Dalla parte degli esclusi

A mezzogiorno le strade di Camaçari sono ancora deserte. La gente sta sbadigliando tra le lenzuola, mentre qualche netturbino toglie dal marciapiede i resti dei fuochi accesi davanti alle abitazioni durante la notte di follie. È la festa di São João. A fine giugno tutto il popolo di Bahia perde la testa.
Importata dai portoghesi, originariamente mescolava il culto dei santi cattolici con quello della dea delle coltivazioni Feronia, cara ai Romani. Ma adesso è completamente diventata bahiana: un’occasione per scatenarsi con il ballo del forró e sparare tutta la notte mortaretti e fuochi d’artificio.
Un uomo apre lentamente il suo chiosco di dolciumi, ha ancora la testa stordita da tutta la birra bevuta. Dal negozio di pompe funebri, con le porte spalancate sulla via, esce il canto di una radiolina. Una fuoriserie fiammeggiante supera svogliata un uomo a cavallo e nell’aria, all’ora di pranzo, l’unica cosa che vibra è la voce roboante del predicatore della «chiesa universale», una delle tante congregazioni d’affari spirituali, sorte negli ultimi decenni ad opera di sedicenti vescovi ricchi e potenti, con l’appoggio, si dice, degli americani, per contrastare la forza sociale della chiesa cattolica brasiliana.
Il predicatore per tutta la notte si è sgolato contro il diabolico forró, che trascina i giovani sulla cattiva strada dei mille peccati, consumati nel grande spettacolo musicale, offerto dal sindaco che, per farsi rieleggere, «ha stipulato un patto con il popolo e con la verità», come si legge sul cartellone pubblicitario.

M a la città non è solo festa. Qui funziona un grande polo petrolchimico e la Ford ci ha costruito uno stabilimento. Tra le ciminiere fumanti svetta anche l’insegna della Monsanto, l’azienda americana di prodotti per l’agricoltura, redarguita dal governo italiano per aver importato illegalmente partite di semi di soia geneticamente modificati.
A prima vista, Camaçari si direbbe una cittadina sviluppata, per via delle industrie; invece solo pochi raggiungono un salario minimo e sono i tecnici altamente specializzati; per tutti gli altri, la manovalanza, lo stipendio è misero a fronte, per di più, di un lavoro pericoloso, logorante e non protetto dai sindacati.
Si viene a creare dunque una situazione di estrema disuguaglianza. Le imprese moltiplicano i loro guadagni mentre un terzo della popolazione vive in condizioni precarie, minacciata dalla disoccupazione, e il rischio della perdita di dignità, come persone e come cittadini, perpetua lo sfruttamento che fa del Nord-Est una delle regioni più arretrate del paese.
In questa difficile situazione socio-economica, i più colpiti sono i bambini. Non solo perché più esposti alle malattie respiratorie, provocate dall’inquinamento delle industrie chimiche, ma soprattutto perché, nella maggior parte dei casi, vivono soli accanto alla madre, talvolta con un padre adottivo, che declina le proprie responsabilità di educatore.
Tale stato permanente di instabilità mina gli stessi rapporti umani, a volte inquinati da violenza e alcol, e spinge sempre più persone verso gli strati più bassi della società.
Q uando don Paolo arrivò a Camaçari si mise subito a lavorare con gli esclusi, come aveva fatto a Saõ Salvador, dove aveva difeso dalla prepotenza di politici e poliziotti il diritto alla casa di tante famiglie costrette a invadere terreni su cui costruire abitazioni fatiscenti.
Nei suoi 30 anni brasiliani, la pastorale di don Paolo è stata sempre rivolta a quelli che non hanno voce, quelli che si devono accontentare delle briciole, che tuttavia incarnano una protesta non-violenta, una innata rivendicazione affinché la storia umana possa voltare pagina.
Oggi il «fischietto», ossia Apito, l’associazione a lui dedicata, è una colorata scuola matea, un ambiente pedagogico creativo e mirato alla formazione dei bambini in sintonia con i loro genitori, ed è inoltre un progetto di accompagnamento di famiglie bisognose, non solo di beni materiali, ma anche di una nuova coscienza.
Le 50 donne volontarie che fanno parte del progetto si riuniscono frequentemente per organizzare visite a domicilio, monitorare i casi d’indigenza e realizzare attività manuali e artistiche che coinvolgono le famiglie nella ricerca di una più forte autostima e di una piena consapevolezza dei propri diritti politici e umani.
Applicarsi nella produzione di medicine alternative o di cibi naturali sfruttando la saggezza popolare diventa un mezzo efficace per far emergere capacità che la miseria e l’ignoranza tendono a oscurare.
La fantasia e la calda solidarietà di queste volontarie sono i veri strumenti civili per far alzare la testa a chi l’ha sempre tenuta tra le ginocchia. Tra di loro si avverte sempre un clima giornioso, perché nessuno giudica l’altro, perché si è allegri con semplicità, si va dritti al centro delle emozioni accettando quello che viene oggi.

