LAVORARE INSIEME, LAVORARE BENE

L’obiettivo numero otto tira le fila dell’impegno del millennio. Se ciascuno non compie la sua parte, nessuna meta viene raggiunta.

Se i primi sette obiettivi di sviluppo del millennio non fossero bastati per sentirsi chiamati in causa in prima persona a difesa dei diritti per tutti, l’ottava meta richiede nero su bianco l’impegno dei paesi più sviluppati nei confronti di quelli più poveri. Lo sviluppo dell’economia, della salute, dell’istruzione, della distribuzione di servizi e opportunità uguali per tutti dipende dal lavoro dei governi dei paesi poveri, con l’aiuto e il sostegno di quelli dei più ricchi. L’obiettivo numero otto rappresenta il sigillo degli impegni presi all’inizio del millennio, come a dire che il raggiungimento dei primi sette dipende dall’impegno di tutto il mondo, ciascuno per la sua parte.

Impegno e sostegno

Le nazioni più e meno sviluppate stringono dunque una sorta d’alleanza, perché la strada verso i primi sette obiettivi del millennio sia percorribile da tutti. I paesi poveri lavoreranno per sostenere le economie, per assicurare lo sviluppo e sostenere le necessità umane e sociali.
Dal canto loro, le nazioni più ricche sosterranno questo sforzo e questo lavoro, con diverse azioni. Viene richiesto loro di aumentare gli aiuti allo sviluppo e a ridurre con rapidità il debito estero dei paesi poveri. Nel settore dell’economia e delle esportazioni, si domanda una maggiore attenzione alle difficoltà di chi ha un’economia meno sviluppata a proporsi, garantendo regole commerciali più eque. Le nazioni ricche sono chiamate anche a cornoperare nel risolvere la questione dell’impiego dei più giovani e dell’accesso ai farmaci essenziali, oltre che a migliorare la disponibilità di nuove tecnologie, con un loro trasferimento nelle zone più povere.
Questi alcuni esempi dei passi indicati, per dare la possibilità alle nazioni meno sviluppate di costruirsi un’economia e un commercio, di avere uno sviluppo autonomo, di offrire un futuro alla popolazione, adulti e bambini, maschi e femmine. Soffermandosi per esempio sulla questione dell’occupazione dei giovani, non può essere dimezzata la povertà entro il 2015 (primo obiettivo), se non si sostiene il mondo del lavoro e non si offrono possibilità di impiego.
Fra il 2003 e il 2015 ci si aspetta che entrino nel mondo del lavoro circa 514 milioni di persone in più. La capacità di assorbire questo aumento dipende dagli sforzi compiuti per una politica di impiego, per la formazione di opportunità lavorative per i giovani: nei paesi più poveri la probabilità di un giovane di essere disoccupato è tripla rispetto a un lavoratore più anziano.

buone intenzioni
sulla carta

Secondo un rapporto 2003 del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), i paesi che potrebbero sostenere finanziariamente lo sviluppo delle nazioni più povere sono più ricchi ora di un tempo; nonostante questo, i fondi destinati alla cooperazione internazionale si sono ridotti. Eppure, per ottenere gli obiettivi del millennio, sarebbe sufficiente lo 0,5% del prodotto interno lordo (Pil) dei 22 paesi più ricchi, pari a 100 miliardi di euro l’anno.
Nel lontano 1970 le nazioni ricche si erano prese l’impegno (ribadito a Monterrey nel 2002) di destinare lo 0,7% del loro Pil alla cooperazione internazionale: a oggi la percentuale raggiunta viaggia intorno allo 0,2%.

