Congo Brazzaville lo spettro della guerra

Focus sulla repubblica del Congo: petrolio, legname e diritti /2

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Congo Brazzaville
Marco Bello

Per la gente del Congo Brazzaville l’ultimo anno è stato particolarmente difficile. Ha visto una modifica costituzionale e un’elezione, entrambe fortemente contestate. La coscienza civica e democratica è elevata, ma la risposta del potere è la repressione. E il sistema tende a fagocitare lo stato di diritto.

È il 30 settembre scorso, quando un gruppo di armati assalta il treno che corre tra la capitale, Brazzaville, e Pointe Noire, città costiera, ritenuta la capitale economica della Repubblica del Congo. Quattordici sono i morti. Nello stesso periodo si verificano altri attacchi con vittime, tutti nel dipartimento del Pool, regione da sempre «calda» nel Sud del paese. I media parlano della rinascita di una guerriglia, e il ministro della Giustizia si affretta a dire che si tratta di ex miliziani ninja-nsiloulou, noti dalla guerra civile (1999-2003). Ma la questione resta controversa e i dubbi sono molti.

Intanto i vescovi del Congo Brazzaville, nel loro messaggio conclusivo della 45esima assemblea plenaria (10-16 ottobre) chiedono, tra l’altro: « […] ai nostri responsabili politici di operare nel senso del dialogo, allo scopo di un ritorno definitivo della pace in Congo in generale e nel Pool in particolare. Lo stato prenda le sue responsabilità di garante della pace e dell’unità nazionale».

Ma cosa è successo negli ultimi mesi nella Repubblica del Congo? Si è davvero preparata una nuova guerra? E quali le cause? Occorre fare un passo indietro.

Il paese del presidente

Denis Sassou Nguesso è presidente della Repubblica del Congo dal 1979. Fa eccezione il periodo di presidenza di Pascal Lissouba dal 1992 (tramite elezione) al 1997 anno in cui Nguesso riprende il potere con la forza. È la fine della prima guerra civile. Sarà poi eletto nel 2002 e 2009.

La Costituzione del Congo, nella sua revisione del 2002, prevede due soli mandati presidenziali di sette anni per la stessa persona, e un limite di età di 70 anni. Nguesso, 71 anni, alle elezioni del 2016 ha due impedimenti per succedere a se stesso. Ma è una vecchia volpe, e, come ci dice un giornalista congolese, «un seguace di Machiavelli. È bravo a creare situazioni strane per controllare tutto e tutti».

Fin dal 2013 il presidente trama per organizzare un referendum di modifica costituzionale, che è annunciato nel 2014 e si realizza il 25 ottobre 2015. Le manifestazioni organizzate contro il referendum dai movimenti della società civile e dall’opposizione sono represse nel sangue: almeno quattro i morti e numerosi gli arresti tra i leader dei militanti anti Nguesso.

Diritti umani cercasi

«La situazione dei diritti umani in Congo è da sempre preoccupante ma dal 2013 a oggi assistiamo a un peggioramento totale», ci dice Trèsor Nzila, direttore esecutivo dell’Observatornire Congolais pour les Droits de l’Homme (Ocdh), autorevole organizzazione di difesa dei diritti umani con base a Brazzaville, raggiunto telefonicamente. «Assistiamo a un’intensificazione della repressione delle libertà politiche. Sono finiti in carcere una cinquantina di prigionieri d’opinione, come diversi membri dell’opposizione. I giornalisti che hanno linea editoriale critica rispetto al deficit di democrazia sono sanzionati a più riprese dal Consiglio superiore per la libertà di comunicazione. I difensori dei diritti umani sono minacciati; i movimenti sindacali sono attaccati. La giustizia è strumentalizzata. Le forze di polizia torturano, uccidono e reprimono le manifestazioni pubbliche in totale impunità. Non c’è un settore dei diritti umani in cui si può dire che ci sia un miglioramento».

Il referendum fa il suo corso e il risultato, contestato da opposizione e società civile, introduce una modifica della Costituzione, rendendo il presidente Sassou rieleggibile.

«In Congo la nuova Costituzione è stata imposta con la violenza alla popolazione», ci racconta un altro attivista dei diritti umani, di Pointe Noire. «Questo referendum aveva carattere politico, ma quello di cui il popolo aveva bisogno non era il cambiamento costituzionale affinché il presidente rimanesse lo stesso, quanto piuttosto l’avere dei dirigenti scelti dagli elettori, che governano in modo responsabile, rendendo conto del loro operato. Un governo che risponda alle aspirazioni della popolazione in termini di rispetto delle libertà e in particolare dei diritti economici e sociali», continua la nostra fonte, che chiede l’anonimato. «La Costituzione com’è oggi non è stata votata dalla maggioranza della popolazione. La prova è che i congolesi che si sono opposti a questo processo sono stati repressi nella violenza. È stato un vero colpo di stato istituzionale».

