I prodotti contenenti Pfas, gli inquinanti eterni

Impermeabili, resistenti, antiaderenti

Mondo
Rosanna Novara Topino

È un dato di fatto che siamo circondati da prodotti d’uso quotidiano contenenti Pfas. Si tratta di sostanze chimiche che apportano ai materiali caratteristiche uniche: impermeabilità, resistenza, antiaderenza. Con una sola controindicazione: sono pericolose.

Ovunque e per sempre. Questi avverbi descrivono due delle caratteristiche principali di un nutrito gruppo di inquinanti chimici, i Pfas (acronimo per PerFluoroAlkyl substances), o sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, che sono ormai ovunque nell’ambiente, nonché nel nostro sangue e nei nostri tessuti, oltre che in quelli degli altri esseri viventi.
In meno di un secolo i Pfas ci sono sfuggiti di mano e oggi sono diffusi dappertutto.

Dove si trovano

Queste sostanze sono da anni utilizzate dall’industria per costruire di tutto, perché con esse si ricavano materiali dalle proprietà eccezionali come l’impermeabilità (sia all’acqua che ai grassi), la resistenza alle alte temperature e l’antiaderenza. Basta pensare al Teflon delle padelle antiaderenti o al Goretex, la membrana presente negli indumenti e nelle calzature impermeabili e antivento.

I Pfas sono presenti anche in strumenti sanitari, saponi, scioline, automobili, schiume antincendio, refrigeranti per frigoriferi, cosmetici, telefoni, elettrodomestici, vernici, batterie, biciclette, intelaiature delle finestre. Inoltre, sono utilizzati come rivestimento per i cartoni della pizza, i bicchieri di carta e gli involucri alimentari, nella concia delle pelli e nel trattamento dei tappeti. Possiamo dire che i Pfas fanno parte della nostra quotidianità e ci facilitano la vita. Ma a che prezzo? Sebbene già da molti anni le aziende costruttrici fossero a conoscenza della nocività di queste sostanze, solo alla fine del secolo scorso e nella prima decade degli anni Duemila la loro pericolosità è divenuta di dominio pubblico in diverse parti del mondo. Nella seconda metà degli anni Novanta, un allevatore residente in West Virginia (Usa) vicino a uno stabilimento della multinazionale DuPont vide morire all’improvviso le sue vacche al pascolo, senza motivo apparente. Da questo episodio prese il via il lavoro pionieristico di un avvocato, Robert Billott, che portò ai processi che resero pubblici i problemi legati a una delle sostanze Pfas capostipiti, cioè il Pfoa o acido perfluorottanoico.

Nel 2006 l’indagine europea Perforce sulla diffusione delle sostanze perfluorate nei fiumi europei, coordinata dall’Università di Stoccolma, portò alla scoperta della presenza in grandi quantità di queste sostanze in diversi corsi d’acqua. Negli anni sono emersi, uno dopo l’altro, diversi episodi di inquinamento, in numerose aree geografiche.

Migliaia di siti contaminati

Negli Stati Uniti il caso più noto di contaminazione «accidentale» è quello verificatosi sulle sponde del fiume Ohio a opera della DuPont, che aveva taciuto per anni sulla pericolosità dei Pfas1. La mancata notifica della tossicità del Pfoa alle autorità governative Usa, costò alla DuPont una class action che portò a una multa di 300 milioni di dollari, più il pagamento di altri 630 milioni per compensare collettivamente più di 3.800 persone, che risultarono affette da una o più patologie Pfas-associate, tra cui: cancro del rene, cancro del testicolo, malattie della tiroide, ipercolesterolemia, colite ulcerosa, ipertensione gravidica (preeclampsia o gestosi).

Sempre negli Stati Uniti, la multinazionale 3M fu ritenuta responsabile di gravi episodi d’inquinamento dell’aria e dei corsi d’acqua attorno ai suoi siti produttivi in Alabama e nel Minnesota.

In Europa, i più gravi episodi d’inquinamento da Pfas si sono verificati in Germania, Regno Unito, Olanda e in Italia.

In Germania, furono sparse migliaia di tonnellate di fanghi contaminati provenienti da cartiere su oltre mille siti agricoli. Con il passare del tempo, queste sostanze si accumularono nelle piante e si dispersero nelle acque di falda utilizzate da almeno cinque milioni di tedeschi. Anni dopo, il monitoraggio della popolazione dimostrò la presenza nel sangue di Pfas (con prevalenza di Pfoa) 4-8 volte superiore nelle persone esposte.

