Una vita per i giovani

Missione e «martirio» di padre Giuseppe Bertaina

 Il 16 gennaio padre Giuseppe Bertaina, missionario della
 Consolata, veterano del Kenya dove lavorava come
 amministratore dell’Istituto di Filosofia di Langata (Nairobi),  
 è stato ucciso da tre malviventi in un tentativo di rapina.

I FATTI
Il Philosophicum, l’Istituto di Filosofia di Langata, alle porte di Nairobi, era la sua casa. Ci aveva messo tutta la sua intelligenza e le sue energie per tirarlo su, ma soprattutto ci aveva messo il cuore, facendolo diventare un centro d’eccellenza per la formazione dei giovani alla vita sacerdotale.
Padre Giuseppe Bertaina ha dato la sua vita per questo centro e non solo in senso ideale: il suo dono è diventato sacrificio e martirio la mattina del 16 gennaio quando tre banditi, due uomini e una donna, sono penetrati nel suo ufficio di amministratore con l’intento d’impossessarsi dei soldi delle rette degli studenti.
Ma quei soldi non c’erano. Nell’Istituto si paga, infatti, con assegni. Il padre non era tipo da farsi intimorire facilmente e così, di fronte alla sua naturale reazione, l’hanno picchiato e legato con una corda. Poi gli hanno messo un bavaglio tappandogli la bocca con un sacchetto di plastica fissato con scotch da pacchi. I suoi 82 anni e il cuore ammalato non l’hanno aiutato ed è morto soffocato.
Uomo schivo e semplice, padre Bertaina non amava apparire. Era «figlio» della «Provincia granda» (Cuneo), di quella terra che forgia uomini che alle parole preferiscono la concretezza dei fatti. Così, nei suoi 58 anni d’Africa, fatti di «laboriosità silenziosa», ha saputo condensare al meglio l’insegnamento principe di Giuseppe Allamano per il quale era fondamentale non solo l’educazione religiosa, ma anche il miglioramento della qualità della vita delle popolazioni raggiunte dalla sua testimonianza di fede.
Fede sì, ma anche pragmatismo: si sa, infatti, quanto è difficile parlare di Dio a pancia vuota. L’evangelizzazione ad gentes, cioè fra i popoli non ancora raggiunti dal messaggio di Cristo, come primo passo per recuperare una dignità umana a tutti gli effetti, tradotto in pratica, significa scuole, sanità, formazione professionale. Quanto basta e avanza per consacrare a questa missione una vita intera, diventando cittadino del mondo.
Per dirla con il Fondatore: «Uno che lascia la famiglia naturale per dedicarsi alla missione, deve trovare come un’altra famiglia». Padre Bertaina quella famiglia l’ha trovata tra i confratelli e soprattutto nelle migliaia di persone incontrate durante la sua lunga testimonianza.
Ha dedicato tutta la sua vita alla scuola e, grazie al suo lavoro, moltissimi giovani africani hanno potuto formarsi professionalmente e alla vita sacerdotale.
L’anno scorso è stato per l’ultima volta in Italia per un breve periodo di riposo. E, nonostante l’età avanzata e la salute malferma, desiderava ardentemente di poter tornare in Kenya per continuare a lavorare per i suoi giovani. Il Signore l’ha preso in parola e proprio in mezzo a quei giovani che ha educato, istruito e preparato alla vita, ha donato il suo ultimo respiro.

LA RIFLESSIONE
«La sua tragica morte – come scrive padre Stefano Camerlengo, vice superiore generale – ci pone ancora una volta davanti al dono per la nostra missione. La missione autentica è offerta e a volte richiede anche la vita.  Vivere la pienezza della nostra vocazione diventa confronto quotidiano con la miseria e la povertà di tanti. Spesso ci sentiamo impotenti e poca cosa, ma è proprio il nostro esserci, il nostro condividere, il nostro rimanere nel mezzo anche delle contraddizioni, che la rende grande e certamente portatrice di frutti e di speranza per il Regno.
Il sacrificio di padre Giuseppe Bertaina si inserisce in questo cammino di oblatività, si unisce ai tanti che nella storia, sono rimasti fedeli e vigilanti in mezzo al popolo di Dio e sono segno che l’amore e la carità vincono sempre perché sono più forti della violenza e della morte.
La pace che il Signore, certamente dona al suo fedele servo sia il dono che imploriamo per il mondo intero e per la nostra amata Africa. Che questa offerta possa continuare a dare vita, pace, gioia e giustizia alla nostra gente che continuamente si trova a vivere nella violenza e nell’ingiustizia. E a noi missionari doni consolazione e forza per continuare con più zelo ed amore, ad annunciare il Cristo che ha vinto la morte e dà sempre la ricompensa ai suoi operai del vangelo.
Signore, ti ringraziamo perché ce lo hai dato e perché prendendocelo ci hai fatto capire che il sangue dei martiri è semente di vita, è grido di amore che supera ogni male e sofferenza perché diviene segno di risurrezione». 

