Fra intrighi e quisquiglie

Nel secolo V l’impero romano si divide:
quello d’Oriente sopravvive per altri
dieci secoli, ma quello d’Occidente
tramonta, sotto l’incalzare dei «barbari».
Successivamente in Europa nasce
la «cristianità»: una forma di società
in cui la vita religiosa e politica
si amalgamano in un’unica fede
religiosa. Ma, dopo mille anni di evangelizzazione, mentre l’islam cancella
le comunità cristiane in Africa e Medio Oriente e minaccia l’Europa, la chiesa
latina e la chiesa orientale si scomunicano
a vicenda. Un pessimo affare per tutti.

Nuova era missionaria

Il V secolo segna una svolta epocale nella storia europea. L’impero romano è definitivamente spaccato in due. L’impero d’Oriente, con capitale Bisanzio, sopravvive per altri dieci secoli; ma quello d’Occidente muore nel 476, schiacciato dalle invasioni di popoli che i romani chiamano «germani» e i greci «barbari». Roma è più volte messa a ferro e fuoco. Papa Leone Magno cerca di salvare il salvabile. Ogni gruppo etnico si ritaglia il proprio regno; l’unità dell’impero è frantumata.
«È la fine del mondo» balbettano i cristiani, vedendo la città eterna calpestata da Alarico. «Tutta colpa dei cristiani, che hanno distrutto i nostri dei» rispondono gli ultimi pagani incalliti. San Gerolamo piange sulle rovine romane. Agostino, vescovo di Ippona, cerca di dare un senso a tale apocalisse: passano i regni, Roma compresa, spiega nel suo capolavoro La città di Dio; «in mezzo a queste impalcature provvisorie l’Architetto (Dio) sta costruendo la città futura, che non cadrà mai».
«Non dovremmo accogliere i germani nelle nostre chiese?» si domanda lo storico Orosio, amico di Girolamo e Agostino. Passato lo stordimento, papi e vescovi si adoperano per integrare gli invasori nella vecchia società e nella chiesa. I barbari, da parte loro, eccetto i vandali, apprezzano la civiltà romana, ne accolgono la struttura politica e l’unità spirituale e culturale operata dalla chiesa e dalla romanità.
L’attività missionaria riprende con nuovo slancio, e si prolunga per oltre otto secoli, su diversi fronti: diffusione del vangelo nelle zone rurali; evangelizzazione dei nuovi arrivati; riconquista degli eretici alla fede cattolica. Varie popolazioni, infatti, professano il cristianesimo nella versione ariana, come i visigoti, ostrogoti, vandali, svevi, burgundi, turingi e parte dei longobardi. Franchi, angli e sassoni sono rimasti pagani.
A prima vista la fede ha poca speranza di penetrazione: il cristianesimo richiede un’adesione personale, mentre questi popoli hanno reazioni sempre collettive, seguendo in blocco ordini ed esempi dei propri capi. Ma basta convertire il re, e i sudditi lo seguono al fonte battesimale come sul campo di battaglia. Un metodo di evangelizzazione che per molti secoli sarà privilegiato.
Sotto la pressione di spose cattoliche, vescovi e popolazioni, tutti i principi ariani passano a poco a poco alla chiesa romana. Il re dei visigoti di Spagna, per esempio, fa giustiziare il figlio Ermenegildo, perché si è fatto cattolico (585); ma l’altro figlio, Reccaredo, salito sul trono, si converte al cattolicesimo con tutta la popolazione (587).