Intanto il giorno si è fatto caldo. Mezzogiorno è passato e il fumo dei fuochi ormai si è del tutto diradato, sebbene in lontananza si senta qualche piccola esplosione.
In mezzo al traffico un ragazzo spinge un carretto pieno di cappelli di paglia che nasconde uno stereo e scuote la testa al ritmo della musica distorta che buca le casse.
Sembra che all’improvviso debba accadere qualcosa di sconvolgente. Alcuni dicono che non succederà mai nulla. Altri hanno speranza.

BOX 1

Trenta anni nella Bahia

Paolo Maria Tonucci nacque a Fano il 4 maggio 1939. Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1962. Ottenuto il permesso di partire come missionario, arrivò in Brasile alla fine del 1965 e fu destinato alla parrocchia di Nossa Senhora de Guadalupe, nella città di São Salvador de Bahia. Vi lavorò per 15 anni insieme ad altri sacerdoti, per lo più provenienti dalla diocesi di Firenze.
Nella distribuzione delle responsabilità, don Paolo si dedicò soprattutto al quartiere di Fazenda Grande, dove stabilì la propria residenza, in una stanza dietro la cappella. Qui istituì la scuola professionale Primero de mayo, per la formazione di giovani tecnici e l’alfabetizzazione degli adulti. Fu tra i fondatori e poi il responsabile della Commissione diocesana Giustizia e Pace, per lo studio delle situazioni di ingiustizia e la difesa dei diritti umani.

Nel 1981, don Paolo lasciò la città di Salvador e si trasferì a 40 chilometri di distanza, nella cittadina di Camaçari, divenendone parroco. Con lo scopo di essere più vicino al popolo, per due volte don Paolo chiese la cittadinanza brasiliana, prima durante la dittatura militare (1964-1985), poi in tempo di democrazia. Gli fu sempre negata «per indegnità», in quanto negli archivi della polizia erano segnalati i suoi interventi in difesa dei senzatetto, proditoriamente sloggiati dalle loro baracche proprio dalle forze dell’ordine.
Il 19 ottobre 1992 il comune di Fano gli assegnò il premio «Fortuna d’oro», con la seguente motivazione: «Al missionario Paolo Maria Tonucci, per la sua attività umanitaria e spirituale a favore delle popolazioni povere del lontano Brasile e per aver saputo coraggiosamente lottare contro gli ostacoli e le incomprensioni di una dittatura militare».
Nell’agosto 1993 gli fu diagnosticato un tumore al cervello. A nulla valsero gli immediati ricoveri in Italia. Morì il 9 ottobre 1994 e fu sepolto a Fano.

Esattamente 10 anni dopo, contemporaneamente a Camaçari e a Fano, si sono svolte manifestazioni e incontri per commemorare il suo impegno di testimone del vangelo nel rispetto pieno della dignità umana.
Per l’ardore con cui lottò fino agli ultimi giorni a fianco dei diseredati, don Paolo è rimasto per sempre nei cuori dei brasiliani e di quanti, in Italia, lo hanno conosciuto. Coloro che hanno collaborato e vissuto con lui hanno dato continuità alla sua opera, costituendo due associazioni a lui intitolate in patria e in Brasile.
In Italia, il 5 dicembre 1996, fu costituita l’Associazione «Centro scuola don Paolo Tonucci» Onlus, con lo scopo di sostenere iniziative di promozione cristiana, umana e sociale delle persone più svantaggiate di Camaçari.
A Camaçari è nata l’Associazione Paolo Tonucci «Apito» (in brasiliano significa fischietto), che ha attivato diversi programmi sociali:
Fami-Apito si occupa delle circa 260 famiglie bisognose.
Centro-Apito attua programmi di educazione per l’infanzia, di cui usufruiscono 140 bambini dai 3 ai 6 anni.
Eco-Apito ha programmi di complemento scolastico per 120 ragazzi da 7 a 12 anni.
Arte-Apito è un biennio professionale per circa 80 giovani sopra i 14 anni.


Paolo Brunacci

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