Haiti: La perla perduta

Incontro con il giornalista haitiano Gotson Pierre. A tre anni dal devastante
terremoto che sembrava cambiare le sorti del paese, la politica fa passi
indietro. Il presidente Joseph Martelly
governa con autoritarismo, senza curarsi della Costituzione. Mentre
clientelismo e corruzione sono in aumento.Ma il movimento sociale manifesta il suo malcontento e la tensione
cresce.Il punto di vista di un osservatore privilegiato.

(Foto Marco Bello e AFP)

Gotson Pierre, haitiano, fa il
giornalista da oltre 30 anni. Ha lavorato, tra l’altro, alla creazione di una
rete di radio rurali e nel 2001 ha fondato il Groupe Médialternatif,
un’associazione di media che vuole essere voce critica della società e dei
movimenti sociali. Tra le altre attività, Médialternatif gestisce
l’agenzia online altepresse.org che ha acquistato una grande
credibilità in patria e all’estero.

Da
maggio 2011 Haiti ha un nuovo presidente: il discusso cantante Michel Joseph
Martelly.
Quali
sono le caratteristiche del governo Michel Martelly?

«È un’amministrazione che cambia profondamente dalla
precedente. Un governo che comunica molto. Una comunicazione che invade tutto,
che quasi rimpiazza l’azione politica. Diventa l’azione politica. Ogni giorno
arrivano numerosi comunicati dal primo ministro, dai ministeri, dalla
presidenza. Una macchina di comunicazione efficiente in tutte le istituzioni
dello stato.

Però
è un flusso d’informazione governativa unidirezionale, che rende conto di
quello che vuole il governo. Il potere concede interviste a media selezionati.
Un’amministrazione che pare voler comunicare con il pubblico attraverso i
media, ma allo stesso tempo limita l’accesso dei giornalisti all’informazione.

È
una comunicazione persuasiva, per dire “vedete che le cose stanno cambiando”.
Martellano su alcuni concetti: siamo molto vicini alla propaganda.

Si
avvalgono di compagnie private di comunicazione. La società spagnola che ha
gestito la campagna elettorale di Martelly è ora al servizio della presidenza,
e ha messo un esperto latino americano a capo della comunicazione».

E
dal punto di vista politico?

«Non
è cambiato nulla in realtà. È un presidente che non vuole negoziare con
nessuno, si vuole imporre, anche se non ha i rapporti di forza che gli
servirebbero. Non ha i numeri in Parlamento dove è in larga minoranza. Martelly
spinge l’autoritarismo a un livello visto solo sotto la dittatura militare.

Lui
parte dal principio che il presidente può fare quello che vuole: è la
concezione del capo supremo della nazione, la stessa che avevano i Duvalier
(padre e figlio dittatori sanguinari dal ’57 all’86, ndr). Per lui il
presidente è a capo di tutti i poteri. Il principio di separazione tra
esecutivo, legislativo e giudiziario non esiste. Pensa di avere potere su tutto
quello che succede ad Haiti e vuole imporre le sue decisioni.

Ha
ricevuto le organizzazioni dei media per dire loro cosa devono fare. Ma il
Parlamento non ci sta e questo porta sempre a un braccio di ferro, a un blocco
istituzionale. Talvolta si risolve all’ultimo momento per le pressioni della
comunità internazionale o arriva a crisi di governo. È successo così con le due
nomine dei primi ministri.

Oggi
c’è in gioco la formazione del Consiglio elettorale permanente (Cep), organo
che organizza le elezioni e starà in carica nove anni. Influenzerà quindi la
dirigenza politica delle prossime due legislature.

Ma
i parlamentari vogliono far valere il fatto che oggi il Senato non può
scegliere i membri del Cep perché la Costituzione vuole due terzi dei senatori
presenti, ma oggi la camera alta ha un terzo scaduto, quindi è impossibile
avere il quorum.

Occorre
fare un Consiglio elettorale provvisorio per completare il Parlamento con
elezioni e poi passare al permanente.

Il
presidente ha influenzato il potere giudiziario imponendo la sua volontà, per
la scelta di tre membri per il Cep, poi Martelly ha scelto altri tre membri,
come esecutivo. In questo modo ha imposto un consiglio di sei membri, e gli ha
fatto prendere funzioni ufficialmente. Ma la Costituzione ne prevede nove:
mancano quelli nominati dal legislativo».

