Cari missionari

Nel numero di  dicembre 2009, «Missioni Consolata» ha pubblicato il dossier-reportage «Il grande sogno – viaggio tra i rifugiati», di Gabriella Mancini. Accogliamo due commenti, tra cui quello dell’Assessore alle politiche sociali del Comune di Torino, che speriamo possano aiutare ad allargare il dibattito su un tema tanto importante e scottante come quello dell’accoglienza.

… e le istituzioni?

Ho letto con vivo interesse il vostro approfondito reportage sulla condizione dei rifugiati nella nostra città. Non ho mai trovato sui media, riguardo a questo tema, un’informazione completa come quella contenuta in questo dossier.
In questi anni ho seguito con apprensione la vicenda narrata nel dossier e ho anche personalmente, per quanto possibile, contribuito portando a questi rifugiati dei generi di prima necessità. Di tutta questa storia mi hanno sempre colpito molto i toni di impossibilità assunti dalle istituzioni, sin dall’inizio. Apprendo a mezzo stampa in questi giorni che invece il governo, dopo che il comune aveva già magicamente trovato in fretta e furia fondi per allestire la caserma di via Asti, avrebbe stanziato 2 milioni di euro l’anno per tre anni consecutivi da spendere in via esclusiva per trovare una soluzione al «problema» rifugiati nel comune di Torino.
Una domanda sorge allora spontanea: sarebbero poi veramente comparsi questi fondi senza il «rumore» creato dai rifugiati?”