Nel Regno Unito, intorno alla metà degli anni Novanta, si verificò un grave inquinamento da Pfas presenti nelle schiume antincendio utilizzate per l’addestramento dei vigili del fuoco dell’aeroporto dell’isola di Jersey. I terreni e i pozzi attorno alla struttura continuarono ad avere concentrazioni di Pfos (acido perfluorottanoico solfato) superiori a 10mila nanogrammi per litro (ng/litro) ancora dopo oltre vent’anni, dimostrando la persistenza ambientale di queste sostanze.

In Olanda, per decenni i fumi di un grande impianto di produzione di Pfas dell’azienda Chemours (controllata dalla DuPont) di Dordrecht furono liberamente scaricati in atmosfera, ricadendo poi sul suolo. La popolazione ne risultò contaminata sia per via aerea, che attraverso gli alimenti e l’acqua.

A marzo 2023, sono stati pubblicati i risultati di un’inchiesta europea denominata Forever pollution project, condotta da un gruppo internazionale di giornalisti investigativi coordinati dal quotidiano francese Le Monde. Da questa inchiesta è emerso che attualmente sono più di 17mila i siti europei contaminati da Pfas, Italia compresa (riquadro alla pagina seguente).

I danni alle persone

Il meccanismo d’azione dei Pfas nel nostro organismo non è del tutto noto. Tuttavia, si è capito che queste sostanze sono capaci di interagire con i recettori nucleari (Peroxisome proliferator activated receptor, Ppar) che svolgono un ruolo essenziale nel metabolismo lipidico e glucidico, partecipano al controllo dei processi infiammatori associati con l’aterosclerosi e la sua progressione e intervengono nello sviluppo e nel controllo della risposta immunitaria. Nelle sperimentazioni sui ratti Sprague-Dawley nutriti con Pfoa è stata osservata la variazione dell’espressione genetica di 800 geni. I Pfas riescono a legarsi all’albumina del sangue, una delle principali proteine con funzione di carrier di ormoni.

Negli esseri umani, i Pfas si comportano come interferenti endocrini e possono agire sull’apparato riproduttivo maschile (come dimostrato negli adolescenti e giovani adulti residenti nelle zone a maggiore contaminazione nel Veneto, vedere riquadro) e anche su quello  femminile durante il periodo prenatale e dello sviluppo evolutivo.

Una recente ricerca condotta sul sangue di 252 donne brasiliane gravide per rilevare la presenza di 13 diversi composti fluorurati, ha evidenziato una forte associazione tra la presenza di Pfas nel sangue materno e ridotto sviluppo fetale. Quest’ultimo rappresenta un notevole problema, essendo una significativa causa di mortalità e di morbilità perinatale. La prematurità, inoltre, è associata a un aumento della mortalità e della morbilità a lungo termine.

L’esposizione ai Pfas è stata associata, inoltre, alla gestosi e al diabete gestazionale, alle alterazioni del metabolismo lipidico e tiroideo, alle risposte post vaccinazione del sistema immunitario, allo sviluppo ormonale e all’età del pubarca/menarca, nonché all’epoca della comparsa della menopausa.

Bisognerebbe riflettere su questi dati quando si cercano le cause dell’«inverno demografico». Possono anche essere rimosse le cause socioeconomiche che portano alla denatalità, ma se non vengono rimosse quelle che colpiscono l’apparato riproduttore delle persone, il problema non potrà che aggravarsi.

Nel marzo 2017, l’Efsa (Azienda europea per la sicurezza alimentare) ha proposto valori di Tdi (Tolerable daily intake, «dose giornaliera tollerabile», ovvero la dose di una sostanza che può essere ingerita senza apprezzabili rischi per la salute) di 13 ng/kg per settimana (1,8 ng/kg/die) per il Pfoa e 6 ng/kg/settimana (0,8 ng/kg/die) per il Pfos. È necessario che le autorità nazionali ed europee provvedano al più presto ad adottare tali valori senza farsi influenzare dalle lobbies industriali e commerciali che possono vedere minati i loro interessi.

Un futuro senza Pfas

Nel febbraio 2023, l’Echa (Agenzia europea per le sostanze chimiche) ha pubblicato una proposta di divieto per tutti i Pfas. È evidente che bisogna imparare a farne a meno, almeno per tutti quegli usi per cui essi possono essere sostituiti, come negli abiti, negli imballaggi e nei cosmetici.

