Perù: Radio «La Voz de Caybarachi»

Un prete italiano contro le prepotenze delle multinazionali nell’Amazzonia peruviana

Alla fine la storia è sempre la stessa: i deboli che debbono difendersi dalle prepotenze dei forti. Così a Barranquita, provincia di Lamas, dipartimento amazzonico di San Martin, le popolazioni contadine debbono difendere le loro terre dalle brame della società «Palmas de Espino», un’impresa che deforesta l’Amazzonia per produrre biocombustibile dall’olio di palma. L’impresa fa parte del «Grupo Romero», uno dei più grandi gruppi industriali del Perù, con interessi in svariati settori produttivi. Politici ed amministratori sostengono le ragioni dell’azienda, giustificando la loro scelta con lo sviluppo economico che ne deriverebbe.
A difesa dei diritti delle comunità contadine della Valle Rio de Caynarachi si è invece schierata una piccola, ma seguitissima radio che di nome fa «Voz de Caynarachi». Questa ha iniziato una battaglia per sostenere che le terre disputate appartengono legalmente alle popolazioni che da sempre le abitano e lavorano.
Fondatore e anima dell’emittente è padre Mario Bartolini Palombi, un prete passionista italiano di 70 anni, che da 30 opera nel paese andino. Già nel novembre del 2006, il prete italiano era stato dichiarato «persona no grata» dal sindaco di Barranquita, il quale aveva chiesto al vescovo di allontanare quel sacerdote troppo molesto. Allora mons. Astigarraga, vicario apostolico di Yurimaguas, aveva difeso padre Bartolini e le trasmissioni diffuse da «La Voz de Caynarachi». Di fronte agli attacchi di oggi, con un comunicato datato 20 giugno 2009, il prelato cattolico ribadisce il concetto: padre Bartolini obbedisce all’obbligo di «scegliere l’opzione per i poveri e i meno fortunati, cercare la verità e la giustizia, difendere i beni della creazione».

La vicenda di Barranquita ricorda quella del confinante dipartimento di Amazonas, dove, lo scorso giugno, in località Bagua ci fu una cruenta battaglia tra le locali popolazioni awajun e le forze dell’ordine peruviane. Gli indigeni erano insorti per difendere le proprie terre cedute dal governo del presidente Alan Garcia alle compagnie minerarie, infrangendo i principi stabiliti nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (settembre 2007) e nella Convenzione della Organizzazione internazionale del lavoro (Oit/Ilo) n. 169 del 1989. Alla fine, dopo decine, forse centinaia di morti, il governo e le compagnie minerarie hanno dovuto fare retromarcia, derogando ai decreti legislativi su cui fondavano la propria azione (decreti 1090 e 1064, conosciuti anche come «leyes de la selva»).
A Barranquita e a Bagua, le prepotenze del potere politico ed economico sono state (momentaneamente) fermate. Ma – questa è una certezza – la guerra per i diritti delle popolazioni indigene sarà ancora lunga.

di Paolo Moiola

Paolo Moiola

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