Cari Missionari

Calendario di Suor Irene

Caro padre,
scrivo da Roraima, in Brasile. Complimenti a te e a tutti per Missioni
Consolata N. 11. Tutto molto, molto «buonissimo»! Ma per quel calendario di
suor Irene non basta il 10 e lode! Fantastico per le foto e per le
sottolineature dei temi. Anche il tuo editoriale, Una voce in meno, la
dice lunga sulla solidarietà che ha un sapore ben diverso dalla competizione!
Che ne dici: non c’è posto per tutti in questo mondo? Buone le domande, le
statistiche, gli interrogativi che fanno pensare… Non mollate. Un giornale è
sempre un’opera d’arte.

Leta
Botta, missionaria della Consolata
Roraima, 15/12/2014

San Domenico Savio

Spettabile Redazione,
sono un lettore – magari un po’ discontinuo – della vostra rivista. Noto con
piacere che davvero non vi mancano notizie, messaggi, riflessioni utili; ciò è
dimostrato anche dal carattere piuttosto piccolo che prevale nelle pagine della
vostra MC.

Nel Congresso Eucaristico Diocesano che si è svolto a
Castelnuovo Don Bosco circa mezzo secolo fa, ho cantato anch’io l’inno: «Ritorna,
o Signore, è questa la terra da te prediletta, la terra dei Santi (…). In
mezzo a noi, Signor, scegli i tuoi Santi; scegli i tuoi Santi ancor, in mezzo a
noi, Signor!» (Parole di José Cottino e musica di Camillo Milano).

Nell’articolo di pagina 32, a metà della seconda colonna,
leggo: «… anche se dovrebbe essere battezzato Castelnuovo dei Santi perché
ben quattro (va aggiunto infatti anche Domenico Savio) sono i santi che lì
hanno avuto i loro natali…». Condivido con voi tutto il contenuto
dell’articolo, ma vorrei precisare che Domenico Savio è nato a Riva presso
Chieri e non a Castelnuovo. È però verissimo che ha vissuto la massima parte
della sua vita nel comune di Castelnuovo.

Il Signore vi aiuti a fare sempre del bene, soprattutto
nei «luoghi di frontiera», nei quali vi siete già distinti in molte occasioni.
Grazie di tutto! Cordiali saluti ed auguri di ogni bene da

Antonio
Caron
email, 06/12/2014

Ridateci i libri

Ricevo
la bella rivista da un cinquantennio e prima ancora la stessa era presente
nella mia famiglia di origine. Il suo arrivo è sempre una gioia per ricchezza
di contenuti, profondità degli argomenti trattati e pregevolezza della veste
editoriale. Mi permetto di proporre alla redazione il ripristino di due
antiche, per me e penso per altri lettori, utili e interessanti rubriche: la
presentazione bibliografica di nuovi libri e la rubrica filatelica che fu
presente per moltissimi anni. Due arricchimenti certamente utili specie per i
lettori più anziani o per chi risiede in luoghi decentrati.

Ringrazio per l’attenzione e unisco, per tutti i
missionari, un cordialissimo saluto.

Luigi
Bisignano
15/12/2014

Grazie di averci scritto. La rubrica dedicata
ai libri, rinnovata, torna proprio in questo numero, a pag. 2, mentre per
quella filatelica… non potrà più essere come una volta. Dovesse ritornare,
son sicuro che rimarrà piacevolmente sorpreso. Ogni bene a lei.

Batik

Ho avuto l’occasione di visitare la mostra missionaria
dell’Immacolata a Torino in favore dell’ospedale di Neisu in Congo e vi ho
potuto ammirare e acquistare alcuni batik provenienti dal Kenya. Confesso la
mia
ignoranza in materia e pertanto mi permetto di suggerire per la vostra rivista
di dedicare un articolo a questa forma artistica. Non mi pare, salvo
distrazioni, di ricordae sull’argomento. Potrebbe anche essere una buona
pubblicità per suscitare interesse a decorare la propria casa in questa forma.
Se ci fosse sufficiente varietà potreste anche pensare ad esporli
fotograficamente sul vostro sito web. Magari lo avete già fatto!

Claudio
Solavagione
email, 19/12/2014

DI bambini e missionari

Caro Padre Gigi,
ancora una volta ringrazio per l’editoriale,
oltre che per tutti i contenuti del mensile. Mi riferisco a Un sogno da
bambini
. Ringrazia per me la scuola dell’infanzia che ha organizzato il
presepio vivente descritto perché le insegnanti, nonostante l’impegno
richiesto, hanno affrontato tale evento per far vivere a piccoli e grandi «qualche
cosa» del mistero del S. Natale. Mi permetto di sottolineare, come pedagogista,
che non si tratta né di una recita e né di un teatrino. Se non c’è l’assillo
della parola esatta o del gesto perfetto o del movimento sempre identico, i
bambini interpretano i ruoli in modo spontaneo e giornioso, così come sono stati
descritti, e fanno sul serio, non recitano, sono veri nelle loro espressioni!

