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I segni della passione non scompaiono dal corpo del Risorto. Anzi, sono proprio il modo con cui lui si fa riconoscere. Ogni nostra ferita è ormai impressa nella carne del Salvatore. Come diceva il vescovo Tonino Bello, le ferite diventano feritoie. Da quelle feritoie, a contatto con la loro incredulità perdonata e guarita, ai discepoli è dato di comprendere il senso profondo della Scrittura; il Risorto apre loro la mente. È quello che chiediamo anche per noi, per diventare veri testimoni.
Anche il messaggio della risurrezione - come tutta la vita di Gesù - è passibile di manipolazioni. D'altronde la storia è piena di revisionismi e di plagi veri e propri. Ma la forza dello Spirito ha ormai raggiunto donne e uomini trasfigurati dall'incontro con il Risorto. Inizia la missione della Chiesa, che rende intrepidi gli stessi discepoli che avevano tradito per paura. Sento anch'io ardere nel cuore il desiderio di condividere il Vangelo con gli altri, soprattutto chi non lo conosce?
La gioia che irrompe diventa vita nuova che scorre nelle vene. Lo sperimenta chi in questo giorno riceve il battesimo. Qui in Mongolia diventare cristiano è una scelta scomoda; chi la fa ne è ben consapevole, può portare ad esclusione. Ma negli occhi che brillano davanti al fonte, si ripete il miracolo che manda in crisi tutte le teorie sociologiche: diventare cristiani non risponde a una strategia politica, è essere attirati da quel Gesù crocifisso e risorto che illumina la propria esistenza.
Per la mentalità magico-ritualistica di certe tradizioni religiose, uno come Gesù è il massimo della sfortuna: morto violentemente, giovane, senza figli. Non sbandieriamo la sofferenza di quei momenti terribili, basta ascoltare la Parola, già molto esplicita. C'è un silenzio speciale, interrotto dal sibilo del vento che immancabilmente si abbatte sulla nostra tenda quel giorno. Anche la natura partecipa al dolore. Siamo al cuore dello scandalo. Immenso dolore, massima solidarietà con tutti.
La lavanda dei piedi è uno di quei riti che rimangono impressi. Crea sempre un certo turbamento: ma come, il Signore si abbassa a tanto? Un leader religioso convenzionale non lo farebbe mai. Non c'è bisogno di lunghe prediche: la parola e i gesti scavano profondo. Abbiamo sempre creduto nel potere attrattivo della liturgia. Chi in questi anni è diventato cristiano ce lo conferma: "c'è un'atmosfera speciale, quando si varca quella porta. Fin dalla prima volta ho provato una pace speciale".
Qui in Mongolia i ramoscelli di ulivo non sono disponibili. Tanto meno le palme. Usiamo quei pochi arbusti che la steppa concede, ma lo spirito è quello della Gerusalemme di allora: acclamazioni, poi stupore e infine scandalo. Si ripete nei secoli e a diverse latitudini il mistero di un popolo che segue il suo Signore, stringendosi intorno a lui nei riti sacri di questi giorni. Qui è proprio un piccolo gregge. Una nuova occasione per ciascuno di noi, dovunque ci troviamo, di rinnovare la nostra fede.
Maria è madre per sempre. Ella custodisce il mistero della fede, che ha accolto in sé e offre al mondo. Alla fede si genera, non la si può semplicemente trasmettere come se si trattasse di un contenuto da passare. Questa generazione alla fede richiede la presenza di Maria. Ecco perché il Beato Giuseppe Allamano fondò nel suo nome una famiglia di missionari e missionarie. Lei dona consolazione, quella vera, incarnata: suo figlio Gesù. Maria tocca i cuori, apre vie inattese, conduce alla verità.
"Vogliamo vedere Gesù". È l'anelito di ogni persona. Noi missionari però vorremmo talvolta mostrarne un volto piacevole, più "accettabile", più comodo: non c'è manipolazione peggiore. Dopo un certo numero di anni di missione ad gentes, possiamo dire che è davvero il Crocifisso che misteriosamente attira a sé. Lui ha scelto d'incontrarci laddove sapeva ci avrebbe sempre trovati: nelle nostre croci quotidiane. Allora anche il missionario impara a cadere nel solco e morire, dove lo Spirito l'ha spinto.
"Così fu generato Gesù Cristo". Come? Non con la magia o con gli effetti speciali che si leggono in alcune nascite mitologiche, ma con l'intrecciarsi di cuori liberi, che seguono il corso delle cose e insieme si aprono all'imprevedibile. Ecco perché S. Giuseppe ha molto da insegnarci e da guidarci. Cristo continua ad essere generato nella nostra storia personale; per questo abbiamo bisogno di ispirarci a S. Giuseppe, di riprodurre in noi i suoi atteggiamenti virili e dolci. E d'invocarlo.
"Voi non volete venire a me per avere la vita". È la diagnosi perfetta del medico celeste, che ci fa vedere le nostre contraddizioni. Non lo fa per rimbrotto, ma sperando in un nostro svegliarci dal torpore. Non usa altri mezzi; lui che potrebbe far brillare l'evidenza della sua identità, sceglie di rispettare la nostra libertà. La missione che nasce da lui non può che seguire la stessa traccia, mettendo in conto anche il rifiuto. È pura gratuità, non dimostrazione schiacciante.
Un'anziana della nostra comunità voleva chiedere il battesimo, ma non osava avvicinarmi. Allora la invitai nella nostra cappella, che è una ger (la tenda mongola) e le chiesi cosa la spingesse a fare questo passo. Gli occhi della signora si volsero al crocifisso e le molte rughe si distesero in un sorriso; poi alzò la mano in quella direzione e disse: "Mi trovo bene con lui". La signora aveva sperimentato nella sua vita che il Figlio dell'uomo là innalzato era per lei sorgente di vita.
Quanto siamo restii ad accogliere Dio nella nostra vita! Sembra assurdo, ma è così. Gesù ha più volte sperimentato l'equivoco e il sospetto nei propri confronti. Invece di rallegrarci della sua presenza tra noi, talvolta ci complichiamo la vita e chiediamo "segni" per credere. Le persone che vengono alla fede in Mongolia - provenendo da tutt'altro background - c'insegnano l'immediatezza, la prontezza, la semplicità che spesso mancano a noi che ci diciamo cristiani di lunga data.