Paolo Macina
Torino

La Città  è presente

Gentile Direttore,
ho letto con attenzione il dossier-inchiesta «Il grande sogno – viaggio tra i rifugiati» pubblicato sul vostro mensile nel numero di dicembre scorso.
Devo premettere che ogni articolo descrive con fedeltà la drammatica vicenda che viene vissuta da coloro che intraprendono il viaggio del «Grande Sogno» e che tutte le preoccupazioni espresse dall’autrice sono condivisibili.
Ciò che invece mi ha indotto a scriverle è la parziale ottica con cui si descrive il sistema di accoglienza della Città di Torino. O meglio, della «non accoglienza», così come definita da Gabriella Mancini, lasciando credere ai lettori che il tema sia di esclusiva competenza e responsabilità degli enti locali e non una competenza governativa: anche se penso che sui permessi di protezione umanitaria che avrà esaminato, non avrà sicuramente trovato il simbolo della Città bensì della Repubblica Italiana.
Torino, in tutta la Regione Piemonte, è l’unico capoluogo che gestisca 50 posti di accoglienza della rete del «Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati» (Sprar) finanziata dal ministero dell’Inteo. È in solitaria compagnia di altre 3 città: Ivrea (TO), Chiesanuova (TO), Alice Bel Colle (AL). Forse già questo primo indizio serve a spiegare come mai sia di riferimento a molti «flussi».
Non contenti di ciò, abbiamo negli ultimi anni potenziato i posti di accoglienza per dare delle risposte (seppur, a volte, parziali) a coloro che si rivolgevano al nostro Ufficio Stranieri: oggi la Città garantisce oltre 530 posti di accoglienza quotidiana (vitto, alloggio, formazione). Nel 2008 sono stati 1.047 gli stranieri che hanno beneficiato delle nostre strutture per un periodo mediamente di 6 mesi (gestite direttamente o indirettamente dalla Città, oltre alla rete del volontariato e del privato sociale con contributo economico comunale); sono più di 300 i minori stranieri non accompagnati per i quali l’assessore pro tempore ai servizi sociali della Città di Torino è «tutore»!
Forse sarà poco; sicuramente non sufficiente se paragonato ai 30 mila sbarchi sulle coste italiane ogni anno; ma penso sia abbastanza per contendere la palma ai «giovani dei centri sociali, tra i più attivi nell’aiutare i rifugiati» così come definiti in un articolo del dossier; o per dimostrare che il Comune non è «il grande assente» così come definito dalla sig.ra Molfetta in un altro passo del documento.
Alcuni esempi? Ve li elenco per brevità.
• Progetto Hopeland. Si tratta del progetto che fa parte dello Sprar a cui la Città aderisce da quando, ancora nel 1999, si chiamava Progetto Nazionale Asilo (Pna)) e che oggi garantisce un sistema di accoglienza personalizzato di 50 posti (35 maschili e 15 femminili).
• Progetto Masnà. Realizzato sempre nell’ambito dello Sprar, ma rivolto ai minori stranieri richiedenti asilo e rifugiati (20 posti)
• Progetto Isa (Inclusione socio abitativa): interventi per favorire l’esercizio di un diritto di cittadinanza, ridurre il fenomeno della marginalità abitativa e fornire uno specifico supporto abitativo in caso di urgenza a persone in temporanea situazione di rischio. Finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con fondi stanziati nel 2007.
• Progetto «Rifugio Diffuso». L’intervento prevede l’individuazione di 20 beneficiari tra richiedenti asilo, rifugiati (con protezione sussidiaria e per motivi umanitari), presenti sul territorio cittadino e presi in carica dall’Ufficio Stranieri, da inserire in accoglienza familiare, attraverso la collaborazione di associazioni, organizzazioni di volontariato e volontari singoli, in percorsi di inserimento sociale mediante la realizzazione di programmi individualizzati.
• Progetto «Action Work». Realizza percorsi di accompagnamento all’autonomia ed all’integrazione sociale mediante azioni di ricerca attiva del lavoro e inserimento lavorativo che avvengono soprattutto attraverso la realizzazione di tirocini formativi, orientativi, socializzanti. La metodologia impostata prevede la sperimentazione di azioni e strumenti finalizzati all’integrazione socio-lavorativa dei cittadini stranieri disoccupati impegnati in percorsi di inserimento sociale, in collaborazione con altri enti, cornoperative ed associazioni del territorio.
• Azioni straordinarie per intervenire sulle situazioni di occupazione abusiva dello stabile di corso Peschiera «ex clinica San Paolo». Progetto di accoglienza temporanea d’intesa con la Prefettura di Torino presso la ex caserma «La Marmora».
C’è poi un sottile filo che separa due interpretazioni del concetto di accoglienza. Accogliere, secondo i ragazzi dei centri sociali, significa «assistenzializzare». L’occupazione ricorrente di stabili per l’ospitalità dei profughi, parte da rivendicazioni condivisibili di diritti (lavoro, casa, residenza) per arrivare poi al passaggio di responsabilità: «Caro comune, in questo stabile che abbiamo occupato ci sono 200 persone: devi occupartene».
Accogliere, secondo il lavoro fatto in questi anni dall’amministrazione comunale, si traduce in «accompagnamento sociale» verso l’autonomia delle persone. Per questo motivo è stato fondamentale il lavoro di concertazione con altri enti, associazioni, organizzazioni. In particolare l’Ufficio Stranieri della  Città di Torino ha promosso la realizzazione del «Tavolo Rifugio» che rappresenta un momento di confronto e condivisione con gli Enti e le Associazioni che liberamente aderiscono. Il Tavolo attualmente coinvolge, oltre all’Ufficio Stranieri, i diversi collaboratori dei progetti (Coop. Soc. Progetto Tenda, Coop. Soc. Il Riparo, Sermig – Centro come Noi, Asgi, Ass. Frantz Fanon, il Cfpp Casa di Carità), i soggetti istituzionali (Questura, Prefettura) e le organizzazioni del volontariato (Ufficio Pastorale Migranti della Caritas, Chiesa Valdese, Ass. La Tenda, Gruppo Abele, Arci, Croce Rossa Italiana, Asai, Ass. Mosaico – Azioni per i Rifugiati, Ass. Somali a Torino, Alma Terra). Si tratta di un luogo multifunzionale che permette l’elaborazione di esperienze di gestione, la verifica dell’andamento dei casi e dei progetti in fieri e la formazione sulle nuove problematiche. Tale luogo viene organizzato come un laboratorio per la progetta- zione di iniziative in favore dei richiedenti asilo e rifugiati, il più possibile vicine alle reali problematiche e alle reali risorse delle persone.
Spero di essere riuscito ad aggiungere un altro pezzo di informazione che mi sembrava totalmente mancante. Così come penso che le migliori politiche per l’integrazione non si realizzino «concentrando» in un’unica realtà le aspettative e le tensioni, ma che sia più facile trovare soluzioni di inserimenti sociali se si lavora su una superficie territoriale ampia. Per questo motivo credo nella programmazione territoriale di Province e Regione che dovrebbe portare alla più capillare distribuzione del fenomeno di accoglienza dei profughi, per offrire maggiori opportunità di autonomia a cui le persone legittimamente aspirano.

Marco Borgione
Assessore alla Famiglia, Salute e Politiche Sociali
Comune di Torino

Caro Assessore, innanzitutto la ringraziamo per l’attenzione e per aver considerato il nostro dossier  un lavoro approfondito. Prendiamo atto dei progetti da lei elencati e che, in sole 20 pagine, non era possibile inserirli tutti. Solo una precisazione: non abbiamo voluto oscurare la presenza del Comune che rientra in più punti nel dossier, dall’intervista all’Ufficio Stranieri del Comune al lungo intervento sul Tavolo di co-progettazione, ma far presente una falla strutturale nel sistema di accoglienza e, in particolare, in quello specifico contesto. Per il resto, ci auguriamo sinceramente  che la sinergia di più intenti, il dialogo e la motivazione nel risolvere i problemi possa condurre a soluzioni strutturali e non transitorie.
Buon lavoro!

Ugo Pozzoli
Gabriella Mancini

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