Quanto all’affermazione conclusiva dell’articolo citato e
pubblicato su La Stampa del 23 ottobre dell’anno scorso, che cosa dire?
Purtroppo l’ignoranza è molto diffusa ed è trasversale. Non c’è conoscenza
relativa al tipo di lavoro, agli obiettivi e grado di impegno dei missionari,
per cui chi ha scritto non si è reso conto della contraddizione in cui è
incappato. Se in
Africa c’è bisogno della giustizia sociale, in Italia c’è bisogno sia della
stessa che della cultura, oltre che della formazione e dell’educazione.

Auguro che Missioni Consolata trovi, nel 2015, sempre più
lettori e lettori critici e propositivi!

Milva
Capoia
Collegno, 02/01/2015

Bambini Salvadoregni, E
adozioni illegali

Dopo aver letto il dossier di MC di luglio 2014 ci
permettiamo di scrivere su questo importante argomento.

Quanti bambini salvadoregni sono stati adottati in Italia
negli anni ’80?

È una domanda senza risposta. La
sparizione di persone fu una pratica sistematica durante il conflitto armato
nel Salvador fra il 1980 e il 1992. Di più: infame fu la sparizione di bambine
e bambini, una pratica impiegata come strategia militare controrivoluzionaria.

Nei suoi 20 anni di esistenza, Pro Búsqueda ha
registrato 934 casi di separazione forzata di bambini dai loro genitori durante
la guerra del Salvador. A tutt’oggi è riuscita a trovare 392 di loro. Il lavoro
di
Pro Búsqueda si riferisce a quei bambini che furono fatti sparire dalle
loro famiglie, rivendicando i loro diritti violati e servendo da tramite fra le
famiglie biologiche e quelle adottive.

I bambini furono considerati un bottino di guerra che
generò sostanziosi benefici economici a favore di coloro che ne fecero motivo
di commercio. Durante la guerra del Salvador si creò una rete di adozioni
illegali con la complicità di militari, funzionari pubblici, avvocati,
responsabili di orfanotrofi e addirittura di volontarie della Croce Rossa del
Salvador.

Il nostro paese fu tra quelli che realizzarono più
adozioni inteazionali negli anni ’80. In quel periodo gli Stati Uniti emisero
più di 2.300 visti di adozioni per bambini del Salvador. Furono adottati
numerosi bambini anche in Europa, specialmente in Italia.

Pro Búsqueda
non possiede dati esatti sul numero di adozioni di bambini salvadoregni in
Italia durante la decade degli anni ’80. Tuttavia in Italia sono stati risolti
già 39 casi. La collaborazione delle autorità italiane per conoscere il numero
esatto di adozioni nel paese sarebbe di vitale importanza per capire la
dimensione del fenomeno dell’infanzia scomparsa in El Salvador.

La sparizione di questi bambini e la loro successiva
adozione fraudolenta ha violato i loro diritti fondamentali e anche quelli dei
loro genitori biologici e adottivi. Si è strappato ai genitori biologici la
cosa più preziosa della loro vita e ai bambini si è negato il diritto alla loro
identità, a rimanere con la loro famiglia e, oggi, a sapere quali sono le loro
origini. Si è abusato anche della fiducia e della buona volontà di molti
genitori adottivi che non erano a conoscenza delle irregolarità che venivano
commesse in El Salvador.

L’aiuto delle autorità italiane permetterebbe di avanzare
nella risoluzione di molti casi che rimangono irrisolti. Non sarebbe solo un
gesto di umanità verso le vittime salvadoregne di questo orribile crimine, ma
anche di responsabilità verso i suoi obblighi inteazionali, come quelli
contenuti nella Convenzione Internazionale sui Diritti del Bambino, ratificata
dall’Italia e da El Salvador.

Inoltre sarebbe un sanare un debito verso tutti quei
cittadini italiani di origine salvadoregna che vogliono ricostruire il loro
passato e la loro identità. E diventerebbe meno pesante il fardello di tutti
quei genitori che continuano a cercare i loro figli scomparsi.

Asociación
Pro Búsqueda de niñas y niños
 desaparecidos
www.probusqueda.org.sv
email, 21/11/2014

CHE senso ha la Missione, oggi?