Conversione dei franchi

Esemplare è la conversione della Francia, «figlia primogenita della chiesa cattolica». Il re dei franchi, Clodoveo (465-511), si mostra aperto alla fede cristiana, grazie all’influenza della sposa cattolica Clotilde e del vescovo Remigio. L’argomento che determina la sua conversione è per lo meno singolare, ma di un certo peso per quei tempi: il re invoca il Dio dei cristiani e giura di convertirsi a lui se si mostrerà più forte degli dei del popolo nemico. Clodoveo vince e, nel natale del 496, a Reims, si fa battezzare da Remigio, insieme a 3 mila soldati.
I vescovi vedono in Clodoveo un nuovo Costantino e legano le sorti della chiesa a quelle del regno franco, a spese di altri capi barbari: burgundi, bavari e turingi. Avito, vescovo di Vienne, legge tale battesimo con tono profetico: un re franco sarà il successore dei romani imperatori e la cristianizzazione dell’Europa sarà opera dei franchi.
Lo stesso Avito attrae i burgundi dall’arianesimo alla fede cattolica, conquistandosi la fiducia del principe Sigismondo, che si converte nel 500, seguito dai suoi sudditi. Nel 532 i burgundi si uniscono al regno franco, formando un solo popolo.
La profezia di Avito aspetta per tre secoli: nel natale dell’800 Carlo Magno viene dal papa solennemente incoronato «imperatore dei romani». Con zelo infaticabile, Carlo Magno e i suoi successori riportano gran parte dell’impero d’Occidente sotto il controllo del «Sacro romano impero», cristianizzando i popoli che via via vengono sottomessi. Spesso i popoli vinti non hanno alternativa: la fede o la morte. Il metodo non ha nulla di evangelico. Ma questi sono i tempi che corrono.
La stretta collaborazione tra i re franchi dilata la chiesa geograficamente, a scapito del radicamento del vangelo nella vita dei nuovi battezzati, monarchi compresi. L’acqua del battesimo non cancella la slealtà di Clodoveo, che fa uccidere i suoi parenti: lo zelo di Carlo Magno, monarca geniale e analfabeta, fa arricciare il naso perfino al papa e provoca le rimostranze del consigliere Alcuino, che gli ricorda un precetto di s. Agostino: «La fede è atto della volontà e non di costrizione».
A lavorare in profondità saranno i monaci.

Pellegrini per Cristo

M entre i monaci orientali si ritirano nel deserto, lontano dalla società, quelli occidentali vanno a vivere in mezzo alla gente, svolgendo un’azione missionaria completa: evangelizzazione in senso stretto e promozione umana. Vivendo come i contadini, essi ne conoscono la psicologia, adattano il cristianesimo al loro genere di vita e cristianizzano molti aspetti religiosi e culturali dei pagani.
Vari ordini monastici, con diverse regole, sorgono in Francia, Irlanda e Inghilterra. Tra i più benemeriti va annoverato quello fondato a Montecassino, nel 520, da Benedetto da Norcia. Ramificandosi in tutta l’Europa e fedeli al motto ora et labora, i benedettini semineranno vangelo, progresso e civiltà.
A mano a mano che i monasteri vengono fondati, la fede e la vita cristiana vengono consolidate nella regione circostante e i monaci partono per nuove imprese missionarie tra i non cristiani, mediante frequenti spostamenti in varie parti d’Europa. Sono i «pellegrini per Cristo», un movimento apostolico che diventa storicamente efficace grazie soprattutto agli irlandesi.
La loro evangelizzazione non è programmata, né guidata dall’alto. Tuttavia i campi di azione appaiono distinti chiaramente, a seconda della provenienza dei missionari. I monaci franchi e irlandesi si espandono prevalentemente nel centro-nord del regno franco, fino alle regioni della Baviera. Gli anglosassoni si dedicano all’evangelizzazione dei frisoni e degli stessi sassoni.

