Lettere sul Venezuela

La contrastante valutazione di un reportage di Missioni Consolata<

Scrivo in riferimento a «Chávez ti amo, Chávez ti odio» di Missioni Consolata, giugno 2003. Conosco a fondo la situazione del Venezuela e sono rimasta costeata nel leggere le incredibili semplificazioni operate dall’articolo su una tragica situazione. Non entro nella questione politica e prescindo dal prendere posizione pro o contro Chávez, anche perché l’articolista non affronta il vero problema, ma afferma cose aleatorie o si basa su aneddoti banali per trae conclusioni generali.

È anche un articolo (e lo scrivo con dolore immenso) fuorviante e superficiale, che fomenta classismo e razzismo, finora totalmente assenti in Venezuela.
Leggo: «I bianchi sono circa il 21% della popolazione». Quali bianchi? I «bianchi» vengono fuori a caso da qualunque famiglia, perché dai medesimi genitori nascono figli di ogni gradazione della pelle. Chi sposa un venezuelano/a non sa di quale colore saranno i figli: indios, neri, moreni, bianchi e anche gialli… È il regno di Cristo, signor direttore, dove ogni differenza è raccolta, amalgamata e amata!

La mia amica Gladys ha una bambina «pura italiana castagnina» e un maschietto «nero come un tizzone»; i genitori non sono italiani, né bianchi, né moreni, ma solo un po’ abbronzati. Altro esempio: un amico moreno ha un fratello come lui e tre sorelle (due bianche e una morena). Dunque come potrebbe esistere una «categoria» di bianchi?

Trovo scritto ancora: «I “bianchi” vivono nelle grandi città. I “bianchi” sono i principali leaders dell’opposizione. I “bianchi” hanno in mano i canali televisivi…». Direttore, guardi le foto nella stessa rivista: due collaboratori di Chávez sono bianchi e persino biondi… Non è questa una campagna razzista contro i «bianchi», che crea antagonismo tra fratelli di colore diverso su una base completamente inesistente? E questo su una rivista missionaria cattolica. C’è da morire di crepacuore! Il termine «negrito», lungi dall’essere ingiurioso, è meraviglioso: è il vocabolo della tenerezza e designa l’essere più caro, negretto o «blanquito» che sia.

L’articolo dà gran rilievo anche a qualcosa che è solo un elemento culturale, cioè lo «schiarire la pelle»: il «blanqueo» è la preparazione alle nozze delle indie guajiros da tempo immemorabile… Gli aztechi aspettavano un «dio biondo», e si commossero quando apparvero i «diavoli» spagnoli di Cortés; uno, il più malvagio, era biondissimo…

Anche un italiano basso vorrebbe essere 1 metro e 80; anche un’italiana bruttina si duole e vorrebbe essere una miss. Certe aspirazioni alla bellezza sono universali. Non è così? Un giovanotto, innamorato di una «morenita», non la lascerebbe per nessuna «blanquita» al mondo. Perciò l’aneddoto della donna afro (che si vanta di essere meno nera dell’altra), generalizzato per descrivere una situazione politico-sociale, mi sembra assurdo.

L’abbandono di bimbi… Certo, se la situazione degrada sempre più, i problemi diventeranno abnormi. Fino a poco tempo fa i bambini crescevano in famiglie allargate; i nati prima del matrimonio erano allevati dalla nonna. Il popolo venezuelano (prima di questo disastro) era stupendo e profondamente religioso.
Vorrei, direttore, che lei esaminasse spassionatamente il tutto e prendesse i provvedimenti del caso.

Il Signore le sia largo di grazie.

Maria Ricci – Roma

Sono un italiano in Venezuela da 34 anni, dove arrivai come professore universitario di matematica. Nel paese, tra varie esperienze, ho avuto il privilegio di essere tra i fondatori dell’università « Simón Bolivar», sin dall’inizio una delle migliori del continente.

Ricordo com’era difficile nella nostra università vedere un nero. La maggioranza dei professori erano stranieri, europei per lo più; anche la maggioranza degli studenti erano discendenti di europei. In un paese dove i meticci sono l’80 per cento, gli studenti della «Simón Bolivar» probabilmente non arrivavano al 20%.

