Cari missionari

1925: verso la zambesia. Fratel Benedetto, padre Sandrone, padre Calandri, padre Luigi Perlo e padre Peyrani.
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L’Hotel a 5 stelle

Svuoto la cassetta della posta dove, con altra corrispondenza (perlopiù bollette da pagare), c’è Missioni di Novembre. Mentre mi dirigo verso l’ascensore, tolgo alla rivista la protezione di plastica. Un brusco movimento e, per salvare l’altra corrispondenza, la rivista scivola a terra. Quasi fosse comandata da una sapiente mano, resta aperta a pagina sette mostrando un sorriso che ben conosco e che mi riporta indietro di 13 anni. A marzo 2002. Un sorriso aperto, sincero, non di facciata, non di sola cortesia. Uno di quei sorrisi, accompagnati spesso da sonore risate, che ti conciliano col mondo. Che ti fanno apprezzare la vita. Che ti fanno capire la bellezza di viverla, nonostante una parte d’umanità faccia di tutto per fare emergere il contrario. Padre Franco, che ebbi la grande fortuna di conoscere a Nairobi. Una delle figure più positive e coinvolgenti, pur nella sua semplicità priva di ogni ostentazione, che io abbia conosciuto nel mio lungo peregrinare in terre di Missione e non solo. Al mio ritorno, scrissi un articolo Hotel a 5 stelle che pubblicaste nel 2002 sia su Amico, a luglio, che MC, a ottobre. Conservo ancora gelosamente quelle pagine in suo ricordo.

La notizia della sua scomparsa mi ha sferrato un secondo potente pugno allo stomaco, dopo quello della morte di mio fratello avvenuta 5 giorni prima. Non ero al corrente della sua malattia. Avevo malauguratamente perso i contatti dopo che, per un problema di virus al suo computer, aveva pregato di astenersi dall’inviare e-mail per un certo periodo. Il suo ricordo rimarrà comunque sempre ben custodito nel mio cuore accanto alle persone più care della mia non brevissima vita.

Mario Beltrami – Sesto San Giovanni (MI), 19/11/2015

Uomini di poco conto

Caro Padre Gigi,
quando sono riuscita a leggere l’editoriale dello scorso giugno, sono rimasta colpita dalle parole di Giorgio Torelli: Se molti uomini di poco conto, in molti posti di poco conto, facessero cose di poco conto, allora il mondo potrebbe cambiare. Non posso che concordare con tale pensiero e credo, anche se probabilmente sarebbero altri a doverlo dire, di agire in tal modo nei contesti in cui sono impegnata. C’è tuttavia da considerare che, proprio perché mi sembra di avere assunto il ruolo di chi è di «poco conto» da molti anni, spesso gli eventi, le decisioni, i cambiamenti, e non parlo dei riconoscimenti che non costituiscono un obiettivo pur facendo piacere, avvengano spesso secondo logiche del tutto impreviste e non rispondano a criteri di prudenza, ragionevolezza, ponderazione, discernimento, bensì a criteri di brillantezza nell’esposizione, immagine vincente, forza nella relazione interpersonale, prevaricazione nell’azione. Più volte mi è capitato, infatti, di constatare che, pur avendo capito quale fosse il comportamento più funzionale da seguire, in ambito lavorativo in particolare, per modificare in meglio una situazione, gli eventi abbiano poi risposto a ben altre «non scelte», ossia a dinamiche attivate da forme di «astuzie» ben mascherate, a vantaggio non di tutti bensì solo di qualcuno, se non di uno. Tutto ciò non inficia la convinzione citata in precedenza, ma induce a pensare che per affermare la giustizia da parte di chi è di poco conto, in posti di poco conto e tramite cose di poco conto, occorrano non solo le virtù ma anche il riconoscimento e la tutela delle intenzioni e dei comportamenti virtuosi, ossia strumenti che, pur in modo poco visibile, impediscano ai criteri poco razionali, come l’interesse personale, di avere la meglio. Sempre riconoscente per le suggestioni.