 C’è
un ritardo sulle elezioni?

«Le
elezioni senatoriali e municipali sono in ritardo di almeno un anno. E non si
sa cosa succederà, perché non si trova una soluzione.

È uno stile di funzionamento politico che non vuole
chiarire le cose, tanto meno rinforzare le istituzioni. Si pensava che fosse
incapacità, ma ora alcuni osservatori dicono ci sia dietro una strategia. Ad
esempio qualcuno ha paura di una volontà di sciogliere il Parlamento. I mandati
dei parlamentari vanno verso la fine, rimanderà ancora le elezioni? È un male
minore per Martelly.

Sono
a rischio anche il decentramento e l’autonomia dei poteri locali. I sindaci
hanno terminato il loro mandato, e malgrado avesse promesso di mantenerli fino
alle prossime elezioni, il presidente li ha rimpiazzati con persone nominate
dall’esecutivo. Sta centralizzando il potere.

Il
processo democratico è seriamente minacciato da questi comportamenti. Non
riconosce le organizzazioni politiche e non incoraggia la strutturazione
politica. È piuttosto il clientelismo che aumenta. Se non sei con lui, sei un
nemico della patria, come con il fascismo».

Ma
esiste una vera opposizione e da chi è costituita?

«C’è
un’opposizione che si mostra sempre più. Una critica all’azione del governo. Ma
la strutturazione e l’organizzazione di questa opposizione è ancora da farsi
nonostante esistano attori sociali capaci di condurre un insieme di azioni.

Le
debolezze e le derive di Martelly hanno alimentato l’opposizione e abbiamo
visto una serie di manifestazioni di protesta, con partecipazione di
organizzazioni della società civile e di partiti politici. Criticano questo
approccio politico e la gestione della cosa pubblica. Il cattivo uso dei fondi
pubblici è evidente anche per il posto occupato dalla sua famiglia nella
macchina amministrativa. Normalmente la moglie del presidente non occupa delle
funzioni. Invece la moglie di Martelly è stata da lui nominata a presiedere una
commissione di cui fanno parte rappresentanti di ministeri. Il figlio è
responsabile di una struttura al di sopra del ministero della Gioventù e dello
Sport e gestisce un programma di realizzazione di stadi o spazi sportivi nel
paese, con molti fondi a disposizione. Mentre il ministero non ha alcun
controllo su questo. Criticare Martelly, o rifiutare la sua pratica politica,
non vuole però necessariamente dire che si sceglie un’opzione in linea con la
rivolta del 1986 (quando fu cacciato Duvalier, ndr) e la partecipazione
popolare alla democrazia. Nel movimento sociale c’è molta gente critica verso
Martelly. Un certo numero di associazioni vogliono rompere con tutte le
esperienze di autoritarismo che lui rappresenta, altre no. Chi porta avanti
questo discorso sono piccole organizzazioni che non hanno ancora un rapporto di
forza favorevole a livello del paese. Possono avere un’alternativa da proporre,
ma non hanno peso per farla valere. Ad esempio sono nati due piccoli partiti
della sinistra popolare e democratica».

Allora
cosa stanno facendo i partiti politici di opposizione?

«Oggi
c’è un insieme di dodici partiti, alcuni storici e due nascenti, che hanno
fatto una convenzione e stanno portando avanti una riflessione su come fare
opposizione. Ci sono dentro anche i partiti degli ex presidenti Aristide (Fanmi
Lavalas
) e Préval (Inite). L’altro partito storico, l’Opl
(Organizzazione del popolo in lotta) non ne vuole far parte perché è molto
critico con queste ultime due formazioni. Sta puntando su una “terza via”.
Ricordiamo che Martelly ha pochissimi deputati dalla sua parte. Ha inoltre
fondato un suo partito: Parti tet kale (partito testa pelata, ndr)».

Che
peso ha nel gioco politico la comunità internazionale?

«Alla
comunità internazionale fa comodo la situazione attuale. Non vuole problemi:
meglio consolidare quello che c’è fino alle prossime elezioni presidenziali.
Martelly afferma che non ha paura di un colpo di stato perché la comunità
internazionale è presente e sorveglia la situazione attraverso la Minustah
(Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione di Haiti, composta da
circa 10.000 uomini tra soldati e poliziotti, ndr). L’Onu lascia capire
che hanno bisogno di altri 4-5 anni affinché sia formata una forza di polizia
capace in Haiti.

