La ricerca scientifica e lo stato dell’arte

La pandemia e il nuovo coronavirus (seconda parte)

Un pipistrello, considerato serbatoio e vettore di virus; alcuni ipotizzano, pur senza prove certe, esperimenti finiti male nei laboratori di Wuhan. Foto di Michael Pennay.

testo di Rosanna Novara Topino |


È già trascorso metà 2020, ma la pandemia prodotta dal virus Sars-CoV-2 è ancora tra noi. Cerchiamo di capire a che punto siamo e cosa abbiamo imparato.

La probabilità di trasmissione e l’infettività del virus Sars-CoV-2 non sono modificabili in assenza di una terapia adeguata o di un vaccino, mentre una diagnosi tempestiva può servire a contenere il numero dei contatti. È chiaro che tale diagnosi può essere effettuata solo mediante un test di laboratorio detto Pcr (della «Reazione a catena della polimerasi» per lo studio dell’Rna virale a seguito di tampone naso-faringeo o di aspirato endo-tracheale o lavaggio bronco-alveolare), ma poiché risulta impossibile sottoporre tutta la popolazione a questi test, su indicazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in un primo momento sono stati testati solo coloro che avevano avuto in qualche modo contatti con persone provenienti dalla Cina o da altri paesi asiatici, in cui si è manifestata inizialmente la pandemia. Successivamente, per mancanza dei reagenti necessari, in Italia (come già in Cina) è stato deciso di sottoporre a test solo coloro che presentavano, oltre ai sintomi, febbre elevata da più giorni senza avere beneficio dai comuni antipiretici. Infine, si è arrivati a casi di morte con sintomatologia compatibile con Covid-19, ma senza test, di persone anziane in «Residenze sanitarie per anziani» (Rsa) oppure di persone decedute in casa (senza avere ricevuto cure adeguate ed essere state sottoposte al tampone) o di persone che avevano lavorato a contatto con malati Covid.

Stando così le cose, è chiaro che il numero delle morti per Covid-19 nel nostro paese è ampiamente sottostimato. Secondo l’Inps («Analisi della mortalità nel periodo di epidemia da Covid-19» dello scorso 20 maggio), a fine aprile ci sono stati quasi 19mila decessi non conteggiati nelle morti da Covid-19.

È altrettanto chiaro che il sistema sanitario italiano in questa situazione ha rivelato tutti i suoi limiti, conseguenza dei tagli alla sanità pubblica degli ultimi decenni (si legga Gesualdi su MC giugno, ndr).

Un operatore sanitario mentre esegue un test. Foto di Dean Calma / IAEA.

Covid-19 e inquinamento atmosferico

Facendo un confronto tra l’andamento della Covid-19 e molte delle grandi pandemie del passato, come le influenze spagnola, asiatica, aviaria e suina, possiamo osservare che hanno avuto tutte origine in Asia, per poi diffondersi nel resto del mondo, passando prima per l’Europa, poi nelle Americhe e infine in Africa, Australia e Oceania.

Secondo uno studio condotto in Cina (Su, 2019), esisterebbe un’associazione tra l’inquinamento atmosferico e l’aumento del rischio di malattie infettive influenza-like (simil-influenzali). Al momento non sembra, tuttavia, essere plausibile che le particelle Pm2,5 e Pm10 siano capaci di veicolare il Sars-CoV-2, dal momento che l’essiccamento, i raggi UV e le temperature oltre i 25°C danneggiano l’involucro del virus.

In Italia, tuttavia, è stata fatta l’ipotesi di un possibile collegamento tra la diffusione del coronavirus e l’inquinamento atmosferico mettendo in relazione l’alta concentrazione del virus nella pianura Padana e l’inquinamento che la caratterizza, essendo quest’area riconosciuta come una delle più inquinate d’Europa. Probabilmente qui l’inquinamento atmosferico potrebbe agire sia come carrier (portatore), facilitando il trasporto del virus, sia come amplificatore dei suoi effetti sul polmone. Recentemente è uscito uno studio dei ricercatori di Harvard (Xiao Wu, 2020) negli Stati Uniti, che hanno evidenziato la relazione tra l’esposizione a lungo termine a Pm2,5 e il rischio di morte per Covid-19. Ci sarebbe un eccesso di mortalità del 15% sul totale della popolazione, per un aumento di 1g/m3 della concentrazione atmosferica di Pm2,5. Questo potrebbe spiegare la maggiore diffusione del virus nelle regioni settentrionali, rispetto al resto dell’Italia.

