Matti come loro o come noi?

Quando McMurphy domanda all’amico Harding quale sia lo scopo della terapia con l’elettroshock, questi gli risponde: «Ma per il bene del paziente, si capisce. Tutto quello che fanno qui è per il bene del paziente. (…) Non sempre si ricorre all’Est (Elettro-shock-terapia, ndr) a titolo punitivo, come è solita fare la nostra infermiera, e nemmeno si tratta di puro sadismo da parte del personale. Numerosi malati ritenuti inguaribili sono stati riportati in contatto con la realtà grazie all’elettroshock, così come altri hanno fatto progressi con la lobotomia e la leucotomia. L’elettroshock terapia presenta alcuni vantaggi: è poco costosa, rapida, del tutto indolore. Causa soltanto una sorta di attacco epilettico».
Sono righe tratte da Qualcuno volò sul nido del cuculo, romanzo (1) ambientato in un ospedale psichiatrico dell’Oregon, ma è dall’Italia che conviene partire quando si parla di disagio mentale. La psichiatria italiana è infatti nota a livello internazionale per le innovazioni introdotte con la riforma della legge 180 del 1978, anche nota come «legge Basaglia», dal nome del suo ideatore.
Diceva lo psichiatra veneziano (2): «La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere». E ancora: «Il manicomio è nato storicamente a difesa dei sani. Le mura servivano, quando l’assenza di terapie rendeva impossibile la guarigione, ad escludere, isolare la follia perché non invadesse il nostro spazio» (3).
Quella di Franco Basaglia è stata una riforma rivoluzionaria e, come tale, anche oggetto di critiche. Ma quasi sempre non a causa dei suoi contenuti, bensì per la sua inadeguata applicazione (4).
«Scrivo ancora contro la legge 180. Quando finirà questa pagliacciata della libertà obbligatoria? I matti non li vuole nessuno e, abbandonati a se stessi, si stanno estinguendo. Sì, estinguendo, ma per suicidio o ricovero in manicomio giudiziario. E soprattutto quello che fa schifo è che vogliono far passare questa situazione per liberatoria. Il sottoscritto, dopo 9 ricoveri “volontari”, non sa più dove sbattere la testa. E così tanta gente che conosco e che non fa altro che ripresentarsi tutte le settimane ai centri di igiene mentale. Vi piace la libertà? Tenetevela, ma per piacere ridateci la possibilità di difenderci da voi normali, di mettere un muro tra noi e voi».
Non sappiamo se questa lettera, apparsa sul quotidiano la Repubblica nel 1988, sia stata effettivamente scritta da un paziente o invece sia soltanto il prodotto di un oppositore della legge Basaglia. Ciò non toglie che essa, nella sua crudezza, descriva un problema possibile, che di norma nasce quando la 180 è applicata male.
«La malattia psichiatrica – scrive Benedetto Saraceno, direttore del Dipartimento salute mentale e tossicodipendenze dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms/Who) – ha caratteristiche che la rendono diversa dalla maggior parte delle altre malattie e, dunque, l’uguaglianza tra i cittadini (e tra i cittadini malati) va ricercata nella uguaglianza di diritti e opportunità, ma non nella uguaglianza delle risposte assistenziali. Un malato psichiatrico non ha bisogno di “letti in ospedale”, ma di opportunità di vita alternative all’ospedale e spesso anche alla famiglia di origine; ha bisogno di residenzialità, di lavoro, di presa in carico, di affetto, di autonomia».

L e patologie mentali sono correlabili al contesto sociale ed economico nel quale si vive? La risposta pare affermativa. Ad esempio, si è visto che le psicosi migliorano più facilmente nei paesi in via di sviluppo, ove il contesto comunitario è più accogliente e i meccanismi di esclusione meno rigidi (5).
Secondo lo psichiatra statunitense Richard Waer (6), il cambiamento di ruolo, la perdita di status e l’incertezza occupazionale possono accrescere il rischio di sviluppare la schizofrenia. In particolare, per alcuni gruppi, come gli «scolarizzati disoccupati» nei paesi industrializzati, i «poveri urbanizzati» nei paesi in via di sviluppo.
Nei paesi ricchi si è trovata una possibile, parziale soluzione con gli psicofarmaci (si veda la tabella di pagina 31). Ad essi si fa sempre più ricorso, a volte perché sono utili, a volte perché fortissima è la pressione delle multinazionali farmaceutiche.
Nel gennaio del 2003 la «Food and Drug Administration» (Fda), l’agenzia federale che vigila sulla salute degli statunitensi, ha dato il via libera alla somministrazione del Prozac, il più famoso dei farmaci antidepressivi, a bambini e adolescenti dai 7 anni in su (7). Molti specialisti hanno messo in guardia sugli effetti collaterali (tra cui una diminuzione della crescita) derivanti dall’assunzione dell’antidepressivo. Altri hanno applaudito alla novità. Altri ancora hanno trovato una risposta certamente più banale ma senz’altro molto vera: la Eli Lilly, l’azienda statunitense produttrice del Prozac, aveva necessità di allargare i confini di un mercato ormai saturo.

S ono passati più di duemila anni da quando Aristotele e Galeno spiegavano la follia a partire dallo squilibrio dei quattro umori presenti nel corpo umano: sangue, flegma, bile gialla e bile nera. L’eccesso di uno di questi umori veniva considerato la «causa» della follia.
Oggi, a guardare il mondo che ci circonda, nella dialettica normalità-pazzia vale la saggezza di Bertoldo (8). Quando il re gli chiede: «Qual è la più grande pazzia dell’uomo?», Bertoldo risponde: «Il reputarsi savio».

Paolo Moiola

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