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È la presenza del Signore dentro di noi che ci abilita alla missione. "Io in loro e tu in me", dice Gesù, rivolgendosi al Padre. Questa presenza è santità. Tutti i santi l'hanno capito e vissuto nella loro esperienza. Il Beato Giuseppe Allamano insisteva con i suoi missionari e missionarie: "Prima santi e poi missionari! Non si devono invertire i termini. Alcuni, spinti dalla fantasia, pensano solo al secondo punto: essere missionari. Ma non deve essere così: prima santi e poi missionari".
Nell'apparente distanza che si viene a creare con l'ascensione del Signore s'invera la missione della Chiesa, da quel momento chiamata a creare prossimità con tutti i popoli. In quella vicinanza Gesù stesso si manifesta. Questa è la sua promessa. Niente a che vedere con la diffusione di un'ideologia; è questione di un incontro che si rende possibile attraverso una mediazione umana, l'incontro di ogni persona con il suo Dio e Signore. Per quanto poveri e limitati, i missionari sono necessari.
Il ruolo di Maria è unico, indescrivibile: ha portato in sé il Figlio di Dio e lo ha dato al mondo! Eppure la sua grandezza sta ancor più nell'essere la più fedele discepola di suo figlio. È la beatitudine dell'ascolto e della vita plasmata dalla Parola. A questa beatitudine siamo chiamati anche noi e Maria è sempre al nostro fianco nel guidarci in questo cammino. La sua maternità spirituale è per noi fondamentale e lo è soprattutto nella missione: lei arriva prima e aiuta i missionari.
Riposiamo nelle bellissime parole di Gv 15. Il Signore si consegna a noi, aprendoci il suo cuore. Siamo i suoi amici, i suoi confidenti. Quale gioia più grande? Il Signore non s'impone con prepotenza, ma ci invita ad una relazione sempre più viva e profonda con lui. In questa relazione - in cui ci ritroviamo scelti e amati da lui - risiede la nostra gioia vera e da essa nasce la testimonianza e l'azione, centrate sempre in un'unica finalità: l'amore reciproco, su cui la vita si raccoglie.
Dimorare nell'amore del Signore: questo è il programma del cristiano, che lo porta a condividere con tutti lo stesso amore che sperimenta in prima persona. La missione prima di ogni altra cosa è questione di gioia traboccante, come anche ci ricorda il ritornello del salmo odierno. La stessa osservanza dei comandamenti diventa risposta d'amore, non costrizione, tantomeno limitazione; è sentiero tracciato per aiutarci ad incanalare la nostra libertà verso il bene nostro e degli altri.
Il verbo dimorare è uno di quelli che definiscono meglio la fede cristiana. Un mutuo abitare di Dio in noi e di noi in lui. Un mistero da togliere il fiato. Per chi proviene da culture nomadiche, la vera dimora non è la casa, ma la relazione. La tenda si smonta e si rimonta al bisogno, spostandosi a seconda delle stagioni; tutto è piuttosto instabile, eccetto le relazioni importanti, quelle rimangono. E sono pochissime. Così è per il credente, la cui vita si basa sulla relazione con il Risorto.
"Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò". Non c'è parola più consolante. È un invito che ci aspetta ogni giorno, un movimento del cuore sempre possibile, proprio perché le fatiche e le oppressioni non mancano mai. Evitarle? Questa è la reazione immediata, destinata però al fallimento. Non le cerchiamo, è vero, ma neanche le fuggiamo: proviamo invece a portarle a colui che lì ci aspetta. Se Cristo avesse scelto il successo, solo pochi l'avrebbero potuto seguire.
L'immagine di un gregge numeroso e compatto, che solleva la polvere al passaggio sui pascoli terrosi dell'Asia Centrale è molto cara ai Mongoli. È sinonimo di pace, abbondanza, vita. È per questa vita in abbondanza che il "pastore bello" è disposto a dare se stesso, con libertà assoluta. Nella consegna che Gesù fa di se stesso al Padre la possibilità di ogni nostra piccola o grande consegna, anch'essa portatrice di fecondità. Il mondo scarta, ma il Signore si offre anche al nostro rifiuto.
Eucaristia e missione. Un binomio inscindibile. Il misterioso potere di attrazione del Risorto sotto il segno del pane eucaristico continua ad esercitarsi e ne facciamo esperienza nel contesto di prima evangelizzazione in cui ci troviamo. Fermarsi in adorazione non è un lusso e neanche un ripiego, nasce dal bisogno profondo di sintonizzarsi con la vera attrazione, quella eucaristica, lasciando da parte le nostre povere strategie e riconsegnando ogni giorno la nostra umanità da guarire.
Da dove viene il nostro turbamento? E i dubbi che affollano il nostro cuore? Forse anche noi siamo ancora troppo ripiegati su noi stessi, invece di volgere lo sguardo verso il Signore. Lui è qui, a dirci "sono proprio io!". Le sofferenze sono tante, i problemi pure; a volte però, per uno strano gioco della mente, finiamo di alimentare tutto questo scenario d'inquietudine, invece di consegnarlo fiduciosamente nelle mani di chi ci ama da morire (e da risorgere). Ricominciamo ad affidarci.
"Senza misura egli dà lo Spirito". Diceva il Beato Pierre Claverie - assassinato in Algeria nel 1996: "Il Vangelo è una forza di Dio, una dimostrazione di potenza, più che le opere, più che le parole. Questa potenza particolare, quella dell'amore, riconcilia popoli diversi, persone diverse, culture diverse, e forse anche religioni diverse quando si parla di dialogo. [...] Tutta la missione si gioca negli incontri e non nelle strategie missionarie né nei progetti missionari, per quanto necessari".
Tommaso non l'hanno convinto gli altri 10 apostoli, è stato l'incontro con il Risorto a farlo cambiare. Padre Tiziano Tosolini, missionario saveriano in Giappone, ama far notare che se non ci sono riusciti gli apostoli forse dobbiamo convincerci anche noi missionari di oggi che chi tocca il cuore è proprio solo il Signore. Noi siamo lì per rallegrarci di come lui tocchi il cuore delle persone a cui siamo inviati a testimoniarlo, pronti a sussurrare con la vita il Vangelo della misericordia.