L’età e il genere dei malati

Finora il Covid-19 ha colpito con maggiore rischio di malattia grave e di morte le persone oltre i 60 anni di età, soprattutto se portatrici di altre patologie come diabete, ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche e cancro. La fascia d’età più colpita in Italia è quella degli anziani tra gli 80 e 89 anni (39,7%). Tuttavia, ultimamente e un po’ ovunque nel mondo, si sono verificati decessi anche tra persone di età inferiore e senza patologie pregresse. Gli under 30 rappresentano il 5% dei malati nel nostro paese. Finora la mortalità è risultata più elevata (per tutte le fasce d’età, ad eccezione degli over 90) negli uomini, che nelle donne e questo dato non è solo relativo all’Italia, ma è rilevato su scala mondiale. Probabilmente questo fatto si spiega con l’interazione tra sistema endocrino e immunitario, essendo quest’ultimo modulato dagli ormoni sessuali. Gli estrogeni femminili potrebbero avere una funzione protettiva soprattutto contro le malattie cardiovascolari, che possono essere un fattore di rischio di mortalità da Covid. Inoltre, sul cromosoma X sono stati mappati circa un migliaio di geni, contro il centinaio del cromosoma Y e molti di questi sono correlati a funzioni immunitarie. Sebbene nella femmina uno dei due cromosomi X risulti inattivato, è possibile che qualche sua parte non lo sia del tutto, permettendo una risposta immunitaria maggiore di quella maschile. Questo fatto si spiegherebbe con una maggiore competenza del genere femminile nella protezione della specie e sarebbe dimostrato anche dal fatto che, nel corso di questa pandemia, al momento non è stato riscontrato il coronavirus nel liquido amniotico o nel latte materno.

Le possibili cause

Gabbie di animali in un «wet market» di Manila (Filippine). Foto di Wayne S. Grazio.

Cosa può avere provocato la pandemia? L’ipotesi più accreditata è legata alla presenza a Wuhan di un grande mercato del pesce e dell’umido, dove vengono venduti animali selvatici di ogni tipo, tra cui pipistrelli, serpenti, pangolini, zibetti, oltre che animali domestici come cani e gatti. Mercati come questo sono molto diffusi in Cina e rappresentano un giro d’affari plurimiliardario, dal momento che gli animali selvatici rappresentano una vera prelibatezza sulle tavole delle classi sociali più elevate e vengono, inoltre, utilizzati nella medicina tradizionale cinese. Il volume d’affari di questo commercio di animali, tra selvatici e d’allevamento, si aggira sui 18 miliardi di dollari e circa 6,3 milioni sono gli addetti negli allevamenti cinesi. Questo commercio è particolarmente diffuso nelle aree rurali. Uno dei principali problemi è che in questi mercati vengono venduti animali vivi (spesso stipati in grande numero nelle gabbie), che vengono scelti dall’acquirente e poi macellati sul posto in precarie condizioni igienico sanitarie e questo fatto potrebbe senz’altro essere alla base del salto di specie da animale a essere umano.

Non è un caso se le autorità cinesi a gennaio, dopo l’emergere dell’epidemia, abbiano deciso di chiudere il mercato di Wuhan, ripristinando le stesse misure restrittive già adottate ai tempi della Sars e successivamente revocate. Poi, lo scorso 20 maggio, l’amministrazione della metropoli cinese ha introdotto il divieto di cibarsi di animali selvatici (fonte Cbs News).

