È possibile criticare gli Stati Uniti senza essere etichettati come «anti-americani»? È sempre stato difficile.
Oggi lo è ancora di più. Ma…
Perché ho scelto di chiamare questa mia personale
rubrica su Missioni Consolata «luoghi comuni»?
Perché la strada dell’inferno è appunto lastricata di
luoghi comuni. Saltellando sui quali si ha l’impressione
di stare al sicuro, mentre sono voragini – questa è la
caratteristica principale dei luoghi comuni – in cui la
verità scompare sempre, soverchiata dall’interesse, dall’ignoranza,
dall’ignavia, dalla presunzione.
I luoghi comuni sono anche le armi per eccellenza dei
manipolatori, specie di quelli televisivi, degli editorialisti
dei grandi giornali cosiddetti d’informazione. Chi
oserà mai contrapporsi ai luoghi comuni, in cui si rifugiano
i pigri e quelli che pensano di sapere già tutto?
Iluoghi comuni sono infiniti. Ce n’è uno che gira per
il mondo da decenni. È quello dell’anti-americanismo.
Guai a toccare l’America! Che, come diceva quel
filantropo di Ronald Reagan, è il «Regno del Bene».
Io pensavo che il Regno del Bene fosse più difficile da
identificare e, per questa ragione, sono stato spesso accusato
di anti-americanismo. Luogo comune per eccellenza,
come si può dimostrare.
Perché se è anti-americano chi critica il governo degli
Stati Uniti, allora è anti-francese chi critica quello di
Parigi e anti-italiano chi critica quello di Roma. Cioè
si giungerebbe alla conclusione che, per esempio, gli
americani che manifestano contro la guerra irachena
sono anti-americani e gl’italiani che criticano questo o
quel governo nazionale sono anti-italiani.
Andando avanti su questa strada si arriverebbe presto
alla conclusione che non si deve criticare più niente,
perché si finirebbe comunque sotto qualche anatema.
Invece dovrebbe essere evidente che un governo, buono
o cattivo che sia, non rappresenta mai la totalità di
un paese e di un popolo. Se c’è democrazia, questa non
si manifesta mai in forma di unanimità (questa è caratteristica
dei regimi totalitari, come sappiamo).
Dunque, un governo, nella migliore delle ipotesi, rappresenta
sempre e soltanto la maggioranza, non la totalità.
Per cui chi dissente dalle sue decisioni non manifesta
un atteggiamento di spregio nei confronti di un
popolo intero. Si limita a esercitare il diritto, individuale
e collettivo, della minoranza. Spesso poi accade
che un governo (com’è il caso dell’attuale governo degli
Stati Uniti) non solo non rappresenta la maggioranza,
ma è espressione di una minoranza di elettori.
E il presidente attuale degli Stati Uniti non risulta neppure
eletto in base alla conta dei voti, ma in base a un
editto di un tribunale della Florida, il cui governatore
è suo fratello. Per cui dare dell’anti-americano a chi critica
George Bush è davvero un’operazione troppo
sbrigativa. Ma, tant’è, i prigionieri di questo luogo comune
– come, in genere, coloro che amano starsene accucciati
nelle nicchie dei luoghi comuni – non badano
ai dettagli.
Così, continuando ad affibbiare agli altri la critica di
anti-americanismo non appena manifestano il minimo
dubbio circa le decisioni di questo o quel presidente
degli Stati Uniti d’America, gli adoratori di una certa
America perdono il bene dell’intelletto. Per esempio
sostenendo – altro luogo comune – che l’America ci ha
salvati dall’egemonia mondiale del nazismo. La verità
storica, come sa chiunque abbia studiato la storia invece
che leggerla attraverso gli occhiali di Angelo
Panebianco, dice che la vittoria contro il nazismo fu ottenuta
con il contributo assolutamente essenziale
dell’Unione Sovietica, mentre gli Stati Uniti arrivarono
dopo, con ritardo – c’è chi pensa che sia stato un ritardo
molto grave – a prendersi una parte del merito e
la quasi totalità del risultato.
Il comunismo sovietico poteva e può non piacere; anzi,
può essere visto con orrore, ma questo non autorizza
a negare la verità storica in nome del luogo comune,
ormai dominante, secondo cui noi tutti saremmo
stati salvati dall’America. Il fatto che questo luogo
comune stia trionfando da tutti i giornali e da tutti i teleschermi
non lo fa diventare, per questa sola ragione,
più vero.
Per molti anni corrispondente da Mosca per il quotidiano
«La Stampa», Giulietto Chiesa è uno dei più noti
giornalisti italiani. Tra i suoi ultimi libri: Afghanistan,
anno zero (Guerini e Associati, 2001), G8/Genova
(Einaudi, 2001), La guerra infinita (Feltrinelli, 2002).
Giulietto Chiesa