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Missionari di speranza

«Siamo gente di primavera, con uno sguardo sempre pieno di speranza da condividere con tutti, perché in Cristo crediamo e sappiamo che la morte e l’odio non sono le ultime parole sull’esistenza umana» (papa Francesco, messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2025).

«La promozione dello zelo apostolico tra le genti rimane un aspetto essenziale del rinnovamento della Chiesa previsto dal Concilio Vaticano II, ed è ancora più urgente oggi. Il nostro mondo, ferito dalla guerra, dalla violenza e dall’ingiustizia, ha bisogno di ascoltare il messaggio evangelico dell’amore di Dio e di sperimentare il potere riconciliante della grazia di Cristo. In questo senso, la Chiesa stessa, in tutti i suoi membri, è sempre più chiamata ad essere una Chiesa missionaria che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola […] e che diventa lievito di concordia per l’umanità».

Così si è espresso papa Leone XIV nel mese di maggio, all’inizio del suo pontificato, ai direttori nazionali delle Pontificie opere missionarie. «Perciò – ha aggiunto – vediamo l’importanza di promuovere uno spirito di discepolato missionario in tutti i battezzati e il senso dell’urgenza di portare Cristo a tutti i popoli».

Era questo il sogno di san Giuseppe Allamano il quale, pur riconoscendo che non tutti possono partire per le missioni «tutti possono essere apostoli nel loro Paese e in casa loro. Tutti sono chiamati e devono essere apostoli; ognuno, nel suo ambiente e sfera di azione, deve sforzarsi di far conoscere e amare Gesù Cristo». Attraverso la rivista «La Consolata», da lui fondata, aveva svolto un’intensa opera di sensibilizzazione sulla natura missionaria della Chiesa e l’urgenza di annunciare il Vangelo a tutti. Mosso dallo stesso spirito, nel 1912 si era fatto promotore presso i superiori generali degli istituti missionari italiani di una lettera, inviata a papa Pio X, con la richiesta di istituire la «Giornata missionaria mondiale» per animare alla missione tutta la Chiesa. Un’iniziativa che rappresentò la prima tappa di un lento sviluppo, sfociato poi nell’enciclica missionaria Maximum Illud di papa Benedetto XV, pubblicata nel 1919, che portò nel 1926 alla celebrazione della prima Giornata missionaria mondiale. Papa Leone concludeva il suo discorso esortando i rappresentanti delle Pontificie opere missionarie a essere «Missionari di speranza tra le genti», tema scelto da papa Francesco, ancora in vita, per la Giornata missionaria di quest’anno.

Per san Giuseppe Allamano si diventa «missionari di speranza» perseguendo l’ideale della santità, lasciando cioè trasparire, attraverso il dono della propria vita, la carità di Cristo che si piega su ogni creatura per farla oggetto del suo amore.

«Solamente facendovi voi santi e grandi santi, potrete ottenere il fine proprio del nostro Istituto: salvare molte anime di infedeli», così diceva. E aggiungeva: «Il missionario deve avere maggiore virtù per essere uno strumento idoneo nelle mani di Dio: deve avere una santità speciale, eroica, e, all’occasione, anche straordinaria da fare miracoli».

San Giuseppe Allamano ha acceso il «fuoco della missione» in tantissimi cuori che, mediante l’annuncio del Vangelo, continuano a seminare speranza nel mondo.

Sergio Frassetto

Nella casa di Allamano

Le celebrazioni seguite alla canonizzazione di san Giuseppe Allamano, avvenuta il 20 ottobre 2024, dopo i fasti di piazza San Pietro, si sono svolte nei paesi che videro la sua vita quotidiana, prima nella sua terra natale, Castelnuovo, poi al Santuario della Consolata dove fu rettore per 46 anni. La celebrazione conclusiva si è svolta nel santuario «San Giuseppe Allamano», chiesa della Casa madre dei Missionari della Consolata, chiamata anche «Casa del fondatore» perché qui c’è il sepolcro che contiene le sue spoglie. Riportiamo l’omelia di monsignor Osório Citora Afonso, missionario della Consolata mozambicano, attuale vescovo di Quelimane, Mozambico.

Nella casa di san Giuseppe Allamano

Siamo in un luogo santo, meta di pellegrinaggio, un luogo che ci invita a sostare in preghiera e meditazione. È un luogo di relazione, una casa: il sepolcro di un defunto, infatti, secondo un’antichissima concezione cristiana, è anche la sua casa. Mentre egli vive nella perfetta comunione con Dio, è la sua dimora terrena il luogo dove continua a spargere benedizione, incoraggiamento e consolazione. Ed è qui, in questa casa, che vogliamo riascoltare ancora il suo mandato missionario e respirare la sua santità.

Luogo di relazione e santificazione

La casa è un luogo di vita, di incontri, di relazioni, dove le persone, i missionari e i laici cercano di vivere e di testimoniare la passione per la missione che nasce dalla ricerca della santità. Una santità del quotidiano che cresce nelle relazioni reciproche. In questo senso, desidero richiamare lo spirito di famiglia a cui ci esortava Allamano: è lo spirito della casa, ed è lo spirito della prima comunità cristiana: «Avevano un cuor solo e un’anima sola». Vivendo questo spirito di comunione, respiravano e testimoniavano l’amore di Dio.