Irlanda evangelizzata ed evangelizzatrice

N on sfiorata dalla colonizzazione romana né dalle invasioni barbariche, l’Irlanda diventa totalmente cristiana per opera del monaco bretone Patrizio. Per 30 anni, con zelo infaticabile, egli fonda monasteri, punti di riferimento della vita religiosa e culturale del paese. Nella sua attività apostolica ha una geniale intuizione: associare i bardi (poeti e maestri di scuola) all’annuncio del vangelo.
Ne nasce una chiesa dai tratti originali, ma fieramente cattolica. L’abate è spesso anche il vescovo; alcuni elementi della liturgia, come la confessione privata, passeranno alla chiesa universale; la vita cristiana è solida e rigorosa. L’Irlanda sarà chiamata «l’isola di santi».
Una delle pratiche ascetiche dei monaci irlandesi è la «peregrinazione per Cristo». Essi si spargono presto nella Bretagna e poi in tutto il continente: da evangelizzati diventano evangelizzatori. Tra questi itineranti, il più famoso è Colombano: predica il vangelo e fonda monasteri in Francia, Svizzera e Italia.

Missione in Inghilterra

U n altro monaco, discepolo di s. Benedetto, diventato papa Gregorio Magno, si lancia nell’organizzazione missionaria: s’interessa della chiesa in Lombardia, Spagna e regno franco; ma prende a cuore, soprattutto, l’evangelizzazione della Gran Bretagna.
In buona parte già romanizzata e cristianizzata, l’isola è ripiombata nella barbarie: l’invasione di angli, juti e sassoni ha cancellato ogni traccia di cristianesimo. Nel 596 papa Gregorio vi invia 40 monaci, guidati dall’abate Agostino. L’anno seguente, a pentecoste, i missionari battezzano Etelberto, re di Kent, insieme alla sua corte; a natale 10 mila sudditi. A Canterbury Agostino costruisce la sede episcopale.
Per accelerare l’azione missionaria e l’organizzazione della chiesa, il papa manda altri missionari e alcune direttive, in cui si trovano i primi elementi della dottrina missionaria pontificia: evangelizzare non significa capovolgere le tradizioni nazionali; le usanze vanno cambiate in feste cristiane; distruggere gli idoli, ma non i templi, da usare eventualmente per il culto cristiano; imparare le lingue delle popolazioni locali.
Il nuovo metodo, ben lontano da quello distruttivo dei re franchi e dei monaci irlandesi, porta ottimi frutti. Alla morte di Agostino (605) gran parte dell’isola è cristiana. Roma invia un altro gruppo di missionari (657) e la riunificazione religiosa e politica del paese è completata.
L’Inghilterra è la prima nazione passata alla chiesa per iniziativa papale. Per molti secoli, monaci, principi e vescovi continueranno a evangelizzare l’Europa senza mandato né programmi specifici, per iniziativa privata e in modo un po’ anarchico, anche se poi, a cose fatte, tutti si premurano d’avere l’approvazione pontificia.

