Risvegliare le coscienze

Incontro con Pierre
Rabhi

Nato nel Sahara algerino,
Pierre Rabhi cresce in Francia. Molto presto capisce che il modello
capitalistico consumista è votato al fallimento, e porta gli uomini
all’infelicità. Il pianeta Terra non è illimitato. Occorre curarlo, accudirlo.
Nel 1963 Pierre decide di diventare contadino. Con l’esempio della sua vita
«inventa» l’agroecologia. Un metodo e una filosofia di vita. E la diffonde in
diversi paesi.



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La società umana può ancora modificare i suoi stili di vita e i
paradigmi economici dominanti orientando il suo destino verso l’edificazione di
un mondo migliore? Può ancora dare il diritto a ogni individuo di nutrirsi, vestirsi,
curarsi, avere una dignitosa dimora e un’istruzione?

Può cambiare rotta recuperando il suo atavico
equilibrio con la natura, rispettando i delicati ecosistemi? A queste e ad
altre domande Pierre Rabhi ha trovato una risposta partendo dalla sua diretta
esperienza di vita, come ex operaio, avvicinatosi alla terra per sentirsi
libero, indipendente dalle regole del mercato, e recuperando valori imperituri,
come la protezione e la valorizzazione dell’ambiente. Per trovare una soluzione
ai problemi non solo ecologici del nostro pianeta, ogni individuo – nella
visione di Rabhi – non dovrebbe attendere l’intervento degli stati che spesso
prendono decisioni politiche contraddittorie e inefficaci, ma deve attivarsi in
prima persona, attraverso piccoli e grandi gesti in grado di modificare «il
sistema».

L’idea dell’importanza dell’attivismo
individuale, poi traslato in una rete più ampia di gruppi interdipendenti è
sorta in Pierre Rabhi leggendo una favola di un popolo amerindo che racconta la
storia di un piccolo, ma coraggioso colibrì: «Un giorno – narra la leggenda –
ci fu un immenso incendio nella foresta. Tutti gli animali, terrorizzati e
costeati, osservavano impotenti il disastro. Solo il piccolo colibrì si
impegnò, andando a cercare qualche goccia d’acqua per gettarla sul fuoco
attraverso il suo becco. L’armadillo, irritato dai suoi movimenti, gli disse:
colibrì, ma sei folle? Credi davvero che con poche gocce d’acqua spegnerai
l’incendio? Lo so, rispose il colibrì, ma io faccio la mia parte». Ecco la
risposta alle nostre domande iniziali: «Io faccio la mia parte».

Leggendo questo mito amerindo Pierre Rabhi ha
trovato il suo cammino di vita attivandosi in prima persona per cambiare quelle
regole del sistema deleterie per la sopravvivenza non solo del pianeta, ma
anche della stessa specie umana.

Ma chi è Pierre Rabhi?

È un uomo che ha seguito l’amore per la natura
rivoluzionando non soltanto la sua esistenza.

Dall’Algeria, dove nel 1938 è nato e cresciuto
immerso in un habitat straordinario caratterizzato dalle oasi del Sahara, si è
trasferito in Francia a soli 12 anni, in seguito alla morte prematura della
madre. Il padre, fabbro, musicista e poeta, con l’arrivo della «modeità» e
dei colonizzatori francesi è stato obbligato ad abbandonare il suo tradizionale
lavoro per scendere nel cuore del sottosuolo, in una miniera di carbone. Un
drastico cambiamento che ha segnato anche l’esistenza di Pierre Rabhi. Su
decisione del padre è stato educato in una famiglia di formazione europea.

In seguito, durante gli anni trascorsi a Parigi,
lavorando in fabbrica come operaio specializzato, si è reso conto delle
profonde ingiustizie del sistema industriale capitalistico, tanto da sentire la
necessità di abbandonare tutto per scegliere un’altra vita, in simbiosi con la
terra. Una decisione che lo ha condotto a sviluppare in modo pionieristico
l’agroecologia, come lui stesso ci ha raccontato: «Sono nato nel Sahara, in
un’oasi del Sud dell’Algeria, ma sono cresciuto con una famiglia francese.
Questa doppia cultura non è stata facile da gestire, ma al di là di alcune
contraddizioni, la civiltà algerina e quella francese si tengono per mano. Sono
riuscito a trovare un equilibrio. Da oltre quarant’anni vivo con la mia
famiglia nelle Cévennes, dove mia moglie Michèle e io abbiamo creato una
fattoria gestita e coltivata secondo principi ecologici. Il che significa
vivere in armonia con la natura».

