Tibhirine: 10 anni dopo

Nel mese di maggio 1996, a Tibhirine in Algeria, 7 monaci trappisti venivano uccisi da una banda di integralisti islamici. La loro presenza in terra d’Algeria era da anni contrassegnata da un profondo anelito di preghiera e da una delicata amicizia verso il popolo umile e semplice con cui condividevano la vita di ogni giorno. A 10 anni di distanza, fare memoria di questi martiri cristiani è un dovere essenziale da parte nostra, per evitare che la dimenticanza del loro martirio annacqui il cammino di dialogo aperto da questi silenziosi testimoni del vangelo di Gesù.
Sulla scia del loro sacrificio, altri uomini e donne hanno pagato la fedeltà al messaggio evangelico nel mondo islamico: nello stesso periodo fu ucciso il vescovo di Orano, mons. Pierre Claverie; successivamente la laica italiana Annalena Tonelli veniva assassinata in Somalia nell’ospedale che essa stessa aveva costruito per alleviare le sofferenze della povera gente; ultimo, ancora fresco di memoria, lo scorso febbraio, a Trebisonda in Turchia venne ucciso il sacerdote italiano fidei donum don Andrea Santoro. Solo restando in contemplazione di questi nomi, ci prende un senso di sgomento: a cosa serve la nostra presenza in terra islamica, se il prezzo da pagare è quasi inevitabilmente quello del martirio?
Per una serena e approfondita riflessione su questi avvenimenti, forse vale la pena prendere l’avvio dal precursore del dialogo con il mondo islamico: Charles De Foucauld. In tempi in cui la parola ecumenismo non era ancora stata coniata e il dialogo con altre religioni non aveva ancora fatto i primi passi, con una scelta coraggiosa egli si stabiliva a Tamanrasset, nel cuore del deserto del Sahara, e attraverso una presenza discreta, umile, poco appariscente, dava inizio a un solco di evangelizzazione con i tuareg del deserto di cui solo adesso si cominciano a vedere i primi frutti.

Siamo di fronte a uno stile missionario radicalmente diverso, che per certi versi ci coglie impreparati. Quando si evoca la missione o si parla di terzo mondo, immaginiamo quasi sempre la povera gente che bisogna aiutare, offrendo quelle strutture (scuole, ospedali, servizi sociali, ecc.) di cui a nostro avviso avrebbero bisogno per uscire dalla loro povertà. Non ci sfiora minimamente il dubbio che il primo approccio con gente diversa per lingua e cultura vada fatto secondo lo stile indicato proprio da questi testimoni, con una presenza nel cuore del vissuto delle persone, discreta e silenziosa, caratterizzata da un intenso e fecondo dialogo con Dio.
Già i contemporanei di Charles De Foucauld percepirono il nuovo stile di dialogo, quello, cioè, di un uomo profondamente innamorato del suo Dio, tale da doverlo contemplare di fronte all’immensità del deserto, nel cuore di un popolo che, apprezzandone la discrezione, non esitò a qualificarlo come «marabutto», cioè santo. Nella stessa scia si sono mossi i trappisti di Tibhirine, Annalena Tonelli e don Andrea Santoro: essi hanno indicato a una cristianità sonnolenta e distratta quale sia il futuro che attende un cristianesimo sempre più minoranza, senza più garanzie foite da una società cristiana e quindi intraprendere un itinerario di ascesi e dialogo, dove l’essenzialità del messaggio evangelico rifulga proprio attraverso l’adesione alla vita di Cristo.
Poco prima di morire, fratel Christian scriveva: «L’insicurezza? È una grazia di fede. La più scomoda per chi pensa solo a dormire. La più adatta alla vigilanza… A Cristo è stato proposto di scegliere tra due stabilità: il trono o la croce. Ha scelto la croce: ne ha fatto il suo trono, lo sgabello del suo regno. Purtroppo nel corso della storia, la chiesa ha spesso preferito il trono. Soprattutto dopo che l’editto di Costantino ha reso la croce più diffusa e il trono più complice». Queste parole vergate da un martire dei nostri tempi, non sono solo un monito per ogni cristiano, ma indicano una strada ai fratelli e sorelle nella fede, essere battezzati è una cosa seria e scegliere di vivere in pienezza il proprio cristianesimo, può avere come conseguenza anche il martirio.
Riscoprire queste ricchezze perdute, ci aiuta a essere grati a quella folta schiera di testimoni di ogni lingua, razza, popolo e nazione, che hanno versato il loro sangue per l’attaccamento al vangelo di Cristo e per la fedeltà all’uomo di ogni tempo. Cercando di rendere il nostro cristianesimo più comodo, lasciandoci attrarre dal potente di tuo nel suo palazzo, ricercando privilegi e esenzioni, alla lunga può essere più pericoloso e più deleterio per una sincera, onesta e corretta vita cristiana. Lasciarci condurre per mano da questi testimoni, sulle strade aspre e difficili del dialogo, può essere davvero un modo nuovo per vivere la nostra fede.

Mario Bandera

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