Difficile commercio

Sul tema degli scambi commerciali fra paesi ricchi e poveri, la perdita annuale di questi ultimi dovuta alle barriere doganali supera i 100 miliardi. Per esempio, i dazi sull’esportazione di Africa, Asia e America Latina nell’Unione Europea arrivano al 162% del prezzo del grano.
Un altro ostacolo alle esportazioni è rappresentato dai sussidi, che diminuiscono la competitività dei prodotti dei paesi poveri: nell’Unione Europea una mucca riceve oltre 2 euro di sussidi al giorno, più di quanto guadagna la metà della popolazione mondiale.
Se Africa, Asia e America Latina potessero aumentare anche solo dell’1% la percentuale di esportazioni, sempre secondo il rapporto dell’Undp, quasi 130 milioni di persone non sarebbero più povere. Infatti, per il solo continente africano questo incremento del commercio porterebbe con sé 70 miliardi di euro, pari a cinque volte gli aiuti inteazionali che riceve.

Cancellazione dei debiti

Altro tema caldo riguarda il condono, o quanto meno la riduzione, del debito estero, per il quale i paesi poveri versano ogni mese circa 12 miliardi di euro: questa cifra basterebbe per far seguire le scuole primarie a tutti i bambini di ambo i sessi. Sempre pensando all’infanzia, secondo l’Unicef le politiche messe in atto dai governi per restituire gli interessi sul debito sono causa della morte di mezzo milione di bambini.
Per fortuna qualche buona notizia c’è. È stato calcolato che le iniziative finora prese per la riduzione del debito hanno permesso in alcuni paesi di investire risorse finanziarie nel settore dell’educazione (in Uganda quasi tutti i bambini si iscrivono alle elementari) e della sanità (Mali, Mozambico e Senegal hanno potuto investire nella lotta all’Hiv/Aids).
Alla fine del 2005, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha annunciato una riduzione del debito di 3,3 miliardi di euro per Benin, Bolivia, Burkina Faso, Cambogia, Etiopia, Ghana, Guyana, Honduras, Madagascar, Mali, Mozambico, Nicaragua, Niger, Rwanda, Senegal, Tagikistan, Tanzania, Uganda e Zambia. Questa riduzione ha risvolti positivi e negativi. I paesi beneficiari non dovranno restituire quanto ricevuto e non dovranno più pagare gli interessi periodici.
È anche vero però che corruzione, instabilità politica, guerre, barriere doganali ostacolano comunque il crescere dell’economia e quindi l’equazione meno debito più investimenti non si realizza automaticamente.
Vi è poi un altro aspetto del condono del debito da tenere presente, che riduce almeno in parte l’ottimismo: i paesi beneficiari restano segnati come inadempienti nei confronti dell’impegno di restituzione preso. Considerato che sono paesi poveri e che verosimilmente avranno bisogno di prestiti in futuro, potrebbe essere più difficile per loro ottenerli, perché considerati inaffidabili, oppure, verranno chiesti loro interessi ancora più alti.

Collaborazione
senza scadenza

L’obiettivo di sviluppo del millennio numero otto è l’unico per il quale non sia stata prevista una scadenza, né indicatori precisi che ne possano segnalare i progressi compiuti. Solo un generico impegno dei 189 stati firmatari degli obiettivi del millennio a promuovere interventi entro il 2015 su: cooperazione allo sviluppo, debito estero, commercio internazionale, trasferimento delle tecnologie. Non ci sono dunque sistemi di controllo dell’impegno assunto dai paesi ricchi e poveri, ciascuno per la sua parte, nei confronti degli abitanti del pianeta, se non indirettamente, sulla base dei risultati ottenuti negli altri sette obiettivi.
Questa particolarità si presta a una duplice lettura. Una pessimista: nessun controllo possibile, nessun numero preciso con il quale inchiodare di fronte alle sue responsabilità chi non rispetta l’impegno. L’altra ottimista: è un impegno per sempre, senza scadenza, che mantiene il suo valore e la sua importanza al di là del raggiungimento di un termine temporale o di risultati quantificabili.
Una cooperazione senza tempo fra tutti i paesi per un futuro comune da costruire insieme. Si può provare a pensarla così, tenendo d’occhio tuttavia la realtà che ci circonda, vicina e lontana, per verificare ogni giorno gli impegni assunti nei confronti del mondo.

Valeria Confalonieri

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