Quale profezia?

La storia dell’uomo si evolve grazie alle impronte lasciate da pochi e capaci di influenzare i più. La storia della chiesa e della missione non fa eccezione. Fermo restando che in questo campo bisogna riconoscere allo Spirito Santo un protagonismo indiscusso, i grandi cambiamenti sono fenomeni che nascono da una base pressoché elitaria. Se non tutti sono santi o profeti, va però detto che tali figure non appartengono alla galassia dei superuomini, ma vivono tra noi. Anzi, la «zampata» decisiva, quella che lascia il segno indelebile sulla storia, potrebbe essere uno di noi a darla. Perché no?
Ciò che caratterizza la profezia è la spontaneità assoluta, l’imprevedibilità radicata nell’iniziativa di Dio, in seguito accolta e, quindi, tradotta in realtà. La profezia va letta nel quotidiano, scovata negli anfratti della storia, stanata dalle pieghe della marginalità. La profezia alberga nelle stanze degli esclusi e per tal ragione è poco visibile, anche se di per sé illuminante.
Quali profezie si scorgono, in atto o in potenza, nell’oggi della missione in Italia?
Se lo sono chiesti più di cento missionari e missionarie che hanno preso parte nel mese di febbraio al Forum della C.I.M.I., la Conferenza che riunisce i superiori provinciali degli istituti esclusivamente ad gentes presenti in Italia. Al di là della bella esperienza del trovarsi insieme a Pacognano, nella penisola sorrentina, qualcosa non ha funzionato.

Gli interrogativi non sono mancati, anche se sono stati conditi da un senso di smarrimento, inadeguatezza, difficoltà ad adattarsi a un mondo – quello europeo e italiano – che a molti sembra non appartenere geneticamente al Dna del missionario. Le conferenze su un’Europa da ri-conoscere e nella quale ubicarsi efficacemente come missionari, sulla contestualizzazione del lascito carismatico dei fondatori dei vari istituti missionari e della teologia per una missione in Europa hanno offerto solo in parte piste da percorrere. Le proposte finali su un’ipotesi di lavoro missionario comune sono rimaste imbrigliate nel tentativo di fare giusta sintesi tra utopia e disincanto.
I momenti di maggior impatto si sono avuti grazie ad alcune testimonianze, offerte sia da ospiti estei, come anche da partecipanti al Forum. Il condividere esperienze missionarie significative, talvolta difficili, di frontiera e nello stesso tempo gratificanti, ha dato fiducia all’assemblea, indicando cammini possibili per una missione profetica in Italia e ribadendo ancora una volta la centralità del racconto come strumento di animazione missionaria.
Il missionario, abitualmente un grande fagocitatore e ripetitore di storie, pare faticare una volta rientrato in Europa a nutrirsi del racconto dell’altro. Commette, forse, l’errore di pensare di esser l’unico ad avere una narrazione che vale la pena di essere ascoltata e si chiude alle storie di chi incontra. In che altro spazio merita andare a cercare uno spunto profetico se non nel vissuto di chi ci circonda? Una delle immagini di maggior impatto di tutto il Forum è stata quella del confine. Il missionario, una volta inviato ad «attraversare» i confini, è ora chiamato ad «abitare» quei bordi sfrangiati che la modeità ha ricavato dall’erosione costante delle frontiere geopolitiche, sociali, generazionali, ecc. Occorre far sì che tali confini si riempiano di storie di vita vissuta, da raccogliere, ripensare ed elaborare, al fine di costruire la missione di domani. Un approccio che non tenga conto di questi racconti già in atto potrà forse costruire un’ideologia della missione, ma non troverà la strada per la missione profetica sulla quale ci si interroga e di cui si ha bisogno.
di Ugo Pozzoli

Ugo Pozzoli

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