TEOLOGIA MISSIONARIA: NESSUNA SVENDITA

Un abbozzo
di risposta
alle domande
di un lettore,
che si interroga
su peccato originale,
Antico Testamento
e buddhismo…

Spettabile «Missioni Consolata»,
duemila anni or sono l’insegnamento di
Gesù non aveva alcun precedente nell’area
del Mediterraneo. L’unica predicazione
simile alle sue parole si può trovare nell’area
indiana dell’epoca, dove jainismo e
buddhismo si erano diffusi da cinque secoli.
In particolare, dal secondo secolo a. C.
si era andata differenziando la corrente
del buddhismo detta «Mayana», che aveva
come insegnamento l’estinzione del
desiderio e l’amore compassionevole verso
tutti gli esseri senzienti, oltre all’abolizione
di ogni tipo di casta e gerarchia.
Alla luce di quanto sopra, la chiesa dovrebbe:
– allontanarsi dall’Antico Testamento, con
cui l’insegnamento di Cristo non ha alcun
legame, abbandonando il racconto della
Genesi e la dottrina del peccato originale,
oggetto di grandi perplessità nel mondo
moderno;
– riaccostarsi a quanto è oggi rimasto di
buono del buddhismo, riponendo l’enfasi
sull’amore compassionevole verso tutti gli
esseri senzienti, dopo aver riconosciuto lo
status di esseri senzienti a tutte le entità
naturali.
Un simile collegamento all’antico renderebbe
la chiesa più «modea».
Albino Fedeli
Roma