Le ipotesi sul laboratorio di Wuhan

Un’altra ipotesi su ciò che può avere provocato la pandemia è un incidente di laboratorio o meglio la fuga accidentale di pipistrelli infettati con il coronavirus dal National Biosafety Laboratory di Wuhan, certificato come conforme alle norme e ai criteri di Bsl-4 (biosicurezza di livello 4 per lo studio degli agenti patogeni più pericolosi al mondo e delle malattie emergenti). Si sa che nell’istituto di virologia di questo centro sono stati intrapresi esperimenti con coronavirus su pipistrelli catturati nelle grotte dello Yunnan, finanziati con una sovvenzione di 3,7 milioni di dollari da parte del governo degli Stati Uniti (fonte Daily Mail). Inoltre, secondo il Washington Post, alcuni diplomatici statunitensi a Pechino avevano scritto nel 2018 un dossier sul centro ricerche di Wuhan evidenziando la pericolosità degli studi condotti sui coronavirus di pipistrello e il rischio di pandemia.

Non sarebbe la prima volta che un’epidemia nasce da esperimenti di laboratorio (come nel caso della sindrome di Marburg), tuttavia è un’ipotesi che va verificata, altrimenti resta soltanto un’ipotesi.

Rosanna Novara Topino
(fine seconda parte)

L’infografica sintetizza bene le conseguenze della distruzione delle foreste; il Wwf chiama le foreste «il nostro antivirus». © Arimaslab per WWF Italia, 2020.

Il potenziale di trasmissibilità

Il parametro «Erre con zero»

Un parametro importante che ci permette di valutare l’andamento dell’infezione è l’R0, cioè il numero di riproduzione di base, che indica il dato di infezioni secondarie che un individuo infetto può trasmettere in una popolazione completamente suscettibile a un nuovo patogeno (in questo caso Sars-CoV-2). Esso misura la potenziale trasmissibilità della malattia, in assenza di misure di contenimento. Quanto maggiore è R0, tanto più facilmente può diffondersi la malattia infettiva: se R0 è pari o superiore a 2, significa che ogni positivo mediamente infetta due persone; un R0 inferiore a 1 indica che l’epidemia può essere contenuta. Secondo l’Oms, l’R0 di Covid-19 è compreso tra 1,3 e 3,8 sulla base dei dati raccolti da enti di ricerca di tutto il mondo. Quello della Sars era compreso tra 2 e 4 con una media di circa 3 e quello della Mers inferiore a 1. Questo parametro dipende dalla probabilità di trasmissione per singolo contatto tra una persona infetta ed una suscettibile, dal numero dei contatti della persona infetta e dalla durata dell’infettività (che, secondo studi cinesi, può arrivare fino a 50 giorni, mentre qui in Italia una ragazza bolognese è risultata positiva fino al giorno 75). Dopo l’introduzione delle misure di contenimento, si preferisce usare l’Rt, che indica il numero di infezioni secondarie che possono verificarsi, dopo che tali misure sono state introdotte in un determinato territorio. (R.N.T.)

Epidemie e pandemie

I fattori scatenanti

Quali sono i fattori che possono scatenare un’epidemia/pandemia? Uno di essi è sicuramente la colonizzazione di un nuovo ambiente, specialmente a seguito di deforestazione. Questa infatti porta l’uomo a contatto con animali selvatici potenziali serbatoio di virus che normalmente non si incontrerebbero. Altro fattore è l’urbanizzazione che porta spesso a una elevata densità di popolazione ed è caratterizzata da sacche di povertà nelle periferie delle grandi città. La scarsa igiene personale o dell’ambiente dovuta spesso alla mancanza di adeguati sistemi fognari e/o di acqua potabile. La perdita dell’immunità in una popolazione (l’«immunità di gregge») per la riduzione del numero delle vaccinazioni o per la mutazione degli agenti patogeni. L’abuso di antibiotici con la conseguente comparsa della resistenza ai medesimi. Il cambiamento negli stili di vita che possono comprendere l’abuso di droghe, nuove abitudini sessuali e/o alimentari. La globalizzazione degli scambi commerciali e dei viaggi in genere che rende raggiungibile in poche ore ogni parte del mondo, contribuendo alla diffusione ovunque dei vettori degli agenti eziologici. L’uso dei pesticidi, che ha eradicato determinate malattie in alcune aree del mondo, ma ne ha favorito la diffusione in altre, soprattutto in seguito alla comparsa di insetti vettori resistenti agli stessi pesticidi. Infine, i possibili incidenti di laboratorio.  (R.N.T.)

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