Zappa, kalashnicov e coca-cola

Breve viaggio nel Mozambico di oggi. Reportage.

Una nazione ricca con l’economia in forte crescita.
Un popolo povero che ha sofferto la colonizzazione e 30 anni di guerra.
Uno degli ultimi regimi socialisti del continente, ma al tempo stesso
aperto al neoliberismo. Il Mozambico è costretto ad accettare
le imposizioni dei donatori inteazionali, perché il bilancio dello stato
dipende da loro. Intanto la democrazia fa piccoli passi
in avanti, in attesa di un necessario decentramento
amministrativo e di un migliore sfruttamento delle terre.

Lichinga, Mozambico. Il boeing 737-200 della Lam (Lineas aereas moçambicanas) atterra nella capitale della provincia di Niassa. Sulla pista, ad attenderlo da un paio d’ore, decine di bandiere rosse, donne e uomini in abiti colorati, frenetici suonatori di tamburi e di bidoni di plastica. Sono alcune centinaia, arrivati con i camion dalle diverse zone della provincia, una delle più povere ma più fertili del paese. Sull’aereo c’è una folta delegazione che accompagna Felipe Paunde, segretario generale del Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico), il partito al potere. Decollato la mattina dalla capitale Maputo, ha anticipato l’ora della partenza, lasciando a terra molti passeggeri «normali».
È il penultimo giorno di campagna elettorale per le elezioni municipali, previste per il 19 novembre, in un paese che, a sedici anni dagli accordi di pace, fatica ancora a trovare una via verso lo sviluppo. Il segretario generale viene ad appoggiare il candidato alla presidenza del comune di Lichinga.
Elezioni importanti in un paese enorme (800 mila kmq, due volte e mezza l’Italia, ma con un terzo di abitanti), dove il decentramento amministrativo, essenziale per governare un paese così grande, sta muovendo solo i primi passi. Mentre tutto o quasi, resta centralizzato a Maputo, capitale troppo lontana, situata all’estremo sud del paese (circa 2.300 km da Lichinga), incastrata tra il mare e il vicino ricco di sempre: il Sudafrica.
Nella consultazione elettorale si affrontano soprattutto i due maggiori schieramenti: il Frelimo e la Renamo (Resistenza nazionale del Mozambico). Sono i vecchi nemici di sempre, della feroce guerra civile che ha insanguinato il paese dalla sua indipendenza dal Portogallo, nel 1975, alla firma degli accordi di pace a Roma nel1992. Oggi si affrontano con le ue, in un contesto di grande differenza di mezzi a disposizione. Il Frelimo al potere da 33 anni, ha dalla sua parte una macchina propagandistica ben rodata e mezzi economici a volontà. Non così i concorrenti.
Quest’anno sono 43 i consigli municipali e i presidenti dei comuni (sindaci) che devono essere eletti. Di questi 10 sono nuovi, ovvero è la prima volta che si costituiscono. Segno che qualche piccolo passo avanti nel decentramento si sta facendo.
Il segretario generale è appena sceso dall’aereo e rilascia la prima intervista. Intanto i passeggeri rimasti scendono e attoniti cercano di farsi largo tra la folla per raggiungere l’area recupero bagagli.

La guerra non perdona

Il paese oggi resta segnato da 500 anni di dominazione portoghese, ma anche da quasi tre decadi di guerra che contraddistinguono la sua storia recente. All’inizio degli anni ’60 quando la maggior parte dei paesi africani diventavano indipendenti, le colonie portoghesi si vedevano negato questo fondamentale passaggio.
Nel 1964 l’intellettuale Eduardo Mondlane, in esilio in Tanzania, fonda il Frelimo e dichiara l’inizio della guerra d’indipendenza.
Il conflitto è cruento e i portoghesi non mollano. Il Frelimo riesce a controllare vaste zone nel Nord del paese. È il 1975 i tempi sono maturi. L’anno prima la ribellione militare in Portogallo ha chiuso con i regimi dittatoriali di Salasar e del successore Caetano. Il Mozambico diventa indipendente, il Frelimo si vede consegnato il potere e Samora Machel è il primo presidente della repubblica popolare. Il regime opta per l’ideologia marxista-leninista e una sua applicazione piuttosto rigida. Nazionalizzazioni, emigrazioni forzate per popolare il nord e campi di rieducazione. I beni della chiesa sono confiscati e i missionari costretti a lasciare le missioni sono radunati nelle città.
Negli stessi anni, portoghesi fuoriusciti appoggiati dalla Rhodesia di Jan Smith (l’attuale Zimbabwe) e dal Sudafrica dell’apartheid, organizzano una guerriglia controrivoluzionaria: la Renamo. La guerra fratricida è cruenta, i campi pullulano di mine e diventa difficile per i contadini far rendere la terra. Solo gli accordi di  pace generali di Roma (4 ottobre 1992), con un importante ruolo giocato dalla chiesa, riportano la pace.
Il Mozambico indipendente è devastato, e inizia allora i primi passi verso lo sviluppo. L’intervento dei donatori inteazionali, di Fondo monetario internazionale (Fmi) e di Banca mondiale (Bm) sono massicci.