Milva Capoia – 25/07/2015

La primavera è già iniziata

Caro Direttore,
so di scrivere in ritardo, ma lo voglio fare comunque. È difficile dire se un articolo poteva uscire meglio di un altro, ma alcuni articoli sono insuperabilmente ben riusciti. Oggi mi riferisco all’articolo di ottobre: 2 Istituti 1 Missione. Le foto gridano al sole: diversità e unità, collaborazione e complementarietà, allegria e chiarezza di obbiettivi, Dio fonte di ogni chiamata e fedeltà nella risposta. Coraggio, movimento, fermate, tutto è importante nella missione. L’intervista merita: le domande sono adeguate per rispondere quali sono i sogni dell’Istituto, le difficoltà e il grande privilegio di approssimarsi, come missionari, al mosaico plurietnico e maxi culturale…

In quell’articolo i personaggi sono giovani e «veri». Significa che la primavera già è iniziata e che Dio è fedele. Complimenti Missioni Consolata. Grazie anche per l’articolo di maggio: «La “mia” Irene». Fa bene al cuore ripassare i motivi dei nostri affetti e le conquiste di Dio. Avanti! Con stima,

sr. Leta Botta – Boa Vista, Brasile, 17/11/2015

50 anni speciali

La storia della salvezza vive anche di numeri e 50 non è un numero come gli altri. Auguri quindi, auguri di cuore per il vostro 50° anno nella terra degli Yanomami, e complimenti per il regalo che vi siete fatti e che ci avete fatto, con il dossier su Roraima. Entusiasmante leggere, tra le altre cose, tutte molto interessanti, che «gli Yanomami stanno vivendo una forte crescita demografica…» e che «nella regione del Catrimani 408 persone hanno meno di 14 anni…». Grazie.

Francesco Rondina – 28/10/2015

Navi da crociera

Cari Missionari,
io sarò anche esagerato quando, rispondendo a chi lamenta l’islamizzazione dell’Europa e invoca i «respingimenti non solo in terra ma anche in mare…» («Prima – come dice, tra gli altri, il leader della Lega M. Salvini – bisogna pensare ai disoccupati e agli esodati italiani…»), sostengo che le vittime della guerra, delle persecuzioni e dei trafficanti di uomini andrei a prenderle con le navi da crociera, ma gli eventi di questi ultimi anni mi hanno radicato sempre di più in questa convinzione.

Quando vedo che molti di coloro che annegano sono bambini piccolissimi, quando vedo che dalla Siria arrivano addirittura dei disabili con la sedia a rotelle, quando sento che i conflitti solo in Siria, hanno provocato 250mila morti e 5 milioni di profughi, quando in Croazia, dall’Afghanistan, arriva una donna come Bibihal Mirzaji, 105enne, piena di voglia di vivere e di raggiungere la Svezia, non posso che ribadire ciò che molti dei miei interlocutori si ostinano a giudicare, nella migliore delle ipotesi, come una bizzarra provocazione…

Sì, quelle navi così grandi, così attraenti, così lussuose, così avveniristiche, ma anche così fragili (il Titanic prima e, in tempi molto più recenti, la Costa Concordia, ce lo hanno insegnato e il costo è stato altissimo…) mettiamole al servizio degli ultimi, dei diseredati, degli indifesi, mettiamole al servizio del Bene. Il prossimo «inchino» i comandanti delle città galleggianti lo facciano dinanzi ai profughi siriani, iracheni, afghani e africani…

Pensino ai criteri stabiliti da Gesù nel Vangelo per banchetti e seguiti, un mesetto fa, da quella «mancata suocera» di Sacramento, in Califoia, la quale, invece di piangere per le nozze sfumate della figlia, ignobilmente tradita dal fidanzato, ha giornito e, invece di disdire tutto, ha confermato la prenotazione nel ristorante scelto per il rinfresco, ma la festa l’ha fatta invitando i poveri, gli emarginati, i senzatetto della città. Grazie per l’attenzione

Luciano Montenigri – 31/10/2015

Martirio

Caro Padre Gigi,
nella rivista del novembre scorso hai trattato delle procedure di beatificazione e canonizzazione. Da parte mia vorrei aggiungere che con papa Benedetto XVI il miracolo può essere sostituito dal martirio in odio alla fede, naturalmente comprovato (vale per i singoli martiri come per gruppi di martiri). Anche papa Francesco ha fatto ricorso a questa procedura nel suo pontificato. Merita di essere segnalato questo opportuno aggioamento nella procedura in quanto Missionari della Consolata poiché le testimonianze di martirio dei missionari oggi stesso sono numerose e patrimonio di grande santità nella testimonianza totale alla fede in Gesù. Cari saluti

Anastasio Ferrari  – Fidenza, 9/11/2015

Grazie d’averlo ricordato. Non avevo dimenticato questo aspetto, ma nel mio piccolo riassunto avevo dovuto essere più sintetico che mai. Se non sbaglio, il processo iniziato per suor Leonella, come quello per i martiri di Guiua in Mozambico, si avvale proprio di questa clausola.

Novantesimo Anniversario dell’arrivo dei missionari della Consolata in Mozambico

1925: verso la zambesia. Fratel Benedetto, padre Sandrone, padre Calandri, padre Luigi Perlo e padre Peyrani.
1925: verso la Zambesia. Fratel Benedetto, padre Sandrone, padre Calandri, padre Luigi Perlo e padre Peyrani.

