Un’antenna per l’indio

Assemblee dei capi, «una mucca per l’indio», progetti sanitari sono state tappe importanti per il processo di liberazione degli indios di Roraima.
È in vista un altro traguardo:
la stazione radio che trasmetterà i valori del vangelo
nella loro lingua.

D a oltre 50 anni i missionari della Consolata lavorano nella regione di Roraima. Dopo i primi contatti con le popolazioni indigene, essi si sono impegnati nel riscatto della loro dignità, aiutandole a riscoprire l’identità culturale e difendere i propri diritti. Tra incomprensioni, calunnie e minacce da parte della società dominante, gli indios hanno cominciato a diventare protagonisti del proprio futuro. Ma il cammino è ancora lungo e insidioso.
ASSEMBLEE DEI CAPI
Una tappa storica iniziale fu raggiunta nel gennaio del 1977 con la prima riunione dei capi villaggio. Fu un evento caratterizzato da dubbi e timori, angustie e sofferenze, che avviò un cammino di cambiamenti inarrestabili. Per la prima volta gli indios trovarono il coraggio di denunciare apertamente le angherie che dovevano subire da parte dei bianchi, invasori delle loro terre. Al tempo stesso s’impegnarono a lottare contro certe abitudini, come l’alcornolismo, che contribuivano a mantenerli in stato di emarginazione e semischiavitù.
Presa coscienza della situazione di emarginazione e oppressione in cui vivevano, gli indios cominciarono ad affermare la volontà di reagire pacificamente, ma con determinazione, per prendere in mano le redini del proprio futuro. Il processo di coscientizzazione è continuato nelle successive assemblee annuali, in cui sono emerse nuove idee e progetti concreti per realizzare un autentico riscatto sociale e culturale.
«UNA MUCCA PER L’INDIO»
L’idea era balenata nella mente dei missionari fin dal 1983: i bianchi dicono che «terra senza bestie è terra di nessuno»; allora gli indios della savana possono riappropriarsi del loro territorio allevando il bestiame. Dopo alcune esperienze fatte in pochi villaggi, fu tracciato un piano insieme alle comunità indigene e nel 1985 fu varato il progetto «una mucca per l’indio».
Lanciata in Italia, presso amici e conoscenti, in breve tempo l’iniziativa conquistò la simpatia di migliaia di persone, che contribuirono generosamente all’acquisto del bestiame. Dal 1985 al 1993 la diocesi di Roraima poté distribuire 7.800 mucche alle comunità, già preparate ad assumersi le responsabilità previste dal piano. Grazie alla riproduzione delle bestie, la distribuzione è continuata negli anni seguenti, in misura ridotta, ad altre comunità preparate per entrare nelle regole del progetto.
Oggi gli indios possiedono circa 30.000 capi di bestiame, senza contare quelli macellati o venduti per vivere o quelli morti durante la grande siccità di due anni fa. Il numero è destinato ad aumentare.
Più rilevanti dei numeri sono gli effetti straordinari di tale iniziativa, che ha provocato un profondo cambiamento nella vita sociale e culturale dei makuxí, wapixana e altre etnie minori, e di riflesso sui yanomami.
Oltre a sollevare gli indios dalla situazione di miseria, il progetto ha istillato e nutrito in individui e comunità un profondo senso di dignità e responsabilità collettiva, coesione e solidarietà tra i villaggi nella lotta per la comune sopravvivenza, crescita nella fede cristiana (gli indios della savana sono quasi tutti battezzati) e senso di appartenenza alla chiesa, grazie alla solidarietà dei fratelli nella fede che da lontano hanno pensato a loro e li hanno sostenuti con l’aiuto economico.
Tale sentimento di appartenenza e unità ha dato forza e coraggio alle popolazioni indigene per esigere dal governo la demarcazione delle loro terre, come mezzo indispensabile per vivere secondo la propria cultura.
