GERUSALEMME: ombelico del mondo

«Che gioia, quando mi dissero: “Andiamo alla casa di Dio”. Ora i miei passi si fermano alle tue porte, città di pace» (Sal 121). Così cantava estasiato il pio israelita, quando, dopo un lungo viaggio raggiungeva il Monte degli Ulivi e poteva finalmente contemplare la città santa. Sarà stato anche il canto di Gesù, quando si recava a Gerusalemme per le grandi feste; un canto concluso con un pianto: «Gerusalemme, Gerusalemme… quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali» (Luca 13,34).
Dal Dominus Flevit, la chiesetta che ricorda tale pianto, la visione di Gerusalemme conserva intatto il suo fascino e mistero. Il panorama di cupole, campanili e minareti attesta la sua singolarità: città unica e universale, dove i fedeli di tre monoteismi possono rivolgersi all’unico Dio. Gerusalemme è il centro dell’ebraismo, è il centro del cristianesimo e dal VI secolo è per l’islam «la Santa» (Al Quds). 
Nelle sue vicende storiche, spesso drammatiche, Gerusalemme è stata la città dell’incontro e continua a essere tale. È stata definita ombelico del mondo (Ezechiele 38,12); è stata cantata da salmisti e profeti quale patria spirituale e universale, in cui tutti i popoli sono chiamati a riconoscersi fratelli, anche i nemici tradizionali come Egitto e Babilonia, a causa dell’origine comune: «Raab e Babilonia… Palestina, Tiro ed Etiopia: tutti là sono nati. Si dirà di Sion: l’uno e l’altro in essa sono nati e lui, l’Altissimo, la mantiene salda. Il Signore registrerà nel libro dei popoli: là costui è nato. E danzando canteranno: sono in te tutte le mie sorgenti» (Salmo 87,4-7).
Vista dall’alto, al momento del tramonto, Gerusalemme diventa tutta d’oro, come se si specchiasse nella città gemella che attende di scendere dall’alto dei cieli e fondersi con la città terrena, come scrive l’Apocalisse. Terrena e celeste, storica e trascendente, materiale e spirituale, temporale e mistica… Gerusalemme è una realtà bipolare, possiede due volti, come ricorda il suo nome ebraico (Jerushalayim è forma duale); una duplice dimensione in perenne tensione dialettica: la Gerusalemme storica richiama quella celeste e la Gerusalemme celeste attrae quella storica e, con essa, attrae tutta la storia umana.

Gerusalemme città dell’incontro o semplicemente città della coesistenza? Un dilemma drammatico che affiora ogni volta che ci si ferma a osservare anche superficialmente il turbinio di lingue, culture, rumori, colori, vestiti e comportamenti che riempiono le stradine della città vecchia: i passi veloci dei rabbini che si recano al Muro e quelli lenti dei musulmani apparentemente senza meta; pellegrini cristiani che pregano ad alta voce a una stazione della via crucis, mentre il bottegaio fuma indifferente il suo naghilé; fogge di monaci ortodossi e suore cattoliche che s’incrociano senza guardarsi; e poi soldati che sembrano bivaccare a ogni angolo delle strade… Ciascuno vive nel suo mondo; mondi differenti che coesistono, l’uno accanto all’altro.
Sotto la scorza di tale coesistenza si celano fortissime tensioni, prima di tutto tra ebrei e palestinesi, che spesso si tramutano in proteste e scontri, e conseguenti repressioni. Tensioni fra le tre religioni monoteistiche e perfino all’interno di ciascuna di queste religioni; tensioni che pervadono anche i fedeli delle varie chiese cristiane.

Nonostante le contraddizioni della sua storia passata e presente, Gerusalemme continua a essere simbolo di tutte le attese e speranze umane. E per rispondere a tali attese è indispensabile che ebrei, cristiani e musulmani realizzino quei valori che concordano nel riconoscere come divini: frateità, amore, giustizia, pace. 
La città senza più né pianto, né lutto, né dolore, della perfetta giustizia e libertà è dono di Dio, è profezia; al tempo stesso è pure sfida e impegno umano. Da Gerusalemme la tradizione delle tre religioni vuole che parta e si concluda la storia della salvezza del genere umano.

di Benedetto Bellesi

Benedetto Bellesi

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