Economia: macro e micro

Negli ultimi 5 anni il paese ha presentato indicatori macroeconomici che rispecchiano un’economia dinamica: crescita del pil intorno al 7- 8%, inflazione tenuta al 13,2% da un ambizioso piano governativo, buoni scambi commerciali. Ma il mozambicano medio continua ad avere una speranza di vita intorno ai 42 anni, mentre solo il 38,7% dei maggiori di 15 anni risultano alfabetizzati. Una situazione socio-economica complessa che vede il paese al 172simo posto su 177 della classifica Onu basata sull’indice di sviluppo umano. Quanto basta per dire che è «tra i più poveri del mondo».
«L’economia mozambicana, incluso il bilancio dello stato, continua a essere finanziata in larga parte dai donatori esteri. Un gruppo di 19 partner, tra cui Unione europea, Canada, Usa, Giappone, ma anche Fmi e Bm». Chi snocciola l’elenco è Brazão Mazula, professore, già rettore della maggiore università del paese, la Eduardo Mondlane. Membro storico del Frelimo, che nel 1994 gli affidò l’organizzazione delle prime elezioni libere nel paese. Mazula si è formato come missionario della Consolata, diventando anche padre per poi uscire dall’Istituto.
«Se il governo vuole gli aiuti inteazionali, sono i donatori che decidono qual è la direzione che deve prendere il Mozambico per il suo sviluppo. Anche questi indicatori economici rispondono a un loro desiderio. A novembre una missione del Fmi ha valutato positivamente la performance dell’economia mozambicana».
Ma il professore è realista: «Un’altra cosa è dimostrare che questa crescita economica ha un impatto sul benessere della gente. Non ci si può fermare a Maputo per dire che questo è il paese». Maputo è una città modea, con centri commerciali, grosse vie con marciapiedi, palazzi, luci e vecchie case in architettura coloniale. Circolano molte automobili, anche costose. Ma come accade spesso in Africa, la capitale non è specchio della situazione e le condizioni di vita nell’«interno» sono molto diverse.

Poveri in un paese ricco

«La povertà è reale – continua il professore – secondo dati ufficiali il 70% della popolazione è in stato di indigenza e la maggior parte di essa risiede in campagna».
Ma come vive e sopravvive il mozambicano medio, nel mezzo di questa situazione così grave, nel contrasto tra uno sviluppo economico effettivo e una povertà diffusa?
«La popolazione è ancora orientata a un’economia di sussistenza. In particolare è importante la questione della terra per il contadino: se ha terra sufficiente, coltiva il suo mais, la manioca. Il problema sorge quando la legge mette a rischio la sicurezza della terra per il futuro. Togliere la terra al contadino è come togliergli la cittadinanza» insiste il professor Mazula. E continua: «Le politiche macro economiche degli ultimi anni portano alla privatizzazione delle imprese, ma anche della terra. Il contadino un giorno si trova di fronte un connazionale (o uno straniero), che gli presenta dei documenti e gli dice che la terra, suo unico sostentamento, fa parte di un’altra proprietà e non è più sua. «È questo che aggrava la povertà».
«Un esempio concreto sono i bio-combustibili, come quelli ricavati dalla canna da zucchero. Le imprese produttrici hanno bisogno di migliaia di ettari. Se questi progetti non sono ben applicati i sacrificati saranno i contadini».
Le potenzialità agricole del paese sono enormi e variano a seconda della regione e fascia climatica. La terra è fertile (in particolare al nord), bagnata da grandi fiumi e da una stagione delle piogge estesa, in media, da fine novembre a marzo.
Le produzioni principali per uso alimentare sono mais, manioca, sorgo, riso, legumi, patata dolce e banane. Per l’esportazione si produce canna da zucchero, tabacco, tè, cotone e palma da cocco.
Ma la terra in generale non è ben sfruttata: resterebbero almeno 4 milioni di ettari da valorizzare. Inoltre ci sono ancora mine antiuomo nei campi (sono sempre all’opera squadre di «sminamento»). Molto diffusa è l’agricoltura famigliare di sussistenza.
«La minaccia è che nella visione di economia di scala, si vuole trasformare il contadino in un lavoratore per grandi imprese agro-industriali. Un problema è che il nostro contadino è analfabeta. Non è un’operazione che si può fare da un giorno all’altro. C’è la questione dell’educazione».
Gli interessi economici inteazionali sono grandi e quindi ci sono molte pressioni sul governo: «Dipende da noi, dobbiamo accrescere la nostra capacità di negoziazione. Nessun investitore investe per perdere. Le istituzioni inteazionali non vengono a fare la carità, ma affari. Dobbiamo avere capacità tecnica e di negoziazione, in modo che entrambi, noi e loro, possiamo guadagnare da questa situazione».
Si ricorda che metà del bilancio dello stato è appannaggio dei donatori inteazionali, mentre si parla di aiuti per 435 milioni di dollari nel 2008. Una parte dei quali per finanziare l’ambizioso «Piano d’azione per la riduzione della povertà assoluta (Parpa)».
Da qui il ruolo della formazione superiore, per formare risorse umane in quantità e qualità, che conoscano le leggi, l’economia, il commercio internazionale. «È una nostra sfida. La stabilità economica e politica passa dall’educazione e dalla formazione del cittadino. Lo sviluppo, per me, è libertà di scegliere» continua il professore.
Non solo educazione di base quindi, che Bm e Fmi «impongono e limitano», ma una formazione che porti il cittadino a essere meno manipolabile possibile e in grado di scegliere.
«Il governo decide le politiche, ma dovrebbe negoziare con il cittadino. Al contrario, per la crescita economica, il nostro governo rende conto di più ai donatori che ai mozambicani… perché da questi non vengono soldi».
Sul piano dell’educazione il paese si è dato un piano strategico 2006-2011. «Questo mostra buona volontà. La coscienza che c’è qualcosa da cambiare: centrare lo sviluppo sul cittadino e non sui desideri delle istituzioni finanziarie inteazionali.
Non possiamo pretendere che tutte le persone vadano all’università… ma che ogni cittadino, a qualsiasi livello termini la sua formazione, sia in grado di lavorare o dare lavoro e di produrre ricchezza. Il ministero dell’educazione sta facendo uno sforzo, in questo senso».
Il programma prevede la costruzione di 4.100 aule scolastiche in ambito rurale ogni anno e che in ogni distretto ci sia la scuola secondaria.

