Fuori dalle gabbie!

«Giovani musulmani in Europa. Tipologie di appartenenza religiosa e dinamiche socio-culturali»: è stato il tema del Convegno internazionale, tenuto presso il «Centro di studi religiosi comparati Edoardo Agnelli»
di Torino. È emerso che molti giovani musulmani cercano di conciliare identità islamica e valori occidentali. Ma non tutti.

«In un’epoca in cui qualsiasi religione rischia di essere strumentalizzata e vista come causa di contrapposizioni e guerre, vogliamo ribadire che la vita insieme, la frequentazione degli stessi spazi, l’accoglienza reciproca, il dialogo alla pari sono possibili. Che le religioni sono una risorsa per qualsiasi società. Ne sono la linfa vitale e la possibilità di speranza».
Questo comunicato stampa è la sintesi di un importante incontro svoltosi ad Albano Laziale dal 19 al 21 marzo 2004 (una settimana dopo la strage di Madrid) tra Giovani musulmani d’Italia (Gmi), Unione dei giovani ebrei italiani, Federazione universitari cattolici italiani (Fuci) e giovani delle Acli.
Questo storico incontro è stato seguito dalla sociologa Annalisa Frisina dell’Università di Padova, che da tre anni studia l’associazione Gmi. La stessa studiosa, durante il Convegno internazionale, tenutosi l’11 giugno presso il Centro di studi religiosi comparati Edoardo Agnelli, ha ribadito: «Avendo assistito ai gruppi di discussione su Le radici culturali dell’Europa, Laicismo e laicità dello stato, Religioni e cittadinanza, ho potuto constatare come non si sia trattato di una facile “dichiarazione di intenti”, ma stia significando per i Gmi, come per gli altri partecipanti a questo tipo di iniziative, una profonda messa in discussione e un lavoro critico e impegnativo».

IN ITALIA: IDENTITÀ E INTEGRAZIONE
Quanti sono i musulmani in Italia? Com’è nata l’associazione dei Giovani musulmani d’Italia? Chi la anima? Quali obiettivi si propone? L’entusiasmo e la professionalità della Frisina nel presentare i risultati della sua ricerca hanno offerto dati e informazioni importanti e significative.
«Secondo il Dossier statistico immigrazione 2003 di Caritas/Migrantes, alla fine del 2002 in Italia c’erano 553.007 musulmani (36,6% dei 1.512.324 stranieri regolarmente presenti), facendo dell’islam la seconda religione in Italia.*
Diversamente da quanto è avvenuto in altri paesi europei, la provenienza dei musulmani è molto diversificata: troviamo persone originarie dal Maghreb (in prevalenza marocchini), Mashreq (Egitto, Libano, Palestina, Siria, Iraq), Africa subsahariana (Senegal, Nigeria, Sudan, Mali, Somalia), e poi dal Pakistan, Iran, Bangladesh, Balcani… Si può ipotizzare che i giovani musulmani siano tra 100-250 mila».
L’associazione Gmi è nata nel 2001, due mesi dopo il fatidico 11 settembre. Intervistando i membri dell’associazione, la sociologa ha rilevato come i giovani «possano sentirsi continuamente chiamati in causa, quasi presunti colpevoli in quanto musulmani».
Attualmente l’associazione è formata da circa 300 giovani (69% tra i 15-17 anni e 31% tra 18-23 anni), tutti cresciuti e formati nelle nostre scuole, in molti casi sin dall’infanzia (il 44% è nato in Italia), per la maggior parte residenti nel nord Italia e con famiglie, provenienti da Marocco (45%), Siria, Egitto, ben inserite come operai, commercianti, medici nel nostro paese.
Già partecipanti ai campi estivi organizzati dall’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia (Ucoii), i giovani musulmani hanno sentito l’esigenza di autonomia e autogestione, perché ritenevano le loro esperienze di vita troppo diverse da quelle dei loro genitori, e anche perché, dopo l’11 settembre, in Europa e in Italia è cresciuta l’islamofobia, fomentata tra l’altro dall’informazione superficiale e stereotipata dei nostri mass media.
Infatti, in tre anni di attività, i Gmi hanno tentato significativi rapporti con i mass media e intrapreso diverse iniziative interregionali e interculturali, culminate con l’importante e significativo incontro del marzo 2004.
Gli obiettivi principali dell’associazione Gmi, formalizzati da statuto, sono di due tipi: sul versante interno essi intendono promuovere la costruzione identitaria dei giovani musulmani, italiani ed europei, attraverso attività formative che valorizzino e approfondiscano la loro fede; sul versante esterno, intendono impegnarsi a livello locale, nazionale ed europeo «per la giustizia, la pace e salvaguardia dei diritti umani» (art. 3 dello statuto).