Il signor Fedeli, senza lungaggini,
in modo gentile e garbato, pone
sul tappeto tre gravi problemi, importanti
anche da un punto di vista
missionario.
Innanzitutto sul buddhismo da adottare,
poi sull’Antico Testamento
da eliminare e sul peccato originale
eventualmente da ridimensionare,
per non cadere nel ridicolo.
Viene pure da sorridere.
Perché anche un incompetente
di astronomia può rivolgere
a un astronomo di
professione domande alle
quali, per rispondere, occorre
avere studiato tutta una vita.
Alla stessa maniera che
un tizio, premendo con un
ditino il grilletto di una pistola,
può ferire gravemente
una persona; ma il chirurgo
che lo opera deve mettere in
atto tutta la sua scienza ed esperienza.
Il buddhismo è la più inafferrabile
delle religioni universali,
se di religione si
tratta. Non si può che rimanere
ammirati nel prendere
contatto con le cosiddette
quattro nobili verità (per eliminare
o sublimare il dolore),
o con le tre gemme, con
le cinque fascine, con gli otto
sentirneri (che convergono
a tre impegni fondamentali:
moralità, meditazione, compassione),
con i quattro possibili
stati mentali dell’uomo,
che sono: bontà, compassione,
gioia, equanimità. La
bontà che prova una madre
verso il proprio figlio quando
è piccolo, la sua compassione
quando il figlio è ammalato, la sua
gioia quando il figlio è ormai diventato
un giovane gagliardo, l’equanimità
quando il figlio è cresciuto e ha
messo su famiglia, ecc. ecc.
Quindi, niente di male che un cattolico
prenda conoscenza di qualcosa
(o qualcosa in più) del buddhismo,
anche per abbellire con una
piccola operazione di cosmesi il suo
volto, proprio nel senso indicato dal
signor Fedeli. Tanto per intenderci:
ebrei, cristiani e musulmani potrebbero,
ad esempio, smettere un po’ di
massacrare una moltitudine di agnelli
in occasione delle loro festività
religiose. Padre Eesto Balducci si
chiedeva se il Buddha non fosse l’altra
parte di noi che abbiamo non solo
dimenticato, ma represso (cfr.
L’uomo planetario, 1985, p. 170).
Tuttavia il cristianesimo non può
essere messo in svendita, come una
merce ormai avariata o fuori moda.
Poiché anche nel buddhismo molte
cose sfuggono di mano come anguille
(ad esempio, cosa succede dopo
la morte?), la cosa da fare non è
la «svendita», ma il confronto e il
dialogo, per chi è in grado di affrontarlo.
Il cristianesimo, poi, è tutto in Cristo,
che diceva: «Misericordia voglio
e non sacrifici» (di animali viventi)
(Mt 9, 12-13; cfr. Os 6, 6). Oppure:
«Siate misericordiosi come è misericordioso
il Padre vostro» (Lc 6, 36).
Inoltre il nome di Padre, che Gesù
attribuisce a Dio, è la chiave e la sintesi
di tutto il cristianesimo.
Giovanni Battista intonava il Dies
irae sul mondo presente; Gesù invece
annunciava che, dietro l’angolo,
c’era un tempo di salvezza giorniosa,
anche banchettando insieme agli emarginati.
Ci si deve allontanare dall’Antico
Testamento, con il quale l’insegnamento
di Cristo non ha alcun legame?
Un’operazione del genere è
assolutamente impossibile;
significherebbe la morte di
entrambi; in ogni caso certamente
del cristianesimo.
Lo diceva già Gesù stesso alla
samaritana: «La salvezza
viene dai giudei» (Gv 4, 22).
Paolo aggiunse che essi
«possiedono l’adozione a figli,
la gloria, le alleanze, la legislazione,
il culto, le promesse,
i patriarchi; da essi
proviene Cristo!» (Rom 9, 4-
5).
È più che ovvio che il Nuovo
Testamento, a confronto
con l’Antico, costituisca non
un rigetto, ma un superamento
e un perfezionamento,
secondo la normale legge
(anche religiosa) di un buon
educatore che procede per
gradi: «Né troppo; né troppo
presto; né tutto in una
volta».
Già nel secondo secolo,
qualcuno aveva tentato di
prendersela con l’Antico Testamento:
Marcione, ad esempio,
ma fu condannato.
Verso il 170 d. C. aveva scritto
un’opera dal titolo «Antitesi
»: sono così grandi le differenze
tra i due Testamenti
che non possono stare insieme
e il Dio della giustizia
non può stare insieme al Dio dell’amore.
Recentemente ci fu chi tentò di paragonare
Simone Weil (1909-1943) a
Marcione. Cosa assurda, anche se la
Weil, nonostante fosse ebrea, provasse
un appassionato risentimento
verso la religione dell’Antico Testamento,
trovando che lo stornicismo
greco era migliore; e scelse il cristianesimo.
Ci fu pure qualche teorico
africano (ma si tratta di un fenomeno
marginale) che propone la cultura
africana (compresa la religione
tradizionale) come sostituzione dell’Antico
Testamento.
Posizioni incomposte. Gesù stesso, nell’accompagnare i due discepoli
di Emmaus, «cominciando da
Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro
in tutte le Scritture ciò che si riferiva
a lui» (Lc 24, 27). Sarebbe come
se, per esaltare e valorizzare in letteratura
un autore moderno italiano,
si eliminasse Dante!
E infine, l’eterna questione sul
peccato originale. È un po’ di
moda ridicolizzare i racconti della
Genesi e coloro che li accettano. Andrei
invece adagio a scagliare fulmini
o proferire giudizi di anti-modeità
su un’opera altamente «poetica
», oltre che religiosa, qual è il libro
della Genesi.
Chi prendesse in mano il ponderoso
volume di 440 pagine del rabbi
Rashi di Troyes (1040-1105), dal titolo
«Commento alla Genesi», troverebbe
che il «fermarsi su ogni parola
della Scrittura, è una ricerca dominata
da un irresistibile slancio ad
andare oltre il senso letterale dei testi,
per cogliee il profondo e misterioso
significato».
Sulla intrigante dottrina del peccato
originale, occorre tenere presente,
anzitutto, che va letta in chiave
«religiosa» o di fede, a causa del
rapporto misterioso tra uomo-creato
e Dio. Come l’ha visto Paolo nella
Lettera ai Romani: da una parte Adamo
e dall’altra Cristo; da una parte
l’origine del male, il «mistero di
iniquità» (2 Tess 2, 7) e, dall’altra, il
«mistero della grazia» (1 Tim 3, 16).
Perché Adamo è ciascuno di noi.
«Dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato
la grazia» (Rom 5, 20).
Inoltre va tenuto presente che una
cosa è accettare l’esistenza del
peccato originale, un’altra è l’investigazione
sulla sua natura, aperta a
nuovi sviluppi.
I padri greci, ad esempio, sono più
sobri e con mano più leggera dei latini
e di sant’Agostino, tallonato dal
pelagianesimo e portato a sottolineare
il racconto con qualche riga in
più; fino a Lutero e ai cinque canoni
del Concilio di Trento (secondo il
quale però il peccato originale non
ha corrotto radicalmente l’uomo).
Così si può dire che ogni uomo
che mette piede sulla scena di questo
mondo, per recitare la sua parte,
non inizia dal punto zero; molti altri
sono entrati in scena prima di lui,
sollevando polvere, impregnando
l’ambiente di fumo, dicendo e compiendo
balordaggini… Pertanto al
nuovo venuto risulta difficile la respirazione.
Se poi costui accende una
sigaretta, contribuisce, per parte
sua, a deturpare l’atmosfera.
Si tratta di una nativa fragilità o finitezza
umana che colpisce tutti, anche
se di per sé l’uomo è «un essere
in relazione», destinato a convivere
con la terra (da cui è tratto), con il
giardino (che è chiamato a coltivare),
con gli animali (ai quali dà un
nome), con la donna (senza la quale
è nulla); e anche con Dio (che gli dà
l’esistenza), la cui presenza è simboleggiata
dai due alberi, per ricordargli
che non sta a lui decidere arbitrariamente
e a piacimento ciò che è
bene e ciò che è male.
Tutto ciò espresso in un linguaggio
«simbolico» o
«mitico», come una
parabola da
interpretare o un
rebus. Per dire
che si tratta di una
rottura di un’armonia
congenita e che
la vita dell’uomo è anche
una lotta.
La natura del peccato
originale, sotto il rivestimento
del racconto, mutuato
da tradizioni antiche
e che la bibbia intende purificare,
è stato espresso anche con un linguaggio
«sapienziale». Ecco come lo
presenta Isaia: «Guai a coloro che
chiamano bene il male e male il bene,
che cambiano le tenebre in luce
e la luce in tenebre, che cambiano
l’amaro in dolce e il dolce in amaro…
» (5, 20).
In una parola, il peccato originale
sarebbe la pretesa di voler essere padroni
del bene e del male. Un atteggiamento
del genere è espresso molto
chiaramente dal «figlio prodigo»,
che esige dal padre la parte di eredità
che ancora non gli spetta, per
fae ciò che più gli piace. Il peccato
originale è Faust in compagnia del
demoniaco e gaudente Mefistofele:
questi non può fare che Mefistofele,
mentre Faust può scegliere.
Ma quale fatica!
S’impone, comunque, una moderazione
di tono o almeno di rispetto
verso coloro che accettano una dottrina,
senza essere creduloni o stupidi.
Ricordando (se ciò può essere
utile) che le traversie teologiche di
Teilhard de Chardin ebbero inizio
banalmente dall’avere egli scritto una
breve «Nota» sul peccato originale,
su richiesta di un suo confratello
e destinata solo a lui; poi, passata
di mano in mano, dopo tre anni
finì a Roma, dando origine a tutti i
suoi guai di «gesuita proibito».

IGINO TUBALDO

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