Conosciuto ma dimenticato

Malattie dimenticate: colera

Il colera continua a mietere vittime dove manca l’accesso all’acqua pulita e ai servizi igienici di base.

I l settimo Obiettivo di sviluppo del millennio, fra quelli stabiliti alle Nazioni Unite nel 2000 e da raggiungere entro il 2015, riguarda l’ambiente. Un obiettivo importante perché comprende problematiche quali l’accesso all’acqua pulita, la possibilità di avere servizi igienici adeguati e fognature, con separazione dell’acqua sporca da quella usata per bere e mangiare.
Ma secondo quanto riportato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef) in un resoconto dello scorso anno, la strada è ancora lunga, vista la necessità di aumentare di un terzo gli sforzi per l’accesso all’acqua pulita e addirittura raddoppiarli sul versante servizi igienici e fognature. Ed è collegato all’acqua contaminata il colera, malattia dimenticata nel momento in cui vengono garantite le norme igieniche, ma che si ripresenta quando tali condizioni di sicurezza vengono a mancare. L’Oms riporta infatti il colera come uno degli indicatori chiave per quanto concee lo sviluppo sociale, una minaccia che svanisce nel momento in cui viene raggiunto un livello igienico minimo.
Nonostante questo, epidemie di colera, dimenticate, continuano a imperversare nei paesi poveri, non solo, sottolinea l’Oms, seminando sofferenza e morte, ma danneggiando anche la struttura economica e sociale delle comunità colpite e ostacolandone lo sviluppo.

Acqua da bere
e dA eliminare
Secondo quanto riportato dal resoconto di Oms e Unicef, supera il miliardo il numero di persone in aree urbane e rurali senza ancora un accesso ad acqua pulita e sarebbero oltre due miliardi e mezzo quelle senza servizi igienici e fognari adeguati.
A fare le spese di questa situazione sono soprattutto i bambini: nel solo 2005 ogni giorno 4.500 piccoli con meno di 5 anni sono morti per cause collegate all’acqua non sicura e a norme igieniche inadeguate, per un totale di 1,6 milioni. In particolare rappresentano una minaccia le malattie con diarrea e quelle parassitarie, con un rischio aumentato di epidemie di colera, tifo e dissenteria.
E proprio fra i bambini, nell’ambito di una situazione sanitaria sempre più precaria, sono stati segnalati a giugno i primi casi sospetti di colera in Iraq, dove veniva calcolato che meno di un piccolo su tre (il 30%) avesse l’accesso ad acqua sicura.

Il batterio e la tossina
Il responsabile del colera, malattia infettiva intestinale, è un batterio dal nome Vibrio cholerae, che arriva all’uomo attraverso l’acqua o il cibo contaminato. Solo raramente vi può essere una trasmissione diretta fra le persone.
Le epidemie di grandi dimensioni con inizio improvviso, tuttavia, sono in genere collegate all’utilizzo di acqua contaminata. La diarrea acquosa è causata da una tossina prodotta dal batterio e può portare a una perdita importante di liquidi dell’organismo, con disidratazione grave e morte se il malato non viene curato. Insieme con la diarrea vi può essere anche vomito.
Tuttavia, la maggior parte delle persone infettate non presenta la malattia, nonostante elimini con le feci il batterio, e lo diffonda quindi nell’ambiente, per una o due settimane. Inoltre, nel caso in cui vi sia la malattia, si ha il quadro clinico di colera con disidratazione moderata o grave in un paziente su dieci circa, mentre negli altri il quadro è meno importante e può essere sovrapponibile ad altri tipi di diarrea acuta.

rischio alto se impreparati
Il numero di morti causati dal Vibrio cholerae è molto differente a seconda degli interventi che vengono messi in atto e della loro tempestività. Si tratta infatti di una condizione che se si verifica in una zona pronta a rispondere in modo adeguato, con reidratazione del malato e se necessario con farmaci, i casi mortali sono meno di uno su 100; quando però l’infezione intestinale si diffonde in comunità non preparate e viene a mancare il trattamento o l’intervento rapido, il numero di morti sale, arrivando anche al 50% dei casi, uno su due.
Accanto poi ai provvedimenti nei confronti delle persone malate, vi sono le misure igienico-sanitarie, personali e della comunità, e di utilizzo di acqua e cibo sicuri per bloccare la diffusione del batterio e dell’infezione.