VOGLIA DI AUTONOMIA
La Frisina ha seguito alcuni convegni del Gmi e ne ha descritto l’evolversi. Nel primo, tenutosi a Bellaria il 23-25 dicembre 2001, negli stessi giorni del xxiii Convegno nazionale dell’Ucoii, la presenza degli oratori adulti era predominante.
Durante il iii Convegno nazionale, svoltosi a Bagni di Romagna il 22-24 dicembre 2002, la Frisina, osservatrice partecipante, ha rilevato come ci «siano stati chiari segni di insofferenza verso la gestione direttiva da parte degli adulti e sia emersa l’esigenza di approfondire in modo diverso la propria fede per viverla da giovani italiani ed europei».
Infatti, gli oratori «con i loro discorsi costruivano continuamente una contrapposizione tra “noi musulmani” e “loro”, cioè i non musulmani». Anche quando i giovani espressero il loro apprezzamento per l’Europa che favorisce «libertà di espressione, la democrazia, l’uguaglianza davanti alla legge, i diritti umani», il vice-presidente dell’Ucoii chiese: «Siete sicuri che questi valori non ci siano nell’islam?».
Fu il giovane incaricato delle pubbliche relazioni, K. C., a rispondere per tutti: «Storicamente la forza dell’islam è stata quella di saper riconoscere e assorbire il positivo delle culture che ha incontrato. Credo che noi dobbiamo continuare così, riconoscendo i valori altrui, imparando ancora e dando il nostro contributo».
L’associazione elegge democraticamente i suoi rappresentanti, come ha ribadito con chiarezza la vice presidente – una ragazza ventenne con il classico velo, presente al convegno di Torino con altre amiche – e agisce in completa autonomia dalle associazioni degli adulti. Gli adulti sono presenti ai loro convegni, preoccupati della fede, morale e formazione dei ragazzi, ma sono i giovani a prendere le loro decisioni in modo autonomo.

VOGLIA DI PARTECIPARE
Infatti è diminuita la presenza degli «esperti» e sono aumentati i momenti ludici, gite, laboratori, dove i giovani si confrontano e imparano a presentare con chiarezza le loro idee in pubblico. Ad esempio, i Gmi hanno preso una chiara posizione contro chi invocava la rimozione del crocifisso dalle aule, «sostenendo che non rappresentava i musulmani italiani e che i “veri problemi” da discutere erano “come costruire la pace e una convivenza giusta”».
Il 23/11/2003 hanno anche scritto una lettera a Bruno Vespa, che con le sue trasmissioni televisive, popolate di ospiti da spettacolo, «alimenta il clima di paura e disagio nei confronti della componente islamica italiana». Come risultato l’attuale presidente dei giovani islamici J.K., già incaricato delle pubbliche relazioni, è sovente ospite del Maurizio Costanzo show.
La Frisina, dopo tre anni di attenta osservazione dei Gmi, commenta: «Le domande di inclusione dei giovani musulmani sono avvenute a più livelli: locale perché questi giovani partecipano attivamente alla vita del territorio dove vivono; nazionale, perché si sentono italiani e vogliono la “cittadinanza formale” per essere ufficialmente titolari di diritti e doveri; europeo, sia perché nei loro discorsi è molto spesso presente l’Europa, come una delle loro “appartenenze”, sia perché fanno parte di un’associazione giovanile islamica europea, il Femyso, e dello Youth Forum».
Si rivela infine importante ascoltare con attenzione le esortazioni di K.C., responsabile e portavoce dei Giovani musulmani italiani: «Noi qui rischiamo di non essere aiutati a vivere la laicità. La società, o meglio quelli che stanno guidando la società, non vogliono la laicità dei musulmani, stranamente… E quindi li vogliono sempre chiudere nell’angolo della religione. Invece la sfida è dire: “Guarda, noi siamo cittadini e usciamo da queste gabbie”. Vogliamo parlare di tutto… del condominio, del quartiere, della puzza delle fogne… Bisogna partecipare, partecipare!».