Verso il Marxismo neoliberale

A partire dalla seconda metà degli anni ’80, il Frelimo ammorbidisce il modello socialista e inizia le riforme per far spazio al mercato. Il cambiamento è favorito da un avvicendamento al vertice: Samora Machel, leader intransigente, muore in un misterioso incidente aereo nell’ottobre del 1986. Disastro in cui sarebbero implicati i servizi segreti sudafricani.
Gli succede Joaquim Chissano, uomo diplomatico, comunicatore, che imposta la transizione e traghetta il paese alla pace. Il nuovo presidente, pragmatico, accetta le condizioni dei partner inteazionali, come una nuova costituzione di fine 1990 che legalizza il multi partitismo (ancora rivista nel 2004). Si procede poi a una serie di privatizzazioni, non prive di scandali. Si forma così una nuova classe borghese legata al Frelimo, che si arricchisce grazie alle vendite dei beni statali. E la corruzione, fenomeno quasi sconosciuto per i dirigenti del partito all’indomani dell’indipendenza, aumenta.
«La corruzione deve essere combattuta, ma occorre anche capire come è iniziato questo fenomeno nel nostro paese – denuncia Felipe Couto, missionario della Consolata, magnifico rettore dell’Università Eduardo Mondlane e persona influente nel Frelimo -. Noi eravamo l’unico partito: ci hanno imposto il multi partitismo. Poi ci hanno detto: dovete entrare nel Fmi, nella Bm, dovete aprirvi al neoliberismo economico. Così sono arrivate le agenzie inteazionali e le Ong. Hanno iniziato a girare molti soldi. La corruzione dipende da noi, ma non solo».
Nel novembre 2000 è assassinato il giornalista Carlos Cardoso, che portava avanti un’inchiesta sulla privatizzazione delle due più grandi banche del paese: il Banco Comercial de Moçambique e il Banco Austral. Ci sono stati alcuni arresti, ma i veri mandanti sono ancora liberi.
Nelle elezioni del 2004 Chissano si ritira e gli succede Armando Guebuza (febbraio 2005), l’allora segretario generale. È un avvicendamento al vertice non privo di cambiamenti. Guebuza, oltre a essere numero uno di un partito comunista è anche uno dei più ricchi uomini d’affari mozambicani. La sua rete di business va dalla birra alle costruzioni, all’export, al traffico nel porto di Beira.
In politica si rivela più tradizionalista. Subito cerca di imporre un maggior rigore: lancia la seconda fase della riforma del settore pubblico (2005-2011), che include un ambizioso programma di lotta alla corruzione.