Di Sergio Frassetto

La vita

Nato a Madonna dell’Olmo (CN) nel 1927, padre Giuseppe Bertaina entrò fra i missionari della Consolata nel 1946 e venne ordinato sacerdote nel 1951. Lo stesso anno partì per il Sudafrica, dove all’università di Cape Town conseguì la laurea in scienze, che lo abilitò all’insegnamento nelle scuole delle allora colonie inglesi.
Così arrivò in Kenya dove si dedicò al lavoro nella scuola secondaria, prima nella missione di Kevote e poi in quella di Shiakago, nella diocesi di Meru. Il suo impegno proseguì nella missione di Sagana dove fondò e resse per 20 anni la «Scuola Tecnica», gloria del lavoro missionario, che ha sfornato centinaia di tecnici, vero motore di sviluppo della giovane nazione del Kenya.
Ma la sua missione non era ancora conclusa. Negli anni ’90, visto l’accresciuto numero di vocazioni, si presentò la necessità di costruire un nuovo centro dove i giovani in cammino verso il sacerdozio potessero svolgere i loro studi di filosofia.
A chi affidare questo compito? Ancora una volta i superiori hanno chiamato padre Giuseppe confidando nella sua esperienza e nella sua indubbia capacità.
E dal suo lavoro è nato il Philosophicum: un’opera maestosa e modea che, con sua grande soddisfazione il 2 febbraio 1998 veniva inaugurata da padre Piero Trabucco, superiore generale.
Da quel giorno padre Bertaina è diventato l’anima dell’Istituto di filosofia, lavorandovi come rettore e insegnante prima e poi come amministratore, affiliandolo alla Pontificia università urbaniana di Roma e arricchendolo di una grande biblioteca e di un salone multiuso.
Qui oltre 300 giovani seminaristi, provenienti da varie famiglie religiose venivano ad abbeverarsi ogni giorno alla fonte del sapere filosofico, ma soprattutto, in padre Bertaina trovavano un maestro e un educatore, esigente nella disciplina, ma capace di formare il loro carattere alla futura missione di sacerdoti.
La sua era una presenza semplice e umile. Le sue parole erano poche, ma da non perdere: sapeva presentare la realtà nuda e cruda e poi lasciava a ciascuno la libertà delle sue decisioni, con grande rispetto; dove c’era lui, c’era ordine, armonia, gioia, amicizia e famiglia.
Amava i giovani e come un buon padre, seguiva anche coloro che cambiavano strada, aiutandoli a inserirsi nella vita. Cosa che faceva anche con i detenuti del carcere di Langata, dove per 20 anni ha servito come cappellano ogni domenica. Ha speso tempo e denaro per coloro che uscivano di prigione, dopo aver scontato la pena, aiutandoli a conseguire un titolo di studio o a inserirsi nel mondo del lavoro e così ricostruire il proprio futuro.
Padre Bertaina non ha mai conservato rancore per nessuno ed anche il giorno dell’assalto nel suo ufficio certamente ha accolto i suoi uccisori con rispetto e, se erano da lui conosciuti, come sembra, ancora li avrà esortati al giusto, morendo senza rancore per le mani di coloro che aveva aiutato in modi diversi.
La sua morte violenta lascia disgustati e amareggiati, ma rimane la grandezza di un uomo e di un missionario completo, sempre allegro e pieno di Dio in mezzo agli uomini che amò fino alla fine e per i quali ha versato il suo sangue.
Una fine umile, la sua, non un atto eclatante di eroismo, ma la conclusione di una vita eroica donata senza risparmio, con intelligenza e bontà, nel totale nascondimento, perché solo il seme che muore produce molto frutto.

Sergio Frassetto

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