GRAN BRETAGNA:PIÙ BRITISH, PIÙ MUSULMANI
La prima moschea fu costruita a Cardiff nel 1870 da marinai dello Yemen. Nel 1963 le moschee erano 13; oggi sono circa mille e offrono istruzione religiosa per i bambini.
La vera immigrazione islamica iniziò negli anni ’60, con l’arrivo di lavoratori dal Pakistan, India, Bangladesh. Altri musulmani arrivarono dall’Europa dell’est, dopo il collasso della Jugoslavia.
Dal censimento del 2001 risulta che il 2,7% della popolazione britannica è formata da musulmani: circa 1,6 milioni; essi sono in prevalenza asiatici; 11,6% «bianchi» (60 mila dell’Est-Europa e 10 mila convertiti); 6,7% africani. Il 50% ha meno di 25 anni.
Le numerose organizzazioni musulmane asiatiche, costituite su base etnica, nel 1997 hanno dato vita al Muslim Council of Britain (Mcb) e attualmente raggruppa 350 organismi: moschee, istituzioni caritative ed educative, donne, giovani, professionisti. Lo stesso anno lo sparuto ma potente gruppo di arabi musulmani ha istituito la Muslim Association of Britain (Mab), che conta circa mille membri; ma nel febbraio 2003 è riuscita a mobilitare, a Londra, 2 milioni di persone contro la guerra in Iraq.
«La divisione più grande tra i diversi gruppi di musulmani – afferma nella sua relazione Yunas Samad, dell’Università di Bradford – è di carattere sociale: gli appartenenti al ceto medio frequentano le scuole superiori, con accesso a professioni di alto livello (medici, amministratori), mentre la maggioranza (bengalesi e pakistani), di origine proletaria e con basso grado di scolarità, è soggetta a un futuro incerto e al rischio di esclusione sociale».
I giovani musulmani della Gran Bretagna, di qualsiasi ceto e gruppo etnico, si sono trovati uniti e si sono fatti conoscere per le imponenti manifestazioni contro I versetti satanici di Rushdie e le due guerre del golfo.
Mentre per gli europei questi giovani sono definiti quasi «fondamentalisti»; i leaders musulmani, invece, sono preoccupati perché diventano troppo «occidentali». Infatti, mentre i loro genitori pregano o leggono il Corano in urdu o bengali, i giovani conoscono poco queste lingue e perciò si distaccano dalla tradizione. Paradossalmente, però, più diventano british, comunicando bene in inglese, più si radicano nell’identità musulmana.
I giovani musulmani delle classi più colte e agiate possono permettersi frequenti viaggi nei propri paesi d’origine e si rivelano anche i meglio integrati in Gran Bretagna. Tra i giovani lavoratori asiatici, invece, possono sfociare veri e propri conflitti violenti contro i «bianchi» (come è capitato a Oldham, Buely e Bradford), non tanto per una conclamata difesa della comunità, ma per un controllo del territorio.
Le giovani musulmane cercano, a poco a poco, di conquistare la loro indipendenza, sia nel proseguire la scuola che nel cercare un lavoro e un marito di loro scelta, non più imposto dalla famiglia. Invocano per questo la legge islamica, che richiede alla donna «la ricerca della conoscenza anche in ambienti misti, sempre a patto che le donne si vestano e si comportino con modestia».

GERMANIA:LITTLE ISTANBUL
La Germania conta circa 2,7 milioni di musulmani (3,5% della popolazione), in maggioranza turchi, che rappresentano il 26% degli immigrati. Circa il 50% dei turchi residenti ha meno di 25 anni.
Il 15-20% dei giovani musulmani ha successo sia in campo scolastico che lavorativo. Ma il 25% non ha terminato le scuole e fatica a inserirsi nel mondo del lavoro (40% di disoccupati), soprattutto nelle periferie delle grandi città, chiamate talora little Istanbul, per la forte concentrazione di immigrati turchi. Berlino, per esempio, conta 73 moschee, 58 delle quali sono frequentate da turchi.
Da decenni si parla dei turchi come di musulmani con una cultura diversa, difficile da integrarsi. Ma qualcosa sta cambiando tra le nuove generazioni. Il 35% dei giovani musulmani frequenta regolarmente la moschea. Una recente ricerca condotta in Westfalia, conferma che il 25% dei giovani musulmani si dichiara «credente e seguace degli insegnamenti islamici», mentre il 50% dichiara di «credere in Dio, ma non essere praticante». Solo il 30% afferma di aver seguito la scuola coranica per più di 3 anni.
«In Turchia lo stato proibisce alle donne di indossare il velo nelle scuole e università – afferma Czarina Wilpert, dell’Università di Berlino -. La prima generazione di immigrate turche indossava semplici foulard nella vita privata, di rado in pubblico. La seconda e terza generazione sembra che indossi il foulard anche a scuola, come rifiuto all’integrazione e dei valori della società occidentale».
Attualmente sono i singoli «stati» (länder) a decidere se le donne possono indossare il foulard nelle istituzioni pubbliche.
Pare, comunque, che molti giovani siano alla ricerca del «vero» islam, in modo «indipendente» dal rigido sistema di «valori» imposto dalla tradizione. Al tempo stesso, credono nei «valori democratici» e perciò vivono la loro religione come «un rispetto per i diritti dell’uomo», mentre sono critici nei confronti delle grandi organizzazioni islamiche che vorrebbero intrupparli.
Alcuni studi, focalizzati sui rapporti transnazionali, raggruppano i giovani musulmani in tre categorie: coloro che desiderano essere riconosciuti e accettati in Germania come «diversi»; gli ultraortodossi, che sognano una rivoluzione in Turchia; quelli che cercano la possibilità di ridefinire le normative in modo democratico in una società pluralista.
Alcuni, infatti, sono coinvolti in partiti politici. Ma secondo i servizi segreti tedeschi, in Germania ci sono 30 mila estremisti islamici, di cui 4 mila a Berlino. Interessante notare come i giovani turchi non amino definirsi «tedeschi», ma preferiscano l’identificazione locale come «turco berlinese».
Infine, un’importante ricerca afferma che «i giovani turchi in Germania sono socialmente coscienti e critici della crescente discriminazione, segregazione e razzismo della società in cui vivono».