(N.B.:
i titoletti nel testo sono redazionali)

Rev. Padre,
lasci che un quasi settantenne utilizzi ancora anche lui una lettera cartacea
vista la mia poca dimestichezza con il computer (che, tuttavia, sia chiaro, non
demonizzo!). Scrivo in merito al suo editoriale apparso sul numero di novembre
del 2014, che un mio caro riceve e che poi mi passa. Concordo circa il dolore
nell’apprendere della cessazione di una pubblicazione missionaria, né è mia
intenzione fare analisi socio-economiche sul continuo decrescere dell’amore
alla lettura o – quanto meno – nei confronti della carta stampata.

Mi conceda alcune riflessioni in cui, le assicuro, non vi
è la più piccola parte di polemica.

La missione, un tempo

Quando ero giovane, e anche desideroso di farmi
missionario, lo scopo delle missioni e della vocazione missionaria, era
chiarissimo a tutti: portare il cristianesimo (il cattolicesimo) a popoli che
ancora non avevano avuto la gioia di conoscerlo. In parole povere, anche se
oggi il termine non è politically correct: convertire. Alle foto di
allora, con il padre missionario con la sua veste bianca, il casco coloniale,
una bella lunga barba, facevano seguito resoconti del tipo, quanti villaggi
visitati, quante cappelle aperte, quanti battesimi celebrati, quanti matrimoni.
In altri termini tutta una relazione circa l’apostolato del convertire. Forse,
anzi, toglierei anche il forse, in quelle relazioni emergeva una dose di
trionfalismo, ma il lettore almeno aveva le idee chiare, forse troppo semplicistiche,
ma chiare.

La missione oggi

Poi venne il Vaticano II (e qui, prima di andare avanti
vorrei precisare che considero quel concilio un vero dono di Dio) e le grandi
attese: seminari pieni e vocazioni a valanga. Ma per motivi che non so
spiegarmi, poco per volta avvenne l’esatto contrario.

Too all’aspetto delle missioni e dei missionari. Si
cominciò col dire che lo scopo delle missioni non era quello di convertire,
bensì «testimoniare», e qui la chiarezza dei concetti incominciò ad
annebbiarsi. Poi un sempre e crescente impegno del missionario nel creare
pozzi, forme nuove di agricoltura, sviluppare artigianato, occuparsi della
promozione della donna, prendersi cura della gioventù e tante altre belle cose
che sicuramente ogni missionario curava anche prima, ma che erano secondarie
all’evangelizzazione.

Poi tutta un’altra serie di messaggi belli, sì, ma forse
non ben spiegati al popolo cristiano. Anch’io mi sono commosso a vedere le foto
delle grandi preghiere ecumeniche ad Assisi, ma il messaggio che è giunto è
stato che tutte le religioni sono nobili e degne allo stesso modo, e che ognuna
è una strada per giungere a Dio.

A questo punto diventava ineludibile la domanda: e
allora, se Dio ha dato a quei popoli una loro forma di espressione religiosa,
dato che Dio non lascia orfano nessun popolo, in base a quale principio io devo
andare là per convincerlo a lasciare i suoi culti e divenire cattolico?

Mi ricordo che in un’intervista letta anni or sono, ad un
certo punto, il giovane missionario che partiva, alla domanda se andava per
convertire, rispose: «No, vado per essere convertito». Probabilmente intendeva
dire che quanto di buono avrebbe trovato in terra di missione lo avrebbe
spronato a diventare un miglior cattolico, ma letta così, tout court, la
frase spiazzava.

Siamo giunti a tal punto che oggi il missionario per
eccellenza è quello che è stato a Korogocho (pron. Corogocio, ndr)
e che guida cortei per la tutela dell’acqua
pubblica.

Qual è l’essenza della missione

Belle e sante cose, ma torniamo alla base: qual è l’essenza dell’essere missionario? E a questa domanda ne
segue un’altra. Tutte le riviste missionarie, compresa la sua, non fanno altro
che riportare inchieste interessantissime e quasi sempre molto equilibrate,
inchieste sociali, politiche, storiche, il
tutto – ripeto – molto bello. Ma quante volte compare il nome di Gesù Cristo? È tutto un resoconto di sopraffazioni di stati su
stati, di etnie su etnie, di caste su altre caste. Ma cosa serve studiare
teologia e tutte le materie a essa connesse se poi offrite un prodotto per il
quale sarebbe sufficiente un esperto di politica internazionale o uno storico
equilibrato?

Se prima, a mio parere, l’essenza della missione era
quella di predicare il cristianesimo a popolazioni che avevano altre forme
religiose a nostro avviso belle, nobili, ovviamente da rispettare, per certi
aspetti anche da prendere ad esempio, ma comunque non equiparabili al messaggio
di Cristo, oggi quale è questa essenza?