Le elezioni precotte

Il 20 marzo 2016 è il giorno delle elezioni. Denis Sassou Nguesso – chiamato monsieur huit pour cent (signor otto per cento), perché si diceva che non avrebbe avuto più dell’8% – capisce di essere in svantaggio. Come sua abitudine «ha comprato parte dell’opposizione e parte della società civile. Chi resiste riceve intimidazioni. Oggi a Brazza se sei nell’opposizione che il potere chiama “radicale”, vieni arrestato arbitrariamente e imprigionato, o muori in condizioni strane, avvelenato, nella tua casa incendiata. Diversi attivisti sono morti così», ci racconta una giornalista che ora vive in esilio e chiede l’anonimato.

«La gente è andata a votare in massa, sperava nel cambiamento, perché c’era stato un lavoro per sensibilizzare la popolazione alla partecipazione. Era pure addestrata a sorvegliare il proprio voto», ci spiega Christian Mounzeo, presidente del Rencontre pour la paix et les droits de l’homme (Rpdh). Ma il governo impone il black out delle comunicazioni interrompendo collegamenti telefonici, messaggistica e internet per 48 ore per pretese misure di ordine pubblico, in realtà per impedire l’organizzazione di possibili rivolte. Un gruppo di 200 militanti viene disperso dalla polizia a seggi chiusi, perché vuole seguire lo spoglio.

Continua Mounzeo: «Sono rimasti fino a tardi nei pressi dei seggi per tentare di verificare il conteggio. Dalla somma dei risultati delle zone a maggiore densità di popolazione ci si accorge che il presidente non ha vinto. Ad esempio a Point Noire, la seconda città del paese (circa un milione di abitanti, ndr), Nguesso ha avuto una percentuale piuttosto bassa. Come anche a Brazzaville, dove la maggioranza della popolazione ha votato per Guy-Brice Parfait Kolelas (arrivato poi secondo con 15,05% di voti, ndr). Se si fa la somma anche con altre città del Sud, il presidente non può aver vinto a livello nazionale». Ma i risultati ufficiali, proclamati dalla Corte Costituzionale alle 3,30 di notte, il 4 aprile, confermano la vittoria di Nguesso al primo tuo con il 60,39% dei voti. Il terzo arrivato secondo i risultati ufficiali è l’ex generale Jean-Marie Michel Mokoko con quasi il 14% degli scrutini.

L’ex generale e il presidente

Mokoko, nel ‘92, quando era Capo di stato maggiore, si era opposto all’idea di golpe di Nguesso contro Lissuba per difendere la democrazia. Era poi rimasto agli alti livelli dell’esercito, ma la gente lo ricorda per la sua integrità e perché lo considera estraneo ai circuiti di corruzione.

Ricorda la giornalista: «A un certo punto la gente ha cominciato a sollecitare Mokoko, perché voleva un cambio nella gestione del paese, allora lui ha deciso di presentarsi, ma Sassou, non ha apprezzato. Durante la campagna elettorale c’è stato un sentimento di rinnovamento e di speranza per questa candidatura. Pur essendo un uomo del Nord (come il presidente, ndr), la gente lo voleva anche a Point Noire, e lo ha accompagnato ai comizi con molto calore. Quando ha depositato la sua candidatura, il numero di iscrizioni sulle liste elettorali è triplicato».

All’indomani della votazione, mentre a Brazzaville scoppiano disordini, Mokoko e altri esponenti dell’opposizione vengono arrestati. Per Mokoko le accuse sono gravi: attentato alla sicurezza dello stato, detenzione di armi e creazione di disordini. In pratica, secondo il regime, avrebbe tentato un colpo di stato. «Ma il dossier d’accusa è vuoto», sostiene la giornalista.

Toano i ninja?

L’opposizione ritiene che i risultati siano «rubati» e chiama la popolazione alla mobilitazione pacifica subito dopo la votazione.

Il 3 e il 4 aprile nei quartieri Sud di Brazzaville, uomini armati attaccano posizioni governative e si scatena uno scontro armato con le forze dell’ordine. I quartieri Sud, abitati da popolazioni del Sud del paese, sono sempre stati in opposizione al presidente Nguesso. Il governo denuncia subito un ritorno delle milizie ninja, all’epoca della guerriglia comandate da Frédéric Bintsamou, detto pasteur Ntumi.

Ma un altro militante dei diritti umani ci confida: «Non c’erano i ninja. Le ultime elezioni presidenziali dal punto di vista dell’opposizione sono state organizzate in modo civile. Anche alle manifestazioni, la gente era cosciente che qualsiasi sbavatura avrebbe dato adito al potere per dargli addosso. Inoltre, le manifestazioni si svolgevano sotto il controllo dell’esercito, della polizia. Ma ci sono delle milizie (filo governative, ndr) che hanno realizzato la repressione».

La giornalista ci spiega: «Il governo ha detto che erano stati i ninja ad attaccare, ma quando si incrociano le testimonianze, ci si rende conto che non è vero. L’attacco è cominciato la sera stessa della proclamazione ufficiale dei risultati. Delle informazioni dicono che erano milizie vicine al potere che hanno sparato per creare una diversione e poi proclamare la vittoria di Nguesso».