Donne e integrità al governo

«Il programma del governo prevede quattro punti: riduzione della burocrazia, lotta alla corruzione, alla criminalità e alle malattie endemiche come l’Aids» ci racconta Vitória Diogo, ministro della Funzione pubblica. Testa alta e parlata chiara, quasi da campagna promozionale. Fiera di essere, donna e capo del maggior datore di lavoro del paese, con 167.000 impiegati.
Nel governo mozambicano, ci sono otto donne ministro (incluso il premier) e si arriva a tredici con i viceministri. Anche nel parlamento, forte è la partecipazione femminile, circa il 30%.
La «strategia di lotta alla corruzione» varata dal governo nell’aprile 2006 prevede, dice il ministro di «istituzionalizzare l’integrità» ovvero promuovere l’integrità come valore umano. «Tra il 2006 e il 2007 sono stati identificati 2.414 casi di corruzione, seguiti da processi disciplinari, di cui 813 espulsioni». Sicura, il ministro Diogo, elenca i risultati per quello che riguarda la «piccola corruzione».
Di fatto la corruzione è ancora molto radicata a tutti i livelli e si può avvertire non appena si passa la dogana in aeroporto. C’è però anche una campagna pubblica, con tanto di manifesti, che invita la società civile e la gente in generale, a denunciare casi di pressioni e malversazioni dei funzionari.
Ma il salario minimo legale è ancora molto basso: 1.950 meticais (65 euro) al mese, anche se si stanno studiando sistemi di incentivo. In un paese in cui il costo della vita (almeno in città) è simile a quello europeo. La benzina, madre di tutti i prezzi, in quanto influisce sui trasporti, arriva a costare anche 1,5 euro al litro, il gasolio 1,23. Il regime di stipendi bassi non facilita la riduzione di questa piaga.
La strategia anti corruzione dipende dal Gabinetto centrale di lotta alla corruzione, di competenza del primo ministro, Luisa Diogo, sorella di Vitória.
Secondo la classifica della corruzione, stilata ogni anno dall’Ong Transparency Inteational, il Mozambico è sempre nella fascia dei paesi più corrotti al mondo: nel 2008 occupa il 128simo posto su 180.
La riforma del settore pubblico, prevede inoltre il miglioramento delle prestazioni dei servizi, vuole «mettere il cittadino al centro», incentivare la buona governance e aumentare la professionalizzazione delle risorse umane.
«Il funzionario per servire ogni volta meglio il cittadino» è lo slogan ufficiale della riforma.
Programmi questi molto amati (e sollecitati) dai donatori e che il governo cerca, tra mille difficoltà, di mettere in atto.

Le priorità

Come decano dell’università, il professor Brazão Mazula identifica quattro aree importanti per far uscire il paese dalla povertà e portarlo verso lo sviluppo. Aree che identificano settori prioritari  per la formazione di quadri del paese: educazione integrata, formativa e critica, sanità, agricoltura e pesca (il mare è una ricchezza), turismo. Quest’ultimo, grazie alla posizione geografica e alle bellezze del paese (parchi naturali, spiagge da sogno, isole) è diventata la prima industria del paese. Gli investimenti dei vicini sudafricani in questo settore sono notevoli. Basti pensare che per i mondiali di calcio del 2010 in Sudafrica, i pacchetti turistici prevedono, dopo le partite, alcuni giorni sulle spiagge del Mozambico.
Sul piano della salute l’emergenza maggiore è l’Aids. «I casi sono in costante aumento, non si riesce a frenare – racconta suor Raquel Gil Mas, missionaria dominicana, medico, che si spende ormai da anni sul tema -. In alcune province si parla del 27% di sieropositivi». Mentre i dati ufficiali sono intorno al 17% a livello nazionale. Un programma del governo fornisce farmaci antiretrovirali gratuitamente a tutti coloro che risultano positivi e si affidano alle cure di un centro. «Questo è un aiuto fondamentale perché riusciamo a far vivere tanta gente che altrimenti sarebbe già morta. Il problema è che arrivano da noi quando ormai sono in stato terminale».

Elezioni monocromatiche

Alle elezioni municipali di novembre il Frelimo ha stravinto, togliendo alla Renamo anche i cinque municipi storicamente sotto il suo controllo, e ottenendo la maggioranza nelle assemblee municipali e i sindaci. Tranne a Beira, seconda città del paese, dove succede a se stesso l’indipendente Daviz Simango, già Renamo.
Il leader della Renamo, Alfonso Dhlakama ha da tempo perso in popolarità ma non vuole farsi da parte. Questa sconfitta, però, lo mette in seria difficoltà e si parla di avvicendamento alla testa del partito, il più grande, nonostante tutto, all’opposizione.
«Ci sarà vera opposizione solo quando il Frelimo avrà una scissione al suo interno» sostiene qualche osservatore. Intanto, si attendono le elezioni presidenziali di fine 2009, nel perenne equilibrio tra compiacere ai donatori e autodeterminazione del proprio futuro. 

Di Marco Bello

Marco Bello

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