Rosanna Novara Topino

 Nota

(1) Il dipartimento di tossicologia dell’azienda rilevò già nel 1961 la tossicità dei Pfas a 8 atomi di carbonio sui ratti e sui conigli. Peraltro, il primo studio che dimostrò l’interazione tra lo Pfoa e l’albumina nel sangue risale al 1956 e fu questo a portare la DuPont a interessarsi degli effetti tossici di questa sostanza sulla salute umana.


Dal Teflon al Goretex
COSA SONO I PFAS E I LORO DERIVATI

U na prima definizione di Pfas risale al 2011 a opera di un gruppo di ricerca guidato da Robert Buck, un chimico impiegato alla DuPont di Nemours, secondo cui i Pfas sono composti alifatici, cioè a catena aperta lineare o ramificata, altamente fluorurati con uno o più atomi di carbonio (C) nei quali tutti i sostituenti sono rappresentati da atomi di fluoro (F) e contenenti il gruppo perfluoroalchilico CnF2n+1.

Recentemente, un gruppo di ricerca del Politecnico federale di Zurigo, ha dato una nuova definizione di Pfas intesi come sostanze fluorurate che contengono almeno un atomo di carbonio metilico o metilenico completamente fluorurato (cioè senza alcun atomo di idrogeno, cloro, bromo o iodio). Questo significa che qualsiasi sostanza con almeno un gruppo metilico perfluorurato o un gruppo metilenico perfluorurato deve essere considerata uno Pfas. Chiaramente, con questa nuova definizione, il numero di Pfas in circolazione aumenta molto e, di conseguenza, anche la necessità di conoscerne le caratteristiche, l’eventuale pericolosità e come regolamentarle.

Il primo Pfas, il politetrafluoroetilene (Ptee), fu ottenuto quasi per caso dal chimico della DuPont Roy Plunkett nel 1938, mentre stava lavorando alla realizzazione di un nuovo refrigerante per frigoriferi. Il composto ottenuto mostrava delle proprietà notevolmente interessanti, era scivoloso e insolubile e pochi anni più tardi venne commercializzato con il nome di «Teflon». Nel giro di pochi anni furono realizzati molti nuovi composti Pfas e, dalla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, il loro numero aumentò enormemente. Di alcuni di essi conosciamo le caratteristiche e la tossicità più o meno elevata a seconda del tipo di molecole, ma di altri non si sa nulla. I Pfas più diffusi sono il Pfoa (acido perfluorottanoico), che è stato ampiamente usato come rivestimento per carta e capi d’abbigliamento (il «Goretex») e il Pfos (acido perfluorottansolfonico) usato nelle schiume antincendio, nelle vernici, negli impregnanti per arredi e nei polimeri fluorurati. In entrambi i casi si tratta di molecole a lunga catena di atomi di C, quelle ritenute più tossiche per la salute. Successivamente alcuni di questi, tra cui il Pfoa furono sostituiti da Pfas a catena corta come il cC604 (6 atomi di C), poiché questi vengono eliminati più rapidamente dall’organismo. Il problema è che essi rientrano tra le cosiddette «regrettable substitutions», cioè sostituzioni deplorevoli, perché permangono nell’ambiente indefinitamente, li assumiamo tramite l’acqua e gli alimenti e hanno capacità di bioaccumulo.

I Pfas sono sostanze molto mobili e capaci di diffondersi ovunque. Anche nel caso in cui una di queste molecole non sia considerata altamente tossica, è comunque molto preoccupante pensare ai possibili effetti di un’esposizione continua e per lunghi periodi a essa. Di fatto attualmente non sappiamo quanti siano i Pfas. Le loro proprietà variano a seconda del tipo di catena (corta, lunga, lineare, ramificata) e dei sostituenti presenti, tuttavia sono tutti caratterizzati da elevata stabilità termica, chimica e fisica, dovute al legame tra C ed F, uno dei più forti in chimica organica.

R.N.T.