La
comunità internazionale vuole che i termini delle elezioni siano rispettati: un
presidente sia eletto e sia al potere fino alle prossime elezioni. Il resto non
è un suo problema. Secondo loro un susseguirsi di elezioni porterà alla
stabilità, anche se le gravi questioni degli haitiani permangono irrisolte.

Se
Martelly non riesce a calmare la situazione, allora loro intervengono per
dirgli cosa fare. Ad esempio Usa, Francia e Unione europea vogliono sia formato
il Cep, nella logica della stabilità. Quindi sono intervenuti e hanno fatto
pressioni. La Minustah ha detto che il Parlamento si deve sbrigare a nominare i
tre membri di sua competenza. La comunità internazionale vuole che le
istituzioni esistano, per loro è un criterio importante di stabilità».

La
situazione rischia di esplodere a livello sociale?

«Il
movimento sociale organizzato non è forte, ma l’espressione del rifiuto, a
livello sociale, inizia a farsi vedere. Questo è sfociato nella serie di
manifestazioni in diverse città del paese, contro il carovita, la corruzione,
il traffico di droga. Fenomeni in aumento.

Abbiamo
assistito a manifestazioni organizzate, ma non c’è dietro necessariamente una
struttura sociale forte. Sono dei movimenti di protesta che si organizzano.
Un’esplosione non è da scartare.

Martelly
vuole fare di testa sua, ma su molti piani non è efficace, non riesce a dare
risposte ai problemi. La corruzione dilaga. Le persone che sono al potere,
prima di tutto vogliono guadagnare molti soldi. Al di là di mettere in piedi
dei programmi di ricostruzione o sviluppo.

Ho
raccolto testimonianze sul fatto che nell’esecuzione di un progetto
governativo, come quelli per la costruzione di case, occorre prevedere un 30%
in più per commissioni varie.

Inoltre
lo stato acquista servizi da persone nelle aree di influenza del presidente e
della sua famiglia. È scoppiato uno scandalo perché sono stati attribuiti
lavori di ricostruzione per 400 milioni di dollari a imprese che sono in buona
parte del senatore dominicano Bautista. Il fatto è che i lavori sono stati dati
senza alcuna gara d’appalto o controllo. E questo accompagnato con buone dosi
di tangenti.

Martelly
avrebbe ricevuto soldi da Bautista durante la campagna elettorale, ma anche
dopo aver prestato giuramento come presidente. Tutto ciò resta nell’impunità
totale».

Lo
Stato sta mettendo in opera dei programmi per migliorare le condizioni di vita
della gente?

«Un
primo problema nella messa in opera dei programmi è la corruzione e il
clientelismo. Questo fa sì che i beneficiari finali non siano numerosi, ma
diventino quasi il pretesto per fare il progetto.

L’altro
aspetto è l’orientamento dei progetti realizzati. Sono impostati per migliorare
la situazione nel breve termine ma non hanno un impatto sociale durevole. È il
caso dei programmi sociali governativi orientati alle famiglie. Alcuni si
ispirano ai programmi brasiliani contro la fame, ma ad Haiti sono gestiti dalla
presidenza ed è più un modo per acquisire seguaci.

È
difficile capire quali sono le realizzazioni e verificare i risultati di ogni
programma. Ce ne sono cinque o sei che fanno la stessa cosa: per ridurre la
fame danno cibo alla gente.

Si
tratta di fondi multilaterali, ovvero di cooperazione tra stati, e altri del
tesoro pubblico.

Ci
sono ancora i progetti di emergenza a tre anni dal
sisma?

«L’umanitario
è sempre presente ad Haiti. Ci sono, da un lato, le agenzie dell’Onu, che
tentano di lavorare con il governo, e dall’altro le Ong che fanno i loro
programmi. I progetti di emergenza hanno un limite: lavorano sull’immediato,
sulle conseguenze di un insieme di problemi, ma non sulle loro cause.

Purtroppo
neppure il governo ha messo in piedi un meccanismo per attaccare queste cause.

Ad
esempio gli interventi su bacini versanti, la pulizia dei canali, la
riforestazione non sono stati fatti. Così arrivano gli uragani come Sandy e
causano morte e distruzione.