Dalla Germania i popoli scandinavi

A nche l’Inghilterra da evangelizzata diventa evangelizzatrice e continua la cristianizzazione avviata dai franchi in Germania. Comincia Vilfrido, abate di Ripon e vescovo di York: in viaggio per Roma, converte alcuni capi della Frisia (Paesi Bassi). Tornato in patria, manda il monaco Villibrordo, che converte la regione di Utrecht. Quindi passa in Danimarca, Turingia e Lussemburgo.
Nel 716, a 40 anni suonati, arriva nella Frisia anche il monaco Winfrido. Il primo tentativo missionario è deludente. Il monaco chiede aiuto a Roma, dove viene consacrato vescovo (622) e, col nome di Bonifacio, rimandato dal papa tra i frisoni.
Per tre anni Bonifacio affianca l’attività di Villibrordo; poi passa in Turingia, Assia e Baviera, fondando monasteri maschili e femminili. Organizza la chiesa tedesca, introducendo le parrocchie, riformando la vita spirituale del clero e fondando nuove diocesi, affidandole a vescovi anglo-sassoni.
Nel 732 Bonifacio è nominato vescovo di tutta la Germania, con sede a Magonza. Per mandato pontificio riorganizza la chiesa in Francia, ottenendo dai vescovi la professione collettiva di fede cattolica e la sottomissione a Roma per tutta la vita.
Bonifacio si distingue anche per il metodo missionario, ben lontano da quello dei suoi colleghi irlandesi. «Bisogna illuminare le intelligenze – dice -, procedere con argomenti opportuni e far sì che i pagani espongano le loro credenze». E dialoga anche con gli amici lasciati nella chiesa di origine: questi accompagnano la sua attività missionaria con preghiere, consigli e aiuti materiali (denaro, oggetti sacri, manoscritti della bibbia).
Quasi ottantenne Bonifacio ritorna al primo amore: l’annuncio diretto del vangelo ai pagani. Ritorna nella Frisia dove muore martire insieme a 42 compagni (754).
Al di là delle frontiere del Sacro romano impero, tra il Baltico, i Balcani e gli Urali, scorrazzano paurosamente grandi masse popolari. Per la chiesa si presenta un’altra occasione di evangelizzazione. I monaci anglosassoni accorrono tra le popolazioni baltiche e scandinave. Dalla Sassonia il monaco-maestro Ansgario (Oscar 801-865) raggiunge la Danimarca e poi la Svezia, ove nessun missionario è mai arrivato. Nominato da Gregorio IV vescovo di Amburgo (831) e legato pontificio per gli slavi e i popoli dei paesi nordici, lavora indefessamente per convertirli a Cristo. Ottiene buoni risultati. Ma tutto viene distrutto dalle invasioni dei normanni (845). Ridotto a vita raminga, Oscar riprende la sua missione: fonda la chiesa in Svezia e raggiunge la Scandinavia.
Dopo alcuni decenni, la missione di Oscar è ripresa dal monaco Unni (936). Il nuovo arcivescovo di Amburgo converte Harald, re della Danimarca (950). Alcuni anni dopo Olaf, re di Norvegia, abbraccia la fede cristiana (1026), lotta contro i ribelli pagani e muore in battaglia, diventando sant’Olaf (1030). L’Islanda si fa cristiana verso il 1000, seguita dalla Svezia e Groenlandia.
L’evangelizzazione dei paesi scandinavi è complessa e confusa. La creazione di diocesi è lentissima; ancor più lento l’abbandono delle abitudini pagane, come esposizione di neonati, divorzio, concubinaggio e pirateria.

Evangelizzazione dei popoli slavi

Sia la chiesa di Roma che quella di Bisanzio sono coinvolte nell’evangelizzazione dei popoli slavi. Questi vengono divisi in tre grandi gruppi: slavi meridionali (croati, sloveni, serbi, bulgari), slavi occidentali (moravi, boemi, cechi, poloni), slavi orientali (russi, ungari).
Croati e sloveni, confinanti con l’impero franco, sono i primi a entrare nella chiesa latina, nel secolo VIII, grazie ai missionari inviati dalle diocesi della Sassonia e di Aquileia. Presso i serbi arriva la chiesa di Bisanzio. I bulgari accolgono i missionari dalla chiesa di Roma.
Anche gli slavi occidentali sono tra i primi a ricevere il cristianesimo: a metà del IX secolo, 14 dei loro principi sono già battezzati. Ma nell’862, Ratislao, principe di Moravia, caccia i preti latini e chiede a Bisanzio missionari che parlino la lingua slava. Imperatore e patriarca mandano due fratelli di Tessalonica, Cirillo e Metodio.
Questi arrivano nell’863 e mettono a punto l’alfabeto glagolitico (ispirato alle minuscole del greco) e traducono in slavo i libri biblici e liturgici. L’uso della lingua slava nella liturgia, permessa dalla chiesa bizantina, favorisce l’attività missionaria dei due fratelli e l’espansione della chiesa orientale. In Occidente, invece, i preti franchi s’incaponiscono nel sostenere che non ci si possa rivolgere a Dio con una lingua barbara, ma solo con le lingue usate sulla croce di Gesù: ebraico, greco e latino.
Dalla Moravia, i due fratelli sono accolti con entusiasmo dagli slavi di Pannonia (parte dell’attuale Ungheria). Ma il clero sassone rende loro la vita dura. Dopo una serie di contatti con Roma, Metodio ottiene da Giovanni VIII l’approvazione ufficiale della liturgia slava (880). Cinque anni dopo, alla morte del grande missionario, il clero latino torna alla carica e Stefano V si rimangia la concessione. I discepoli di Metodio si rifugiano in Bulgaria.

