che abitano le regioni meridionali. Tra molti dissidi, la registrazione degli elettori viene portata a termine quest’anno e le elezioni vengono fissate il 31 ottobre. Il primo tuo ha visto il successo di Laurent Gbagbo (38,3%) seguito da Alassane Ouattara (32,1%) che così hanno avuto accesso al ballottaggio, tenutosi il 28 novembre. Al terzo posto, l’ex presidente Henri Konan Bedié (25,2 %), ora alleato di Ouattara.
Alassane Dramane Ouattara, 68 anni, è un politico ivoriano di lungo corso. Nominato primo ministro dal presidente Félix Houphouët-Boigny è rimasto in carica dal 1990 al 1993 (assumendo per alcuni mesi gli incarichi presidenziali in sostituzione del presidente malato). Dopo la morte di Houphouët-Boigny, Ouattara ricopre ruoli prestigiosi prima al Fondo monetario internazionale (Fmi) e poi alla Banca centrale dell’Africa occidentale (Bceao), istituzioni per le quali aveva già lavorato negli anni Ottanta. Ma non tralascia la politica. Nel 1994 aderisce al Rassemblement des Républicains (Rdr), un partito che ha la sua base elettorale fra le etnie del Nord. Ma Ouattara paga cara la sua provenienza e il suo essere rappresentante delle regioni settentrionali. Per evitare la sua elezione, infatti, il rivale Henri Konan Bedié promuove una modifica della Costituzione che impedisce di candidarsi a chiunque non sia figlio di entrambi i genitori ivoriani. Il padre di Ouattara non ha origini ivoriane. Per questo motivo Alassane non riesce a candidarsi né nel 1995 né nel 2000. Di fronte alla ribellione del 2002, va in esilio in Francia, da dove toerà nel 2006.
Arroccato al potere
La sua candidatura alle presidenziali del 2010 mette in serio pericolo la rielezione di Gbagbo. E, infatti, i primi risultati delle elezioni del 28 novembre, resi pubblici il 3 dicembre dalla Commissione elettorale (l’organismo che ha gestito tutta la consultazione), danno la vittoria proprio a Ouattara (51,4%) con Gbagbo sconfitto (48,6%). Ma poche ore dopo la pubblicazione di questi risultati, il presidente del Consiglio costituzionale (organo supremo al quale la Costituzione ivoriana affida il compito di valutare la validità delle elezioni), Paul Yao N’Dre, un fedelissimo di Gbagbo, annulla il voto in alcune regioni settentrionali. Secondo i giudici, in queste zone, i sostenitori di Ouattara avrebbero impedito a quelli di Gbagbo di votare.
«È vero – spiega un commentatore ivoriano – ci sono stati casi in cui i sostenitori di Ouattara hanno impedito a quelli di Gbagbo di esercitare il voto. E gli osservatori inteazionali hanno registrato queste violazioni. Però, come ha fatto notare Choi, il rappresentante del Segretario generale dell’Onu, anche se tutte le contestazioni presentate da Gbagbo fossero riconosciute valide, non sarebbero in grado di invalidare il secondo tuo e di rovesciare gli esiti delle ue».
Gbagbo comunque si proclama vincitore e sabato 4 dicembre giura nelle mani del presidente del Consiglio costituzionale. Ouattara fa lo stesso e giura solennemente in una cerimonia che si è tenuta all’Hotel du Golf, un prestigioso albergo di Abidjan (dove Ouattara risiede, protetto dai caschi blu dell’Onu).
Nazioni Unite, Unione africana e Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) riconoscono la vittoria di Ouattara. Lo stesso fa la Francia e gli Stati Uniti.

Crisi
La tensione sale alle stelle. Si registrano ben presto scontri tra i sostenitori dei due presidenti. Almeno 179 morti e centinaia di feriti in pochi giorni.
Mentre l’Alto commissariato ai diritti umani dell’Onu denuncia violazioni massive e casi di rapimenti nottui e uccisioni selettive, ad opera delle Forze di difesa e di sicurezza (Fds), corpo militare fedele a Gbagbo.
Nei giorni successivi la pressione internazionale su Gbagbo diventa forte. Da più parti il presidente viene invitato a lasciare il potere. In un’intervista rilasciata venerdì 10 dicembre al quotidiano pubblico (a lui vicino) Frateité Matin, Gbagbo apre a un possibile dialogo con l’avversario: «Se c’è un problema bisogna sedersi e parlare». Una dichiarazione che può essere interpretata come un’apertura nei confronti di Ouattara.
In questo senso lavorano anche i rappresentanti religiosi. Tre arcivescovi guidati dal presidente della Conferenza episcopale, monsignor Joseph Aké, si sono recati da Gbagbo invitando a lasciare spazio ai negoziati. Esponenti musulmani e di altre fedi hanno seguito la stessa strada sottolineando che nessuno vuole che il Paese precipiti nuovamente in un conflitto interno.
Economia in difficoltà
La prima vittima di questa crisi politica è il sistema economico. Già duramente messa alla prova dalla rivolta del 2002, l’economia ivoriana stava lentamente riprendendo. Il tasso di crescita del Pil era aumentato del 3,6% dal 2008 al 2009. Nei primi giorni di dicembre, però, l’esito incerto delle elezioni (che ha causato un blocco decisionale e ha portato con sé anche il coprifuoco per gran parte della giornata) ha di fatto rallentato ogni attività. Il 14 dicembre 130 camion provenienti da Mali e Burkina Faso (paesi senza sbocco al mare e che si servono dei porti ivoriani) erano fermi al porto di Abidjan in attesa che le merci venissero scaricate e imbarcate sui mercantili. I negozi, ma anche le banche, gli uffici e molte fabbriche erano chiuse o marciavano a rilento. I prezzi di molti beni di prima necessità sono aumentati del 50%. Anche il settore del cacao (che rappresenta il 40% delle esportazioni e il 10% del Pil), già in difficoltà per la disorganizzazione della filiera e la corruzione dilagante, ne sta risentendo. L’incertezza politica rischia di far chiudere molte aziende e di allontanare gli investimenti stranieri.
Il 20 dicembre l’Unione europea dà seguito all’ultimatum e decide sanzioni contro Gbagbo, sua moglie Simone, e persone a loro fedeli, tra cui il presidente del Consiglio costituzionale e il direttore della Radio Televisione e alte cariche dell’esercito.
Si attende una decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul rinnovo della missione Onuci (10.000 caschi blu e 900 francesi), che l’auto proclamato presidente Gbabgo vuole mettere alla porta.

Enrico Casale

Enrico Casale

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