FRANCIA:IL VELO… TRICOLORE
Non ci sono dati sul numero di musulmani in Francia; potrebbero essere 3 milioni o il doppio: si pensa che, quanti provengono da paesi di tradizione islamica, soprattutto nordafricani, siano automaticamente musulmani. La maggior parte di essi è concentrata nelle periferie delle città, dove si rileva il più alto tasso di disoccupazione (20%) tra gli immigrati nordafricani.
Malgrado l’emergere di un ceto medio tra questi immigrati, afferma il relatore Alexandre Caeiro, del Cnrs-Gsrl di Parigi, «in Francia l’islam continua a essere recepito come la religione dello straniero, del povero e dell’escluso», una combinazione che produce effetti molto negativi per l’integrazione dei giovani musulmani nel paese.
Nel 1987 si formò a Lione l’Union des jeunes musulmans (Ujm). Questi giovani sono nati in Francia e conoscono poco il loro «paese d’origine»; perciò, l’essere musulmani non fa parte del loro bagaglio culturale, ma serve a definire la loro identità. Ma «mentre l’islam dei genitori era conciliante, discreto e desideroso di integrarsi, l’islam dei figli non accetta compromessi ed è in rottura con i genitori e con i valori francesi».
L’istituzionalizzazione dell’islam in Francia è culminata nel 2003 con la costituzione del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm). Al suo interno le voci più critiche sono proprio quelle dei giovani, che vorrebbero un «islam francese», piuttosto che mantenere un «islam in Francia» con il contributo offerto dai paesi d’origine.
Per rappresentare i musulmani non legati a moschee e organizzazioni, sono sorti anche il «Consiglio dei musulmani laici» e il «Consiglio dei musulmani democratici». Attualmente in Francia esistono solo due scuole musulmane; ma, con l’attuale legge sulla laicità, forse queste scuole aumenteranno. I nord africani incontrano discriminazione nel mondo del lavoro, mentre le donne che indossano il velo non hanno accesso al pubblico impiego.
Tra le iniziative intraprese dai musulmani per un dialogo tra credenti di religioni diverse, c’è da segnalare il ciclo di conferenze organizzato alla moschea Adda’wa di Parigi: il carisma del direttore, l’algerino Larhi Kechat, indipendente dai paesi musulmani e dallo stato francese, attira moltissime persone. Però, vari atti di antisemitismo, perpetuati da giovani di origine nordafricana, lanciano segnali inquietanti.
«Nonostante gli elogi alla comunità islamica globale, i musulmani di Francia non si sono impegnati nella politica internazionale, eccetto che in manifestazioni occasionali a favore dei palestinesi e contro la guerra in Afghanistan e in Iraq».
Nel 2003, invece, i giovani musulmani sono stati molto presenti nei movimenti contro la globalizzazione e hanno partecipato attivamente, nel novembre 2003, all’European Social Forum di Parigi.
Interessante è, infine, rilevare che il dibattuto affaire du foulard è nuovamente esploso nel 2003; ma, mentre i leaders istituzionali musulmani discutevano sul da farsi, due ragazzine di 17 anni, con l’aiuto di una giovane esperta in internet, riuscirono a organizzare in tempi brevissimi una manifestazione a Parigi: più di 6 mila persone parteciparono a tale manifestazione, costellata di bandiere francesi ed europee: tantissime ragazze avevano indosso il foulard con i colori della bandiera francese.

Silvana Bottignole

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