Intanto missionari boemi portano la fede tra i polacchi e magiari (o ungheri). In occasione del matrimonio con la principessa boema Dubrawka, il principe Mieszko viene battezzato da Adalberto, vescovo di Praga: nasce la chiesa e lo stato polacco (966). Benedettini e camaldolesi consolideranno la chiesa in Polonia.
Venti anni dopo lo stesso Adalberto battezza il duca di Ungheria Geisa e suo figlio Stefano (985). Gli ungari si convertono in massa. Ma lo sviluppo della vita ecclesiale avviene sotto il regno di Stefano, che riceve la corona regale da papa Silvestro II (1001) e il titolo di «re apostolico». Alla sua morte il popolo torna alla vita pagana, fino a odiare il cristianesimo; ma la comunità cristiana riprende vita sotto Bela I (1061-1063).
Nel secolo IX i missionari bizantini portano il vangelo anche agli slavi orientali: i russi. La presenza cristiana si fa più consistente un secolo dopo, quando la principessa Olga, vedova di Igor, principe di Kiev, si fa battezzare a Costantinopoli (975). Ma sono i contatti con la Bulgaria che imprimono una svolta all’evangelizzazione dei russi. Affascinato dalla liturgia bizantina, il principe Vladimiro, nipote di Olga, e i suoi sudditi si fanno battezzare in massa nel fiume Dnieper. Nasce la chiesa della Russia, che adotta la liturgia in lingua slava. Da Kiev il cristianesimo si estenderà fino agli Urali.

La chiesa lacerata

Dopo mille anni di evangelizzazione, il cristianesimo si estende dall’Atlantico agli Urali e diventa l’unica religione dell’Europa. Nonostante tutti gli sconvolgimenti, la chiesa riesce a salvare l’eredità di Roma: universalità e civiltà dell’impero romano vengono integrate efficacemente nella cultura dei popoli germanici. Stato e chiesa procedono mano nella mano. È nata la «cristianità»: forma di società in cui la vita religiosa e politica di una moltitudine di popoli è amalgamata dalla fede cristiana.
Nel frattempo, però, la chiesa universale ha perso enormi pezzi sotto l’avanzata dell’islam. In tutta l’Africa mediterranea, dal Marocco all’Egitto, la chiesa è cancellata. In Asia la mezzaluna sventola sulla penisola arabica, Palestina, Siria, Mesopotamia, Persia, Armenia, Turkestan e India anteriore. Poche comunità cristiane riescono a mantenere la loro fede, disperse ed isolate nell’impero islamico.
I musulmani hanno cercato di espandersi anche in Europa, attaccando Costantinopoli e invadendo la Spagna, rimasta cattolica solo nelle Asturie.
Ancor più doloroso è il dramma che si consuma all’interno della chiesa: sette secoli di quisquiglie teologiche (in cui i bizantini sono maestri) e di intrighi politici… avvelenano i rapporti tra Oriente e Occidente, in un’altalena di dissapori e abbracci, dissidi e riconciliazioni, scontri e concili ecumenici. Finché nel 1054, in un ennesimo e svogliato tentativo di comporre vertenze antiche e nuove, il patriarca di Bisanzio, Michele Cerulario, e il legato del papa Leone IX si scambiano reciproche scomuniche.
È lo scisma d’Oriente. Nasce la chiesa ortodossa, cioè la chiesa che si contrappone a quella latina, ritenuta eretica. L’oriente cristiano si stacca da Roma, trascinando nello scisma tutte le chiese dell’Asia Minore, delle regioni del Caucaso, la Grecia, la Russia e vari paesi balcanici.

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