Si chiede Trèsor Nizila: «È una strategia per bloccare la mobilitazione che sarebbe seguita la proclamazione dei risultati?». In effetti oltre ad esercito e polizia, sono presenti diverse milizie che «suppliscono» a certi lavori che i corpi ufficiali non possono fare.

«Il potere compra tutti, a colpi di milioni. È facile comprare dei giovani. Ad esempio c’è un gruppo di ex ninja che aveva fatto alleanza con un deputato vicino al potere. Vengono chiamati il gruppo dei Douze apotres (dodici apostoli, ndr) e sono loro alla base degli attacchi del 4 aprile. Questo gruppo non è sotto Ntumi. E la gente non si riconosce con loro. Ho l’impressione che la popolazione sia presa in ostaggio, non ci sono vere rivendicazioni».

Repressione «scientifica»

È da sottolineare che una repressione selettiva nei quartieri Sud della capitale è iniziata fin dall’indomani del referendum dell’ottobre 2015. Una testimone ci racconta: «Nei quartieri Sud tutte le sere la polizia prelevava dei giovani, e della gente sospettata di militare nell’opposizione. Li bastonava e chiudeva nel commissariato quelli che resistevano, gli altri morivano per le botte e la polizia ha iniziato a gettare corpi nei quartieri o nel fiume. Ma tutti avevano paura e non dicevano niente».

In seguito agli scontri a Brazzaville, il 5 aprile scorso il governo manda gli elicotteri a bombardare la regione del Pool, storicamente contestataria. L’effetto è che almeno 5.000 persone lasciano le proprie case per rifugiarsi nella foresta.

Racconta la giornalista: «Hanno lanciato le operazioni ad aprile, con il pretesto di andare a prendere Ntumi e ucciderlo, ma da allora hanno isolato il Pool e bombardano tutti i giorni. Mons. Portella Mbuyu, vescovo di Kinkala, capoluogo del Pool, ha denunciato queste violenze. Anche se si cercano i ribelli, quando si bombarda è la popolazione che subisce. Hanno poi proibito alle Ong di andare sul posto, in modo da sigillare il dipartimento».

Inoltre, in questa zona passa la via di comunicazione più importante tra le due maggiori città del Congo: Brazzaville e il porto di Pointe Noire. Oggi la strada si può percorrere solo in convogli, mentre la ferrovia è bloccata dall’assalto al treno del 30 settembre. Così rifornire di merce Brazzaville è diventato difficile.

«Il potere dice che ex ninja di Pasteur Ntumi hanno attaccato posizioni dell’esercito. A nostro avviso non è una tesi credibile», sostiene il direttore dell’Ocdh. «Non ci convince perché Ntumi è stato integrato nel potere, come consigliere speciale del capo di stato fino alla vigilia di questi attacchi, dal 2007, quando ha lavorato con il presidente. E Nguesso non era al corrente che il suo collaboratore stava addestrando una milizia e si rifoiva di armi? Inoltre il dipartimento di Pool è un dipartimento sotto controllo totale ed effettivo dello stato. Non si capisce come le forze di sicurezza e i servizi segreti non sapessero cosa si stesse muovendo.

Hanno deciso di bombardare i villaggi per cercare un individuo, costringendo così cittadini poveri e traumatizzati a vivere nella foresta in condizioni difficili. Non sembra credibile per un governo che si rispetti e che si prenda cura della popolazione».

In effetti i ninja sono stati smobilitati dopo il 2007, mentre anche la città di Brazzaville è blindata dalle forze dell’ordine, per cui è difficile spiegare pure gli attacchi del 3 e 4 aprile.

Gli «amici» alla finestra

La Francia, gli Stati Uniti e l’Unione europea non hanno riconosciuto le elezioni. Ma, sempre secondo Nzila, «ho l’impressione che la comunità internazionale non voglia interessarsi alla situazione politica e dei diritti umani in Congo, nonostante sia molto preoccupante. Questo silenzio mi sciocca. È inammissibile che istituzioni come l’Ue e le Nazioni unite che promuovono i diritti umani, i valori democratici, lo stato di diritto, non siano in grado di assistere la popolazione congolese in questo momento difficile, quando i suoi governanti la reprimono».

Parlando di futuro, secondo la giornalista: «Questo è un potere che non scende a patti. Crea le condizioni per rendere precaria la vita della gente. Mette il paese sotto pressione, uccide le contestazioni. Crea la paura, fa tornare la psicosi della guerra nella gente che ha già vissuto le sue atrocità, per poterla quindi controllare».

Uno scenario possibile che Trèsor Nzila vede è: «Il malcontento sociale aumenterà e porterà la gente a esprimersi, a fare scioperi per paralizzare le istituzioni. La prima risposta del potere sarà la repressione. Fino a dove andrà la contestazione e fin dove la repressione, non si sa».

Marco Bello

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