Atomica e nonviolenza

L’attualità di Lanza Del Vasto

Italia
Angela Dogliotti

L’attualità di un pensatore cristiano e nonviolento

Lanza Del Vasto, scrittore, artista e attivista, morto nel 1981 ma molto attuale, fu tra i primi a denunciare i pericoli dell’atomica. Nel nostro tempo l’umanità si trova di fronte a un bivio: la via irrazionale della guerra, quella efficace della nonviolenza.

È stato di recente pubblicato, per le Edizioni La Meridiana, Le due potenze. L’atomica e la nonviolenza, un agile libro che raccoglie due testi di Lanza Del Vasto, tra i primi a denunciare i pericoli dell’atomica.

Poeta, filosofo, pellegrino, profeta della nonviolenza, intellettuale e artista cristiano, Lanza Del Vasto nacque a San Vito dei Normanni (Br) nel 1901 e morì a Murcia, in Spagna, nel 1981. È ricordato, tra le altre cose, per aver dato vita in Francia nel 1948 alla Comunità dell’Arca, una realtà di vita comunitaria fondata sul modello degli ashram gandhiani che egli aveva conosciuto in India tra il 1937 e il 1938 presso il Mahatma Gandhi e in pellegrinaggio alle sorgenti del Gange.

Della bomba e della Chiesa

Nel primo dei due testi, intitolato Della bomba, l’autore afferma che, di fronte alla concatenazione delle violenze legittime (quelle che trovano giustificazione nei torti dell’avversario), e nel nuovo contesto creato dall’avvento dell’atomica, l’umanità si trova di fronte a un bivio: o la guerra perpetua che porta alla distruzione, oppure la nonviolenza che porta alla rottura della catena e alla liberazione.

La prima strada è irrazionale: si può capire, infatti, che un uomo si sacrifichi per la sua terra, per il suo focolare, ma non che sacrifichi allo stesso tempo ciò per cui egli si sacrifica. Nell’era atomica, non vi è più sacrificio, ma suicidio e crimine imperdonabile.

Nel secondo testo, intitolato La Chiesa di fronte al problema della guerra, Del Vasto argomenta come la nonviolenza sia mezzo di difesa e di salvezza ben più di ogni arma, perché l’evangelico non opporsi al malvagio non è arrendersi, ma non opporre cattiveria alla sua cattiveria, e colpi ai suoi colpi. Non significa non difendersi, ma rifiutare di offendere con il motivo di difendere, di rendere il male, raddoppiandolo, con il pretesto di fermarlo, giacché, così facendo, si entra nella catena il cui ultimo anello è la morte.

Più avanti l’autore delinea quali sono i tratti del conflitto nonviolento quando, affermando che la nonviolenza è lotta per la giustizia con le armi della giustizia, scrive: «Se il mio nemico è un uomo come me, io sono un uomo come lui, e posso sbagliare. Ed è pure probabile e, per parte, certo. Devo dunque scoprire la mia parte di torto nell’affare e se, per fortuna, vi riesco, devo riconoscerla davanti a lui e offrire riparazione. Sarà un passo verso la verità e verso la pacificazione, poiché questo finirà per inclinarlo a seguirmi nella medesima direzione». E ancora: «Se restituisco lo schiaffo, giustifico il suo; il suo spirito di giustizia continuerà a deviare nel giustificarsi, perché lo spirito di giustizia è quell’istinto che fa ricercare l’equilibrio. L’equilibrio è la giustizia, ma quando si devia, si cerca un punto di appoggio che è, appunto, la giustificazione».

La soluzione del «non uccidere»

A corredo dei due testi di Lanza Del Vasto, il volume offre una prefazione di Daniel Vigne, presidente dell’Association des amis de Lanza Del Vasto, e i contributi di Antonino Drago – che analizza la storia dell’atomica e la proposta della nonviolenza -, del teologo Giovanni Mazzillo – sulle linee portanti del Magistero ecclesiale sulla pace dopo il fondatore delle Comunità dell’Arca -, di Maria Albanese ed Enzo Sanfilippo – sull’eredità del pensatore pugliese- e di Frederic Vermorel – che cura una parziale ma preziosa biobibliografia.

Il testo di Antonino Drago, che commenta il saggio di Lanza Del Vasto I quattro flagelli, di cui il volume riporta alcuni estratti, si articola in tre parti: una storia delle armi atomiche; l’analisi della posizione di Lanza Del Vasto che decostruisce la razionalità degli stati nucleari; la proposta di una razionalità alternativa nelle politiche di difesa che parta dal Trattato Onu di messa al bando delle armi nucleari (Tpnw) e arrivi ad affermare la novità epocale della nonviolenza.

La nonviolenza è la vera alternativa storica alla guerra, perché ripropone la millenaria sapienza sociale del «non uccidere», non intesa, però, come semplice rifiuto passivo della violenza, ma come strumento di risoluzione dei conflitti, come dimostrato dall’efficacia delle tecniche adottate da Gandhi in India.

Di fronte all’infinita potenza tecnologica della bomba, la nonviolenza è anch’essa potente, perché recupera l’infinita forza interiore di ogni persona.

Davanti ai conflitti, il metodo nonviolento è più della razionalità, perché alla ragione aggiunge l’etica. Dunque se, come afferma Del Vasto, le due grandi scoperte del secolo sono la nonviolenza e la bomba atomica, si tratta di scegliere tra questi due poli.

Oggi è in atto un braccio di ferro tra i 46 paesi favorevoli alle bombe atomiche (le nove potenze nucleari e i cinque paesi ospitanti gli ordigni, più altri 32), e i 122 favorevoli al Tpnw (i 65 che l’hanno ratificato, più i 57 che l’hanno approvato nel 2017).

Solo l’azione dei popoli motivati eticamente farà bandire le armi nucleari dalla coscienza dell’umanità. Solo dopo di ciò queste armi potranno essere eliminate anche formalmente da provvedimenti giuridici della comunità internazionale.

Le gocce del colibrì

Se fosse evidente a tutti la catena che collega la vittima innocente di un qualunque paese in guerra all’operaio che ha costruito la bomba, all’ingegnere che l’ha progettata, alle banche che ne hanno sostenuto la produzione, al ragioniere che ha emesso le fatture, ai lavoratori dei porti che l’hanno imbarcata, e così via, scopriremmo che in essa è coinvolta qualche persona che conosciamo, magari un nostro parente o un nostro vicino di casa.

Se ciascuno di noi ne fosse consapevole, potrebbe fare come il colibrì che, in una favola africana, fa la sua parte portando nel suo minuscolo becco due gocce d’acqua per spegnere l’incendio.

Angela Dogliotti

 

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