Prima di dedicarsi alla terra e di vivere a
stretto contatto con un ambiente straordinario dal punto di vista
naturalistico, Rabhi ha lavorato in fabbrica come operaio specializzato. Allora
era solo ventenne. Era l’epoca a cavallo tra il 1950 e gli anni Sessanta,
quando sembrava che l’industria potesse rivoluzionare tutto, portando benessere
a ogni latitudine del globo. Così non è stato.

«Solo pochi hanno beneficiato del cosiddetto
progresso. La stragrande maggioranza dell’umanità incontra enormi problemi a
nutrirsi, istruirsi, a vivere dignitosamente. Il mondo della fabbrica mi ha
aperto gli occhi. Anche dopo, quando decisi di andare a vivere in campagna,
lavorando in numerose fattorie come operaio agricolo sentivo che mancava
qualcosa: mancavano buone regole nel sistema di coltivazione e di distribuzione
delle risorse della terra. Ero molto combattuto se continuare ad accettare l’uso
di pesticidi e di altri prodotti chimici. Non condividevo gli strumenti
agricoli utilizzati, perché altamente deleteri per il suolo».


Agroecologia

«Grazie ad alcune letture, tra cui La Fertilità della Terra di Ehrenfried Pfeiffer e i libri di Rudolf Steiner,
fondatore dell’antroposofia, mi sono avvicinato all’agricoltura biodinamica.
Così, leggendo, sperimentando e coltivando la terra, ho capito che
l’agroecologia è la via – o comunque una delle vie ecologiste – che può salvare
il pianeta dalla catastrofe sia ambientale, sia sociale.

L’agricoltura industriale praticata nel Nord del
mondo inquina l’acqua e l’aria, distrugge il naturale humus fertile del suolo,
elimina la biodiversità mettendo brevetti alle sementi. L’agroecologia rispetta
la natura e al contempo la dignità umana».

Pierre Rabhi è uno degli antesignani in Europa
dell’agroecologia, che poi si è diffusa in altre zone del globo, in particolare
in Africa, attraverso efficaci progetti da lui stesso cornordinati. Il suo lavoro
è apparentemente semplice, perché non ha fatto altro che ritornare
all’agricoltura, la più antica attività dell’uomo, fonte di cibo.

Pierre Rabhi è però ritornato alla terra
eliminando prodotti chimici, pesticidi, sementi brevettate, fertilizzando il
terreno con i vecchi metodi usati ancora dai nostri nonni come i concimi
naturali e i rifiuti organici. Agroecologia significa rispettare gli equilibri
della terra.

L’uomo nella visione di Rabhi non è il
dominatore, né lo sfruttatore della natura per ottenere profitto, piuttosto è
compartecipe dei cicli naturali: semina utilizzando le stesse sementi
provenienti dal suo raccolto, aiuta a creare quell’humus indispensabile a far
germogliare i frutti, partecipa al mantenimento della salute della terra,
nutrendola, rispettandola.

No alle logiche del profitto

Pierre Rabhi, in Francia, richiama sempre
centinaia di persone ai suoi incontri sui temi dell’ecologia, della biodiversità
e della decrescita. I suoi libri sono letti da adolescenti, uomini e donne di
mezza età, anziani. Egli è una calamita per quanti ricercano uno stile di vita
diverso dalle logiche del profitto fine a se stesso. Con il suo modo di parlare
così pacato e gentile racconta alla gente che si può scegliere di vivere
diversamente, senza subire i diktat dell’industria agroalimentare, divenendo
autonomi attraverso la creazione di un proprio orto.

Per Pierre Rabhi, l’agroecologia è
indissolubilmente intrecciata alla sobrietà felice, in totale antitesi con chi
crede ancora nel paradigma economico della crescita. Pensare di produrre ancora
di più, pensare di sfruttare le risorse del pianeta ancora di più, pensare a un
«di più» illimitato (e incerto) conduce l’umanità su una strada pericolosa,
poiché disumanizza l’uomo e lo allontana dalla natura, sua vera nutrice.