Era uno degli aspetti (per dirlo con il titolo di un libro del 1991 di una docente dell’Università Centrale di Venezuela) del «razzismo occulto di una società non razzista». La professoressa era nera, ovviamente, perché – come mi diceva qualche mese fa un’amica nera – «si deve essere neri per capire che significa essere neri».

Direttore, perché le faccio questo discorso? Per congratularmi con la sua rivista, che ha pubblicato gli articoli di Paolo Moiola sulla situazione del Venezuela.
In termini astratti ciò che sta avvenendo nel paese è la punta dell’iceberg di un fenomeno tipicamente latinoamericano: il continente si sta scrollando di dosso cinque secoli di colonialismo, durante i quali una minoranza di bianchi facevano il buono e il cattivo tempo, e la grande maggioranza di meticci potevano soltanto dire «signorsì». Non parlo di Cile, Argentina e Uruguay, dove gli indigeni furono sterminati o completamente ignorati. Parlo di paesi come Venezuela e Brasile, con un altissimo coefficiente di meticcità; parlo dei paesi andini, che sono ancora al tempo della «colonia», come 500 anni fa. Sarà questo il tema di un mio prossimo libro.

Tra le mie attività (lasciai l’università oltre 20 anni fa, stanco di essere un «bocciatore» al servizio della classe dominante), sono anche editore e scrittore. Il dovere di una persona, impegnata in un paese che l’ha ospitata con amore, è quello di contribuire alla costruzione del suo futuro. Per questo ho fondato una casa editrice, che ha pubblicato una trentina di libri: tutti contribuiscono a costruire il futuro del Venezuela.

Io ne ho scritti un paio: uno 10 anni fa, dal titolo «Riinventare il Venezuela – un progetto per il paese del prossimo secolo», ogni giorno più attuale. In questo libro parlo di «tre Venezuele», riducibili a due: la minoranza bianca-europea e la maggioranza meticcia. La discriminazione razziale è visibile anche a occhio nudo, perché i bianchi vivono su colinas e i meticci su cerros, i bianchi in edificios e i meticci in bloques; i bianchi formano urbanizaciones e i meticci barrios. La discriminazione appare anche dal linguaggio. E, in termini statistici, la correlazione tra classe sociale e colore della pelle è strettissima. La classe medio-alta non arriva al 15 per cento della popolazione, ed è bianca o color «latte macchiato». Ma, più si va giù, più il caffè diventa nero…

Hugo Chávez è il primo presidente del Venezuela di pelle scura. Negli ultimi 50 anni tutti i presidenti (ad eccezione di Carlos Andrés Pérez) sono stati bianchi di famiglia europea (italiana, spagnola, ecc.). Chávez è un presidente che viene dal basso: ha conosciuto la vita del barrio, sa cosa significa povertà. E ha deciso di dare un taglio al passato. Il fatto che l’opposizione sia tanto infiammata per deporlo dimostra che sta ottenendo dei successi.

Un fatto che dimostra la divisione razziale nel paese è stato il famigerato colpo di stato dell’11 aprile 2002. Nella marcia verso il palazzo presidenziale, con l’obiettivo di deporre il presidente, il 95 per cento dei dimostranti erano bianchi, europei o figli di europei. E quando due giorni dopo il presidente toò al potere, toò perché così decise il popolo meticcio. Ricordo quella notte, allorché ritoò al palazzo presidenziale: io ero uno dei pochissimi bianchi ad aspettarlo. Alcune persone mi guardavano con sospetto…

Direttore, le confesso che sovente mi vergogno di essere italiano ed essere confuso con la massa degli emigrati italiani, la maggioranza dei quali raggiunsero il Venezuela dopo la caduta del fascismo cercando un paese dove poter vivere secondo la loro ideologia fascista.

Quando, 34 anni fa, venni in Venezuela, mi bastò conoscere pochi italiani per prendere una decisione, poi sempre rispettata: non frequentare gli italiani, razzisti e fascisti, grandi lavoratori senza dubbio, ma sovente negativi nel rispetto della persona.

Benvenuta, allora, una rivista di ampia diffusione come Missioni Consolata, con un’egida non politica, che cerca di spiegare cosa sta avvenendo in Venezuela.

Giulio Santosuosso – Caracas

aa.vv.

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