Decine di migliaia di casi
Il colera è diffuso e rappresenta un rischio costante di malattia, e morte, in diversi paesi. Vi sono anche epidemie isolate, favorite da tutte quelle condizioni che mettono a rischio l’accesso ad acqua e cibo sicuri e le condizioni igieniche di base, per esempio in zone con sovraffollamento o nei campi profughi. In queste situazioni il rischio di morte per colera è alto: l’Organizzazione mondiale della sanità riporta come nel 1994, nel campo rifugiati a Goma (Congo) durante la crisi rwandese, il Vibrio cholerae in un solo mese sia stato responsabile di 48 mila casi e 23.800 decessi.
Nonostante il suo possibile carico di morti evitabili, il colera viene dimenticato, confinato nelle periferie povere delle città, fra i profughi, nelle zone dove l’acqua pulita non è scontata. Alla fine di gennaio dello scorso anno, per esempio, sono stati segnalati i primi casi di colera nel Sud del Sudan: in meno di un mese le infezioni sarebbero state oltre 3.700, con decine di morti. Il numero complessivo di casi di diarrea acquosa nella prima metà del 2006 (fra il 28 gennaio e il 14 giugno) avrebbe superato i 16 mila, con 476 morti in otto su dieci stati del Sud Sudan.
Sempre in Africa, l’infezione avrebbe colpito in Angola oltre 40 mila persone, uccidendone migliaia. Comparso a Luanda a metà febbraio, anche qui come in Sud Sudan collegato a consumo di acqua non sicura, il colera si sarebbe poi diffuso a 14 delle 18 province, arrivando a una media di 25 morti ogni giorno. La popolazione si è trovata impreparata di fronte a una malattia per la quale da diversi anni non venivano segnalate epidemie nel paese. E quella del 2006 è stata definita da Richard Veerman, capo missione nel paese dell’organizzazione non governativa Medici senza frontiere, come «una delle peggiori mai viste in Angola».
Secondo quanto riportato dall’Organizzazione mondiale della sanità, il 21 giugno, quando la diffusione dell’epidemia era in calo (seppur con ancora 125 casi segnalati ogni giorno), il totale delle infezioni riportate era arrivato a 46.758 casi, con 1.893 morti.
Ma lo scorso anno il colera in Africa ha imperversato anche in altre zone del continente: nel Nord del Sudan (con oltre 6.200 casi di infezione e circa 200 morti in quattro mesi) e nel Darfur, o ancora in Liberia, con la segnalazione di Medici senza frontiere ad agosto, di un aumento improvviso di casi nella capitale, in un paese in cui la malattia si presenta regolarmente con epidemie nella stagione delle piogge.

Insegnare ai bambini
Nel caso dell’epidemia in Angola, secondo quanto riportato da Medici senza frontiere, la conoscenza da parte delle persone di quello che era possibile fare per proteggersi dall’infezione era limitata, come pure nel caso dell’epidemia nel Sud Sudan, dove il colera non è solitamente diffuso.
Accanto a sovraffollamento, condizioni igieniche precarie e così via, assumerebbe un ruolo anche la conoscenza delle popolazioni dell’infezione, di come si trasmette, di cosa fare per bloccarne la diffusione. Sulla mancata conoscenza delle norme igieniche più semplici e le possibili conseguenze sulla diffusione di malattie hanno pensato di lavorare, per esempio, due cooperanti dell’organizzazione non governativa Coopi, proponendo un percorso ludico e nello stesso tempo istruttivo. Con un progetto di educazione sanitaria, indirizzata ai bambini in un quartiere povero di Kampala, capitale dell’Uganda, hanno cercato di renderli consapevoli dell’importanza delle condizioni igieniche e sanitarie nella vita di tutti i giorni, insegnando per esempio a non buttare la spazzatura nei canali di drenaggio sotto casa. Un gioco con tanto di pedine, percorso che rappresenta la città, dado da tirare per muoversi, carte con domande su salute, igiene e ambiente, a cui rispondere e su cui discutere insieme, imparando mentre si divertono.

Di Valeria Confalonieri

Valeria Confalonieri

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