DSCF3182 (1)Tra le date che non possiamo dimenticare c’è il 30 ottobre, perché è la data in cui sono arrivati i primi quattro missionari della Consolata in Mozambico, nel 1925. Per grazia di Dio quest’anno 2015 abbiamo celebrato il novantesimo anniversario. Partiti da Torino dopo aver ricevuto il crocifisso dal beato Giuseppe Allamano, i padri Paolo Borello, Lorenzo Sperta, Giovanni Chiomio e il seminarista Secondo Ghiglia, presero i loro mantelli e partirono senza esitazione ma con grande zelo apostolico per amore a Dio. Quando arrivarono in Mozambico, agirono come un agricoltore che semina e ha fiducia che quel che ha seminando germoglierà, crescerà e darà molti frutti. Però loro hanno seminato non grano ma la Parola di Dio nei cuori dei credenti. Il piccolo chicco seminato dai primi quattro missionari, oggi è diventato un grande albero, forte nelle sue radici, nelle sue foglie e nei suoi frutti; un albero che neppure un grande uragano potrebbe abbattere perché il seme è stato piantato in terra fertile nel tempo giusto.

La loro semplicità e presenza in mezzo al popolo diventò, e continua a essere, segno di vicinanza, di amore, e di fiducia. Dalla prima generazione fino a oggi le priorità pastorali dei missionari che lavorano in Mozambico si possono elencare in due gruppi principali:

  • – L’evangelizzazione: i missionari dal 1928 a oggi hanno fondato ben 39 parrocchie e moltissime cappelle e comunità di preghiera nelle diverse diocesi.
  • – La promozione umana: innumerevoli le scuole di ogni ordine e grado, le opere sociali, il centro catechistico di Guiua per la formazione dei catechisti delle varie parrocchie, la «Scuola secondaria Padre Eugenio Menegon» e tante altre attività.

In questo novantesimo anniversario, merita ricordare i vari catechisti che collaborarono e continuano a collaborare con i missionari della Consolata, tra cui il catechista Giovanni Cepinenga e i suoi compagni. Fu battezzato in Malawi, ritoò in Mozambico e cominciò a evangelizzare nel suo villaggio. Poi percorse più di 350 km a piedi per andare a cercare i missionari e, quando li trovò, li invitò ad andare a Mecanhelas. I missionari, arrivati a Mecanhelas, ebbero la sorpresa di incontrare tanti cattolici e molti catecumeni, perché loro andavano fino in Malawi per ricevere i sacramenti. Va anche ricordato che la chiesa mozambicana, provata da molti anni di guerra, in molte parti sopravvisse solo grazie ai catechisti.

Il nostro augurio e il nostro grazie va a tutti i missionari della Consolata, in modo particolare coloro che lavorarono e continuano a lavorare in Mozambico portando e seminando la Parola di Dio nei cuori dei fedeli.

Eugenio Bento Cristovão – Roma Bravetta, 23/11/2015

Un Piccolo grande missionario

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Carissimo Direttore,
grazie per il bel lavoro che fate nella rivista. Mi è sempre piaciuta, perché ci fa gustare il profumo della mondialità e non ha avuto paura di accettare le nuove sfide della missione, dopo il Concilio Vaticano II.

Per questo vorrei chiederti di dare un piccolo spazio a un grande missionario, il p. Vincenzo Pellegrino, un uomo che ha capito e vissuto le nuove sfide della missione, lavorando nell’animazione missionaria della Chiesa locale in Colombia, Italia e Spagna, e specialmente accompagnando il cammino delle comunità contadine e afro-colombiane in Colombia.

Ho avuto la fortuna di essere suo compagno nell’équipe di riflessione e lavoro per la formulazione prima di un nuovo progetto di animazione e di formazione alla missione, e poi di un nuovo progetto di vita e di azione missionaria.

Sono stati anni di ricerca e di sperimentazione alla luce del Concilio, in Italia dal 1973 al 1978, e poi in Colombia. Più che un compagno per me è stato un maestro, un vero discepolo missionario di Gesù animato dallo Spirito Santo. Ho sempre ammirato la sua capacità di «uscire», la sua apertura alla speranza e al futuro. Un missionario senza paure, con la porta sempre aperta alle persone e ai «segni dei tempi».

Mi fa piacere celebrare i 50 anni del Concilio Vaticano II, il grande Concilio missionario, ricordando la figura di questo piccolo-grande missionario, che visse tutta la sua vita, animato dallo spirito del Concilio, che è lo spirito di Gesù e del suo Vangelo.

Padre Antonio Bonanomi – Torino, 13/11/2015

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