Apertura al mondo

Queste idee Pierre Rabhi le ha trasposte nei
suoi numerosi progetti di agroecologia avviati con successo in Francia.
Diventato nel 1978 responsabile per la formazione in agroecologia del Centro di studi rurali applicati (che ha oggi sede a Lione), Pierre Rabhi ha
trasmesso la sua esperienza al di fuori dei confini francesi ed europei. Nel
1981 si è recato in Burkina Faso, invitato dal governo per aiutare a risolvere
la crisi ambientale ed economica del paese.

«Il Burkina all’epoca stava vivendo importanti
trasformazioni. C’era molta instabilità. Poi con l’arrivo di Thomas Sankara
qualcosa iniziò a cambiare. Quando lo incontrai per descrivergli i miei
progetti fu molto interessato all’agroecologia. Mi diede carta bianca per
rivalorizzare l’agricoltura nella “terra degli uomini integri” (significato di
Burkina Faso, ndr). C’era tanto da fare. Risolvere le continue
carestie e trovare alternative all’uso di pesticidi e di semi industriali erano
le priorità.

Nel 1985, riuscii a creare a Gorom Gorom, nel
Nord del paese, il primo Centro africano di
formazione in agroecologia.
Spiegai ai contadini burkinabè quanto è importante ritornare a usare concimi
naturali e, tra l’altro, a basso costo: i fertilizzanti per il suolo li potevano
produrre loro stessi grazie ai principi dell’agricoltura biodinamica.

La prematura e tragica morte di Sankara è stata
un duro colpo e ha costretto a ridimensionare il progetto in Burkina, ma non ad
annullarlo. Avevamo formato 900 persone, tra contadini e agronomi, così che le
pratiche legate all’agroecologia si sono potute diffondere anche in altre zone.
In Burkina sono oltre 100mila i contadini che oggi impiegano concimi organici
per fertilizzare il suolo».

Grazie a questo e ad altri programmi in Marocco,
Palestina, Algeria, Tunisia, Senegal, Togo, Benin, Mauritania, Pierre Rabhi,
alla fine degli anni Ottanta, viene riconosciuto come esperto internazionale
per la sicurezza alimentare e la lotta contro la desertificazione. Un fenomeno,
quest’ultimo, che lo preoccupa molto, insieme ai cambiamenti climatici.

Risorsa Terra

«A livello globale la siccità è un fenomeno in
aumento. Nella regione del Sahel ci sono state carestie terribili che hanno
abbattuto greggi, distrutto alberi, segnato la vita di famiglie e interi
villaggi. La siccità collegata ai cambiamenti climatici e al riscaldamento
globale è un problema che tocca la terra, le popolazioni, l’alimentazione. È
necessario modificare il nostro stile di vita.

Questo significa rivedere il paradigma economico
basato sul capitalismo internazionale, che escogita sempre nuove forme di
sfruttamento per ottenere profitto. Penso a quelle multinazionali che
utilizzano le terre dei paesi del Sud del mondo, in particolare in Africa, per
produrre nuove merci. Molte industrie agroalimentari sono alla continua ricerca
di nuovi terreni da sfruttare e l’Africa è un continente con enormi risorse.
Questo è il fenomeno del land grabbing (accaparramento di terra, ndr),
che causa la distruzione delle foreste e facilita l’ingresso degli Ogm
(organismi geneticamente modificati, ndr), che a mio avviso sono un
crimine contro l’umanità. I popoli oggetto del land grabbing sono privati del loro diritto a vivere, a causa di un processo di
spoliazione perpetrato da altri.

Ciò viene aggravato da capi di stato corrotti.
Se i politici al posto di essere disonesti proteggessero il loro popolo, la
situazione cambierebbe enormemente. Thomas Sankara stava cercando di cambiare
le cose, ma proprio a causa delle sue idee e per quello che stava realizzando
venne assassinato. Sankara stava andando contro gli interessi delle
multinazionali, come la Monsanto.

Ogni volta che si afferma un essere umano con
grandi qualità, gli si impedisce di vivere. Penso a Gandhi, a Martin Luther
King.