SANITÀ COMUNITARIA
Fin dal 1952 la chiesa di Roraima si è preoccupata della salute degli indigeni, organizzando un ospedale con una ventina di letti nella missione di Surumú. Piccolo segno di fronte alla vastità dell’area indigena. I malati dovevano affrontare enormi distanze per raggiungere l’ospedale.
Suor Rosa Claudia, missionaria della Consolata, ebbe un’idea geniale: radunò 12 giovani, ragazzi e ragazze di 15-16 anni; per due anni trasmise loro una buona conoscenza di anatomia e fisiologia, igiene, malattie e relativi rimedi con farmaci che si comperano in farmacia e con quelli estratti dalle piante locali. A tale scopo organizzò nel terreno dell’ospedale un orto con erbe medicinali, quelle già note ai giovani, per averle viste nei villaggi, ed altre di cui la suora stava prendendo conoscenza.
Finita la preparazione, i giovani tornarono alle loro comunità con due compiti: costruire una piccola capanna, denominata «posto medico comunitario», e dar vita a un orticello di piante medicinali, chiamato «farmacia comunitaria». Al tempo stesso i giovani cominciarono a curare ferite, raffreddori, diarree di adulti e bambini, tossi, febbri malariche ed altri malanni comuni nella zona, usando sia medicine naturali che quelle comperate.
Inoltre erano capaci di applicare flebo, fare iniezioni e altri trattamenti di ordinaria amministrazione. Per i casi più gravi dovevano ricorrere all’ospedale della missione. La prima esperienza di questi giovani fu meravigliosa; grande fu, soprattutto, il senso di responsabilità e competenza con cui lavoravano.
Così, accanto alla chiesetta e alla scuola con catechisti e maestri, nei villaggi iniziava ad apparire il «posto medico» con i suoi responsabili, avviando un nuovo capitolo di attività che migliorò enormemente la vita comunitaria.
L’esperienza continuò. Altri giovani vennero formati e i centri sanitari si moltiplicarono in tutta la savana, con enorme beneficio delle comunità indigene, che imparavano a conoscere le malattie, difendere la propria salute, rispettare le norme igieniche, proteggere le piante medicinali. Con il progetto-mucche era migliorata l’alimentazione, con i posti medici anche la salute.
Qualche anno dopo, mentre i centri sanitari erano in piena funzione, un giovane medico brasiliano si offrì di lavorare a favore della salute degli indios della diocesi di Roraima. Si mise al lavoro con entusiasmo e ancora oggi accompagna con impegno e professionalità il settore sanitario del piano diocesano.
Nel frattempo fu costruita, presso la città di Boa Vista, la «casa di cura», un ospedale riservato prevalentemente agli indios yanomami, che vivono nella foresta, molto distante dalla regione dei makuxí. Anche questa struttura si è rivelata provvidenziale per la sopravvivenza di questo gruppo etnico.
LAICI CORAGGIOSI
Di fronte al perpetuarsi dei soprusi contro gli indios e le sfacciate calunnie e diffamazioni lanciate contro la diocesi di Roraima dalla classe politica e imprenditoriale locale, tra la popolazione bianca è maturato un folto gruppo di laici cattolici praticanti, che hanno preso posizioni ferme nel difendere i diritti degli indios e il lavoro del vescovo e dei missionari.
Più di una volta hanno sfidato con lettere aperte l’élite che controlla la vita politica, economica e sociale di Roraima; l’ultima, di pochi mesi fa, si è schierata a difesa di padre Giorgio Dal Ben, vigliaccamente attaccato da una popolare rivista brasiliana. Ne presentiamo alcune frasi.