Le
sfide della situazione haitiana attuale sono tante, e allo stesso tempo, la
gente che ha votato Martelly vorrebbe vedere qualche segno di miglioramento. Ma
non c’è nulla che si manifesta in questo senso, se non la comunicazione. Vedo
quindi una certa disillusione in una parte dell’elettorato di Martelly. Mentre
altri continuano a difenderlo strenuamente. Poi ci sono gli oppositori che lo
criticano alla radio e gli fanno perdere consensi. Alcuni analisti sostengono
che il presidente non vuole le elezioni adesso perché ha paura di perdere.
Mentre lui vuole avere tutti i dieci posti da senatore e tutti i sindaci».

E
questo programma di sviluppo del Nord?

«Nel paese ci sono ancora molti problemi e non si sente
la volontà a risolverli. Nonostante alcuni eventi spettacolari, come
l’inaugurazione del parco industriale di Caracol.

L’idea è di fare al Nord del paese un polo economico.
Questo tramite tre elementi: un aeroporto a Cap Haitien (seconda città del
paese, ndr), che è diventato internazionale, una zona industriale nella
baia di Caracol e il progetto di un porto non lontano.

Sviluppare l’economia nel Nord attraverso l’industria
manifatturiera e turismo. La zona industriale inaugurata dovrebbe impiegare
37.000 persone in 3 anni. Adesso sono 1.000 i posti di lavoro creati. Oltra a
tutto questo hanno attivato una sezione universitaria del Nord che dipende
dall’Università di stato.

Le critiche sono che l’opzione della manifatturiera per
sviluppare il Nord non può essere sul lungo termine. Inoltre per fare la zona
industriale sono state cementificate terre agricole, togliendole alla
produzione di cibo e, d’altro lato, non è stata presa alcuna misura sui rischi
sociali e ambientali che un’operazione di questa portata può avere. Ad esempio
la creazione di bidonville, che si sono sempre formate nei pressi di
queste strutture.

Quali
sono i punti deboli della classe politica haitiana?

«Uno dei problemi centrali ad Haiti è che uomini e donne
politici haitiani, al potere o all’opposizione, non riescono ad analizzare,
constatare e accettare i rapporti di forza. Ma questo è necessario per il
dialogo politico. Se si avesse questa coscienza, si potrebbero fare sforzi per
costruire qualcosa, anche negoziando. E si prenderebbero disposizioni per
migliorare la propria posizione di forza, facendo un lavoro sul terreno.

Anche per questo motivo i partiti politici ad Haiti non
si costruiscono alla base, ma tramite l’accesso ai media: parlando alla radio. Invece
il partito va costruito con un lavoro di militanti, mettendo in piedi le
strutture, organizzando la base. La comunicazione è qualcosa in più che
permette di esprimersi; non organizza, piuttosto anima».

Cosa
bisognerebbe fare oggi ad Haiti?

«Vedo
la via di uscita in questo senso: strutture che accettino di costruirsi con un
lavoro sul terreno, e solo in un secondo tempo sviluppare le influenze a
livello pubblico.

Un
leader carismatico non risolve i problemi. È vero, occorre una voce
credibile che abbia séguito, ma anche costruire una militanza dalla base.

Uno
dei ruoli essenziali per i partiti politici, movimenti sociali e le strutture
popolari, è riprendere il lavoro di educazione popolare e di educazione civica.
Quanto era stato fatto prima del 1986. Dopo le crisi tutte le risorse sono
andate perdute, in particolare con il colpo di stato del ‘91, buona parte dell’élite
popolare è stata uccisa o è andata in esilio. Possiamo dire che abbiamo perso
quel lavoro.

Bisogna
ricominciare a riorganizzare i contadini, i partiti popolari, a educare la
gente sulle ideologie politiche. Cos’è la destra, cos’è la sinistra. Perché sul
terreno oggi non c’è alcun riferimento ideologico o a dei valori.

È
un ruolo importante, alcune associazioni lo stanno assumendo, ma non è la
tendenza dominante. L’incertezza economica, la precarietà hanno influito sui
settori sociali, hanno fatto si che tutti siano preoccupati di cosa succederà
domani.

I
movimenti sociali continuano a esistere e vedo una nuova cornordinazione tra
organizzazioni contadine, tra quelle delle donne e tra sindacati. Anche la
nascita di questi piccoli partiti politici: sono tutti segnali interessanti».

Marco Bello

Marco Bello

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