Avviene quello che succede ad ogni aggregazione umana, ad
esempio tra partiti politici che si fondono: la perdita della propria identità
e specificità annulla anche il movente interiore, lo stimolo che prima c’era a
voler partire missionari.

Se un giovane che dovesse avere la vocazione riflette un
po’, se va per costruire pozzi, case, ponti, impiantare aziende, creare
movimenti di sindacalizzazione, creare scuole (tutte cose bellissime, sia
chiaro) non gli basterebbe essere un buon geometra, un buon ingegnere, un buon
manager, un buon professore? Poi, se è anche un buon cristiano, meglio ancora!

Concludendo
Due questioni aperte.

1. Un tempo il missionario portava Cristo e il Vangelo,
di conseguenza tutta la sua azione si completava anche, visto che l’uomo è
corpo e anima, con opere umane di promozione sociale dei popoli ai quali era
inviato. Ma l’essenziale era ben distinto dal secondario. Oggi il secondario ha
preso il posto di ciò che prima era ritenuto essere l’essenziale della
missione. Capovolgendo i valori la missione non poteva che soffrie.

2. Il secondo punto è la necessità di spiegare con
chiarezza il significato di certi gesti in sé bellissimi, compiuti ad esempio
dai papi, ma che possono prestarsi a equivoci o a volute distorsioni da parte
della stampa laicista. Lo si è visto con la frase di papa Francesco «Chi sono
io per giudicare» che, sulla stampa nazionale è diventata una sorta di
sdoganamento dell’omosessualità. Anche recentemente, l’inchino verso il primate
degli ortodossi, la preghiera nella moschea rivolto alla Mecca. Se tutto ciò
non viene spiegato, altro non porta che alla solita conclusione. Ogni religione
è strada verso Dio, di conseguenza una forma missionaria della chiesa cattolica
altro non può essere vista che come una forma di sopraffazione nei confronti di
altri culti.

La saluto con stima e affetto, spero di essere stato
sufficientemente chiaro nell’esposizione dei miei pensieri, cordialmente suo,

Alfredo
Garianol
Genova, 16/12/2014

Caro
Sig. Alfredo,

è stato più che chiaro. Sull’ultimo punto, avesse scritto dopo il viaggio del
Papa in Sri Lanka, avrebbe potuto aggiungere altri argomenti al dibattito. La
ringrazio della sua lettera che tocca il tema scottante della missione della
Chiesa oggi. Non ho una risposta precisa da darle. Le assicuro che quanto lei
ha esposto costituisce il cuore del dibattito sulla missione e la nuova
evangelizzazione.

È vero, in
questi anni, per noi giornalisti missionari è stato più facile raccontare di
sviluppo, di giustizia e di pace che dell’esperienza di fede che vivono i
missionari. Questi ultimi spesso hanno pudore a raccontare della vera forza che
li anima dentro, l’amore per Gesù Cristo. In più anche noi abbiamo forse
un’eccessiva preoccupazione di voler essere accettati/letti da tutti senza
apparire integralisti o impegnati a fare proselitismo.

Ricordo
che io stesso ho criticato con forza la redazione di MC nel 2002, quando, in
occasione del centenario dell’arrivo dei missionari della Consolata in Kenya,
aveva preparato un bellissimo numero speciale dove però si era scritto di
tutto, eccetto che degli incredibili risultati di cento anni di
evangelizzazione: una comunità cristiana vibrante, una Chiesa locale quasi
autosufficiente e soprattutto una Chiesa diventata missionaria.

Noi
siamo profondamente convinti che l’unica ragione della missione è Gesù Cristo e
l’annuncio della Buona Notizia (Vangelo) che è Lui. È Lui che dà la forza ai
missionari di resistere anche nelle situazioni più dure, fino a dare la vita.
Papa Francesco, nonostante possa confondere qualcuno con i suoi gesti di
apertura, dialogo e rispetto per le altre religioni, è molto chiaro in questo.
La sua Evangelii gaudium non lascia dubbi.

Il
problema per noi di MC si presenta di mese in mese quando veniamo alla scelta
concreta degli articoli. Non sempre riusciamo ad avere materiale che ci
permetta un buon bilanciamento dei testi, ce ne rendiamo conto. Corriamo così
il rischio di dare prevalenza ad articoli che potrebbero apparire benissimo in
riviste di socio-politica ed economia internazionale.

Le
assicuriamo comunque che, come è stato detto al Convegno missionario di
Sacrofano (cfr pag. 10), è nostro grande desiderio «Rimettere Cristo al
centro», perché è solo in Lui che, come persone e come cristiani, troviamo le
motivazioni vere per dare la vita per un mondo nuovo, giusto, fraterno, a norma
«divina».

risponde il Direttore

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