«Noi, laiche e laici cattolici della diocesi di Roraima, coscienti del nostro dovere di evangelizzazione e ispirati dall’opera liberatrice di Cristo, gridiamo la nostra protesta, ripudio e indignazione contro gli attacchi lanciati alla nostra diocesi dalla élite capitalista, nel tentativo d’infangare l’immagine della chiesa di Roraima, perché essa difende con coraggio la causa degli esclusi, poveri, emarginati… Ripudiamo con veemenza calunnie, ingiurie e diffamazioni dirette contro i missionari e missionarie della Consolata, da una rivista di circolazione nazionale, che divulga menzogne e informazioni infondate e senza ascoltare le parti interessate. Affermiamo di nuovo pubblicamente la nostra solidarietà al vescovo, ai sacerdoti, religiosi e religiose di Roraima nel difficile compito di promuovere la giustizia, difendendo coloro che sono sfruttati».
UNA RADIO PER LA VERITÀ
Nel suo impegno in difesa degli indigeni la chiesa di Roraima deve affrontare autentiche persecuzioni, scatenate con l’appoggio dei mezzi di comunicazione, giornali, radio e spesso televisione: tutti strumenti in mano al governo. È quasi impossibile far sentire la sua voce oltre la cerchia dei fedeli che frequentano le funzioni religiose.
Da tempo si pensava a una stazione radio, sia per spiegare l’operato della chiesa, sia come strumento di evangelizzazione, per diffondere il messaggio e i valori del vangelo a tutti gli abitanti di Roraima.
L’impresa non era facile: la concessione di una emittente radiofonica dipende dal ministero delle comunicazioni e occorre l’appoggio dei politici. Per quelli di Roraima una radio cattolica è come il fumo negli occhi. Nonostante tutto tentammo la scommessa.
Per aggirare l’ostacolo, con l’aiuto di persone competenti fu costituita la «Fondazione educativa e culturale Giuseppe Allamano» a cui affidare la responsabilità della nuova struttura davanti alle autorità, senza far figurare la diocesi. Quindi, con l’aiuto di tecnici, fu preparato il progetto con estrema precisione: scopo della radio, esclusivamente educativo e culturale e non commerciale; potenza e area di irradiazione; programmi da mandare in onda; temi specifici per le varie ore della giornata, responsabilità legale della fondazione.
Dopo un anno di lavoro, nel 1990 il progetto fu presentato al ministero competente e fu elogiato per la perfezione con cui era stato elaborato. Sapevamo, però, che l’approvazione avrebbe richiesto molto tempo. Ma eravamo disposti ad attendere. Ogni volta che passavo nella capitale, facevo una capatina al ministero per sollecitare l’approvazione.
Quando giunse il tempo di lasciare la diocesi a un altro vescovo (1996), raccolsi copia di tutta la documentazione, la chiusi in una scatola di cartone e l’affidai alla segretaria perché la conservasse, anche se ormai avevo perso ogni speranza.
Ma alla fine del 1998 una lettera proveniente da Roraima mi comunicava che il ministero aveva approvato il progetto per l’installazione della radio. Il mio successore, mons. Apparecido, mi chiese di interessarmi del caso per reperire i fondi.
Grazie a Dio e all’interessamento del card. Ersilio Tonini, che da tempo ha preso a cuore la sorte degli indios di Roraima, sono arrivati i fondi per finanziare il progetto e sono iniziati i lavori di installazione.
Rimane ancora un punto interrogativo, sollevato a suo tempo da mons. Apparecido: «E poi chi sosterrà le spese di funzionamento e manutenzione?». Non esitai a rispondere: «Coloro che hanno reso possibile il progetto delle mucche faranno anche questo miracolo».
Negli anni passati, attraverso la campagna «una mucca per l’indio», gli amici italiani ci hanno aiutato a salvare gli indigeni di Roraima dalla fame e dalle malattie; sono certo che la loro solidarietà continuerà a sostenerci, per raggiungere un nuovo e più importante traguardo: aiutare i nostri fratelli indios a crescere spiritualmente e intellettualmente, oltre a difenderli e liberarli dalle menzogne dei loro oppressori. È questo lo scopo della «Radio educativa e culturale» che sta nascendo in Roraima.

Aldo Mongiano

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