Ritengo che solo eliminando la corruzione a
livello politico sia possibile ostacolare e interrompere il fenomeno del land grabbing. Solo dicendo “No” alle multinazionali che danno soldi agli uomini di
stato per corromperli è possibile migliorare la vita delle persone. Si può e si
deve condurre una politica di resistenza alle pressioni e ai ricatti.

Personalmente, spero si possa sviluppare una
politica globale, intelligente e saggia per la gestione del bene comune, cioè
per il bene del pianeta. Noi dobbiamo scegliere e accettare solo persone con
un’alta levatura morale. Non possiamo più accettare rappresentanti istituzionali
che tolgono all’umanità ciò che è dell’umanità, come le risorse naturali, la
terra, l’acqua.

Il denaro non dovrebbe permettere tutto, perfino
confiscare alla specie umana i propri diritti. Abbiamo bisogno di una politica
attenta all’essere umano, quindi è necessaria una politica fondata
sull’umanesimo che permette di dire: “Il pianeta non appartiene a nessuno, ma
appartiene alla vita, a ogni essere vivente, alle generazioni future,
appartiene a tutti e non alle persone che hanno denaro!”.

È la società civile che deve mobilitarsi, che
deve agire in modo propositivo. La politica ovunque, in Francia, in Europa, in
Africa è ormai arcaica. Occorre l’azione della società civile ed è ciò che
stiamo cercando di fare».

Bisogno di umanesimo

Pierre Rabhi, coi suoi 76 anni di saggezza,
continua a realizzare progetti di agroecologia un po’ in tutto il mondo. Per
esempio, in Marocco è impegnato a dare vita a un centro nella zona di Marrakech
simile a quello di Gorom Gorom, destinato a formare i contadini locali e a diffondere
l’agricoltura ecologica. Importante è il lavoro effettuato anche in Medio
Oriente.

«In Palestina abbiamo lanciato tempo fa un
programma di agroecologia per eliminare prodotti chimici e per valorizzare
meglio le risorse della terra. Adesso non lo seguo più personalmente, dato che
il programma viene perseguito in modo autonomo dalle comunità locali di
Falamia, una regione desertica dove si trova anche la città di Tulkarem.

A questo proposito vorrei sottolineare che la
questione palestinese a mio avviso non è soltanto legata a dinamiche economiche
o a questioni territoriali, ma è anche condizionata da motivazioni etiche,
morali, umane, come avviene in altri teatri conflittuali.

Abbiamo bisogno di “umanesimo”, di quello
slancio etico e morale che ci spinge ad accorrere nel momento in cui altre
persone hanno bisogno quando si trovano in difficoltà».

Proprio per diffondere i principi
dell’agroecologia e della sobrietà felice, nel 2007 Pierre Rabhi ha fondato il movimento Colibris, per aiutare le persone – attraverso dibattiti, libri, documentari,
incontri – a costruire nuovi modelli sociali fondati sull’autonomia, l’ecologia
e l’umanesimo.

Gandhi disse: «Sono le azioni che contano. I
nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che
non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire
nel mondo». Pierre Rabhi ha voluto essere il cambiamento che vorrebbe vedere
nella società nel suo complesso. Lui, la sua famiglia e tutta la rete del
movimento Colibris stanno mettendo in atto una «rivoluzione silenziosa», sul
piano della partecipazione democratica, dell’educazione, dell’agricoltura e
dell’economia. Un esempio è il progetto chiamato Les Amanins, sito ecologico, nonché pedagogico, realizzato a La Roche-sur-Grâne,
nella Drôme francese. Qui, oltre ad applicare l’agroecologia e a difendere la
biodiversità, c’è una scuola molto speciale. I bambini, circa una trentina dai
5 ai 10 anni, imparano attraverso la cooperazione, la ricerca e la
sperimentazione diretta, costruendo con le loro stesse mani i giochi e altri
oggetti didattici, in un clima di collaborazione. Elemento importante nella
pedagogia di questa scuola è l’educazione alla pace, attraverso l’ascolto
attivo e la pratica della mediazione.

Tutto questo avviene a stretto contatto con la
natura. Perché questa Terra – come ricorda Pierre Rabhi – è l’unica nostra oasi
che conosciamo in cui possiamo vivere.

Silvia C. Turrin

Silvia C. Turrin

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