Italia / Dalla Miteni alla Solvay
QUANDO PRODURRE SIGNIFICA INQUINARE

In Italia, i due principali casi di inquinamento da Pfas si sono verificati a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, dove ci sono i vecchi stabilimenti Montedison, ora di proprietà della multinazionale belga Solvay, e a Trissino, in provincia di Vicenza, dove la Miteni (foto di questa pagina), azienda nata negli anni Sessanta (con il nome Rimar, produttrice di sostanze chimiche per i tessuti e appartenuta in passato alla famiglia Marzotto), produceva Pfoa sotto il controllo della società giapponese Mitsubishi. Entrambe le aziende sono finite sotto processo e ritenute responsabili civili di avvelenamento delle acque e di disastro ambientale.

Emergenza sanitaria nel Veneto

Nel 2012 l’Arpa ha individuato un picco di 120mila ng/litro (nanogrammi per litro) di acido perfluorottanoico (Pfoa) nelle acque di scarico della Solvay di Spinetta Marengo riversate nel fiume Bormida, affluente del Po. A Trissino, la Miteni è stata costruita sopra la ricarica di una falda acquifera, poiché la produzione di sostanze chimiche necessita di acqua per la lavorazione e per il raffreddamento degli impianti. Oltre alla falda, la Miteni ha utilizzato il torrente Poscola, per sversare le acque di raffreddamento, trattate come pulite. In tal modo, i prodotti di sintesi dell’azienda hanno contaminato aria, terreni e acqua di tre province, Padova, Vicenza e Verona per 593 chilometri quadrati. I risultati dello studio Perforce hanno individuato il fiume Po come il più contaminato d’Europa da Pfas (200 ng/l contro una media di 20 ng/l negli altri fiumi europei).

In Germania, dopo che Perforce aveva rivelato una forte contaminazione da Pfas dei terreni, dovuta all’uso dei fanghi industriali inquinati come concimi, sono stati immediatamente posti dei limiti alle acque potabili e di scarico industriale nella misura di 100 ng/l. In Italia, tuttora, mancano limiti nazionali agli scarichi industriali.

Nel 2013 sono stati fissati dei limiti ma solo per il Veneto e nella misura di 500 ng/l (ora ridotta a 330). A ottobre dello stesso anno sono stati presentati i risultati di un’analisi delle acque venete durata cinque anni a opera del Cnr, da cui è emerso che, nelle tre province colpite, c’è la contaminazione da Pfas più estesa d’Europa sia per il quantitativo di queste sostanze, sia perché sono stati contaminati tutti i ricettori cioè la falda, i fiumi e l’acquedotto, che porta l’acqua nelle case di oltre 350mila persone. La regione Veneto ha chiesto aiuto al ministero dell’Ambiente e a quello della Sanità. Per potere continuare a utilizzare i pozzi delle tre province, questi hanno dovuto essere dotati di filtri a carboni attivi. Tuttavia, manca un censimento completo del numero dei pozzi, anche perché i proprietari dovrebbero dotarli di filtri a spese proprie, per cui spesso non li segnalano.

Nel 2015 la Regione Veneto ha disposto la raccolta di campioni di sangue per l’analisi della presenza di Pfas su parte della popolazione, soprattutto agricoltori e allevatori che esportano i loro prodotti, dopo avere suddiviso la zona contaminata in tre colori (rossa A e B, arancione e gialla). I risultati di tale indagine, condotta dall’Istituto superiore di sanità (Iss), hanno rivelato la presenza di 750 ng/l di Pfoa nel sangue degli agricoltori e di oltre 8 ng/l nel sangue di tutte le altre persone testate. Si tratta di una vera e propria emergenza sanitaria, aggravata dal fatto che l’accesso a questo tipo di analisi è limitata dalla Regione Veneto alle sole persone residenti nella zona rossa e nate in determinati anni. Se ne sta discutendo per quanto riguarda gli abitanti della zona arancione.

Nel 2018, la Miteni è fallita, ma i suoi impianti sono ancora lì e la bonifica non è ancora iniziata. Le indagini congiunte dell’Arpav e del Noe (Nucleo operativo ecologico dei carabinieri) hanno dimostrato la presenza di ingenti quantità di scarti di produzione seppelliti nei terreni attorno all’impianto.

Nel sangue

Va, infine, ricordato che, in Italia, sono ancora molto limitati gli strumenti e le metodologie per trovare i Pfas nel sangue. A dicembre 2021, il Policlinico di Milano ha validato un metodo per la misurazione della presenza di trenta diversi Pfas (ma la platea è di 5mila e forse molti di più).

R.N.T.

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Rosanna Novara Topino
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