Yang scopre l’africa

Storia di un emigrato in Burkina Faso

Sono stimati a 150.000 i cinesi che hanno scelto di vivere in Africa e circa 450.000 quelli ormai naturalizzati. Vengono al seguito delle multinazionali del loro pase, ma anche come piccoli e medi imprenditori. E mantengono forte il legame con la madre patria. Abbiamo incontrato uno di loro.

Yang Gaihao ha circa 35 anni. È originario della città Wenzhou, nella regione Zhejiang, sulla costa Sud – Est della vasta Repubblica popolare di Cina. Lo troviamo nel suo negozio centralissimo, di fronte al Cinema «Burkina», a Ouagadougou.
Arrivato nel 2004 per «turismo», ci dice, invitato da alcuni amici cinesi che in Burkina Faso già vivono. «Mi sono reso conto che si potevano fare degli affari e così ho deciso di trasferirmi». Arriva con la moglie nel 2005 e apre un magazzino di merce tutta importata direttamente dalla Cina.
Vanno molto i poster di Ronaldinho in questo periodo, ma anche orologi da muro raffiguranti il Cristo o improbabili bellezze. Piacciono anche le tende con immagini serafiche della Cina, di cui Yang ha diversi cataloghi. Poi ci sono fiori di plastica, giochi, pentole, stereo, borse …
Tutta merce piuttosto scadente. «I prezzi sono bassi, così la gente compra. Il beneficio per noi è piccolo ma sulla quantità ci guadagnamo». Intanto una signora ouagalese sta dicendo a sua moglie: «Siete troppo cari!» e sventola due poltrone gonfiabili per bambini, in vendita all’equivalente di 4,5 euro. «Ci guadagnamo, ma senza esagerare», continua.
È lui che segue direttamente i suoi fornitori, così si reca nella madre patria 2 – 3 volte all’anno.

Il francese lo parla piuttosto male, ha iniziato a studiarlo nel 2004. Almeno si fa capire, al contrario del suo giovane aiutante (suo cugino fatto arrivare in seguito). Dice che non ha avuto problemi per impararlo.

Se gli chiedo come va con gli africani, scuote un po’ la testa e fa una smorfia: «Sì, abbastanza bene, ma non ci frequentiamo molto. Ho amici cinesi, e anche occidentali e solo qualche burkinabè». Si frequentano in prevalenza tra cinesi e ce ne sono circa 200 in Burkina Faso.
Questo paese è uno dei cinque che in Africa ancora riconoscono Taiwan e che quindi la Cina popolare non accoglie tra i suoi partner commerciali. Taiwan inietta ogni anno fondi per la cooperazione sino – burkinabè (il cui uso non è controllato), per mantenere questo appoggio geo – politico sul continente. Pechino non sembra molto interessata, visto la scarsità di materie prime del paese saheliano.

Yang anche a casa sua faceva il commerciante, ma di «cose diverse» spiega. Ma perché ha scelto proprio l’Africa per tentare la fortuna? «Anche l’Europa e l’Italia, che è piena di cinesi – ricorda – sono interessanti, ma è diventato molto difficile ottenere il visto». Qui è molto più facile. Anche se fa caldo, non importa e non si sta così male.
Gli piace viaggiare ed è stato in molti paesi della regione: Costa d’Avorio, Ghana, Benin, Mali. Sia per turismo, sia per visitare amici e per sondare la possibilità di business. Dice di non avere problemi di soldi per spostarsi, anche verso l’Europa, ma non riesce ad avere i documenti.
Nel suo magazzino su due piani la merce è buttata un po’ a caso, su scaffali o in scatoloni ammassati a terra. Ci sono molti addetti africani che girano per servire i clienti. Il posto è abbastanza frequentato.

Yang, gentilissimo fino a quel momento, mi riprende dicendo che sto facendo troppe foto, nonostante gli abbia chiesto il permesso. Le vuole vedere. «Non voglio avere problemi» dice più volte. Anche sua moglie è piuttosto innervosita dalla mia presenza. Ricordo allora le parole di un amico burkinabè: «Cinesi? Sì, ci sono anche in Burkina, ma sono molto chiusi nella loro comunità».

Di Marco Bello


 Costa d’Avorio: Cina batte Francia

L’impero di mezzo va avanti e prende fette di Africa ai potenti del pianeta. La Francia sarà costretta a ritirarsi o difenderà il suo bastione?

La Cina non fa parte dei 10 primi partner commerciali della Costa d’Avorio. Le relazioni commerciali tra i due paesi son cresciute negli ultimi cinque anni e infatti al ministero dell’Economia si stanno ancora elaborando le statistiche sul fenomeno.  Ma è soprattutto con l’arrivo alla presidenza di Laurent Gbagbo (2000) che la Cina ha cominciato a sviluppare gli scambi con la Costa d’Avorio. 
Più evidenti i grossi cantieri edili. Il palazzo della cultura, nel quartiere storico di Treichville, sul bordo della laguna Ebrié. La costruzione della «casa dei deputati», un enorme palazzo (con uffici e residenze per tutti i deputati) nella capitale politica Yamoussoukro, a 260 km da Abidjan, ha dato una scossa alle relazioni tra la Costa d’Avorio e la Francia. Molti osservatori politici vi vedono un segno di rottura con le consuetudini che legavano il paese europeo con l’ex colonia.

«Io credo che il regime attuale sia venuto al potere con un’idea precisa: ridurre le relazioni con la Francia. Questo si è verificato sul piano diplomatico quando certi baroni del potere hanno stimato che i rapporti con gli ex colonizzatori erano solo a vantaggio di questi. Sul piano militare abbiamo visto lo stesso concetto: al culmine della crisi i “giovani patrioti” (bande organizzate pro Gbagbo, ndr) bruciavano la bandiera francese e chiedevano la partenza dei militari transalpini. A livello economico i mercati pubblici più importanti sono ormai assegnati a imprese cinesi. Questa è una politica ben congegnata. L’attuale presidente dell’Assemblea nazionale (parlamento, ndr), Mamadou Koulibaly, aveva pure chiesto che il franco cfa non fosse più agganciato a quello francese». Sostiene Awa Traoré, funzionario.

Recentemente è stato firmato un partenariato tra Cina e Costa d’Avorio in campo universitario. L’Istituto Politecnico Houphouet Boigny della capitale riceverà un appoggio cinese sul piano della formazione ad alto livello.
Un enorme supermercato, chiamato «La Foire de Chine» (la fiera della Cina, ndr) è stato aperto a Treichville. Qui tutti i prodotti cinesi sono in vendita. Mentre a livello medico il paese rigurgita, da una decina di anni, di prodotti cinesi venduti lungo le strade.
«A prima vista, l’invasione del mercato avoriano da beni made in China può sembrare una manna, perché questi sono proposti a prezzi molto concorrenziali. Ma occorre soprattutto guardare la qualità.  E su questo ci sono molte cose da obiettare. In Camerun, ad esempio la popolazione ha manifestato contro certi beni di basso valore. Diversificazione sì, ma anche qualità!», dice Sébastien Tié, agente di banca.
 «Non vedo inconvenienti sul fatto che la Costa d’Avorio diversifichi i propri partner economici. Questo contribuisce alla dinamica degli scambi commerciali», afferma Albert Zio, quadro commerciale.
 

Adama Koné, da Abidjan

                           Cina in Burundi

Il gigante asiatico batte l’Africa a tappeto, così anche un paese piccolo e privo di risorse come il Burundi diventa interessante sullo scacchiere geopolitico.

Il Burundi ha delle ottime relazioni con la Cina dal 1970. Un accordo di cooperazione economica, tecnica e commerciale è stato firmato nel luglio del 1972. Da allora la cooperazione è aumentata, sotto forma di crediti e  di doni in settori prioritari, come lavori pubblici, educazione, salute.
Nell’educazione la Cina fornisce almeno 10 borse di studio all’anno per burundesi. Secondo Venant Nyobewe, capo di gabinetto del ministero dell’Educazione, «attualmente 19 connazionali fanno studi di dottorato, mentre altri 18 sono stati ammessi a corsi post universitari». Altre borse sono messe a disposizione per il ministero della Difesa, così 33 ex combattenti hanno fatto stage in Cina.

Nel settore sanitario la Cina è presente in tre province: Muramvya, Bujumbura e Gitega. Ogni due anni vengono inviate delle équipe mediche complete per lavorare negli ospedali.
Un insegnante di Gitega ci ha rivelato che il problema che si ha con i cinesi, in particolare quelli che lavorano all’ospedale, è che non parlano né francese né inglese. Lavorano con un interprete, ma spesso non riescono a capire i problemi dei malati.
In generale, in Burundi, la gente pensa che i cinesi mangiano i cani e questo è contrario al costume del paese.

Secondo l’ambasciatore cinese a Bujumbura Zeneng Xian, oltre 250 cinesi vivono attualmente nel paese, di cui 23 medici. La Cina ha ristrutturato i più importanti ospedali del Burundi. Dati del ministero burundese degli Affari esteri e della cooperazione riportano che quattro ospedali hanno ricevuto 900 mila dollari nel 2007.
Nel campo delle infrastrutture, la Cina sta costruendo la Scuola normale superiore, che sarà terminata nel primo trimestre 2008. Il costo è stato di 20 milioni di Yuans. In prospettiva sarà costruito un nuovo palazzo presidenziale nella capitale, un centro contro la malaria e un ospedale da 150 letti nella provincia di Bubanza, tra le più povere del paese.

L’ambasciatore cinese ha spiegato che il suo paese è sempre stato a fianco del Burundi anche durante la crisi scoppiata nel 1993. Ha aggiunto che il Burundi è un buon amico della Cina, in quanto ha sempre avuto il suo stesso punto di vista a livello internazionale.
L’ultima sessione della commissione mista sino – burundese si è tenuta a Pechino nel maggio 2002. In quell’occasione la Cina ha destinato al Burundi un dono di 4,44 milioni di dollari per finanziare questi progetti.

Gabriel Nikundana, da Bujumbura


Marco Bello

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