Celebrando la canonizzazione di Giuseppe Allamano, pensiamo, dunque, di vivere lo spirito della casa. Papa Francesco, citando grandi santi come papa Giovanni Paolo II e Carlo Acutis, parlava, appunto, dei «santi della porta accanto», di quella gente normale che non giunge da un mondo parallelo, ma appartiene al popolo fedele di Dio e che è inserita nella quotidianità fatta di famiglia.

La missione inizia nella casa

Parlare della casa è parlare della missione che inizia nelle nostre case religiose, ma anche nelle nostre famiglie dove ritorniamo ogni tanto per visitare i nostri parenti e gli amici. Ed è qui dove conosciamo le difficoltà della gente, le sofferenze, la mancanza di speranza, ma è anche qui che troviamo i santi della porta accanto.

La santità, diceva Allamano, non è un programma di sforzi e di rinunce, è vivere «lo straordinario nell’ordinario». È dire anche solo «Buon giorno», ma detto bene; è saper dire al fratello o alla sorella: «Ti voglio bene»… sono piccoli gesti legati alla casa, ma che fanno crescere questa famiglia religiosa.

È un’esperienza che io stesso ho fatto tornando da vescovo nelle nostre comunità in Italia: nessuno mi chiamava «Eccellenza», ma tutti mi davano del «tu». Trovare padre Fiorentini o padre Trabucco che ho conosciuto come superiori generali e sentirmi rivolgere la domanda: «Osório come stai?». O rivolgermi a padre Lengarin, attuale superiore generale, chiedendogli «Come stai?» e lui: «Andiamo a prendere un caffè», tutto questo mi ha fatto sentire a casa mia. Il mio cuore era agitato da grossi problemi riguardanti la mia terra natale, ma l’essere trattato con tanta amicizia e familiarità mi faceva sentir bene. La santità di Allamano era così: «Lo straordinario nell’ordinario». Se vogliamo vivere questa santità di cui Allamano è modello, ripartiamo dalle nostre case, dalle nostre relazioni, dalle piccole cose della vita quotidiana.

Uscire per evangelizzare

È là, nella casa, dove si ascolteranno le ultime parole di Gesù: «Andate e predicate» (Mc 16,14), e noi siamo venuti in questa casa per ascoltare ancora una volta quell’«andate» dalla vita di Allamano. Ne abbiamo bisogno perché spesso ci siamo accomodati nelle nostre case e, magari, abbiamo perso la voglia di uscire.

Il Risorto chiede di andare, cioè di mettersi in cammino. Gli apostoli hanno ricevuto il comando di uscire da Gerusalemme e, come loro, i primi missionari sono usciti da Torino e hanno evangelizzato il mondo. E oggi, noi siamo qui da molte parti del mondo come frutti del loro lavoro e siamo qui perché i primi sono usciti.

Se cerchiamo la comodità la missione morirà. Bisogna, dunque, uscire. Il Risorto non chiede ai discepoli di abbellire il sepolcro (dell’Allamano), non chiede di incidere lapidi, né di dedicargli vie e meno ancora di costruirgli monumenti o scrivere libri su di lui, tantomeno di organizzargli feste. Chiede di continuare quel ministero della Parola che ha costituito la sua principale attività suscitando la fede nel cuore dei discepoli. Il Vangelo ci racconta che Gesù era sempre in movimento, passava da un villaggio all’altro, da una città all’altra ed è questo a cui siamo chiamati.

Missionari della consolazione

Uscire da Gerusalemme e andare in tutto il mondo, a tutti i popoli per formare un popolo di popoli. All’inizio, i Missionari della Consolata erano tutti italiani, piemontesi, e oggi vengono da tutto il mondo. La prima chiamata ha spinto ad uscire e a mettersi in movimento affinché il messaggio di Gesù giungesse ai confini della Terra.

E proprio dai confini è sgorgato il miracolo che ha portato alla canonizzazione di Giuseppe Allamano. Non da Torino, non da Roma, non da São Paulo o da qualche grande città, ma dal folto della foresta amazzonica è brillata la santità di Giuseppe Allamano.

Lasciamo, dunque, le nostre comodità e usciamo a portare la buona notizia della consolazione.

È bello sentire che, dove passa un missionario della Consolata, passa la consolazione, quella che trova la sua radice nella casa, nella famiglia così come san Giuseppe Allamano ci voleva.

A cura di Sergio Frassetto

Pier Giorgio frassati e Giuseppe Allamano

Il 7 settembre scorso, papa Leone ha canonizzato Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis. Padre Michelangelo Piovano, vice superiore generale dei missionari della Consolata, racconta di quando era ancora bambino e suo papà, presidente dell’Azione cattolica di Cambiano (To), gli parlava con entusiasmo del nuovo santo torinese, come di un modello di vita cristiana e di impegno politico e sociale. «Lo era per lui, come padre di famiglia, e voleva che lo fosse anche per me parlandomene e regalandomi una piccola biografia che era in circolazione a quei tempi. Ed è per questo che Pier Giorgio Frassati mi è sempre stato caro e ogni volta che ritorno a Torino amo fare un piccolo pellegrinaggio alla cattedrale dove è conservata la Sindone, ma anche l’altare con la sua tomba».

Torino, 4 maggio 1924, ingresso in diocesi del cardinale Giuseppe Gamba con la presenza di Giuseppe Allamano (al centro con il piviale) e del giovane Pier Giorgio Frassati (a destra, giovane con cappello dietro sacerdote con cotta bianca).

San Giuseppe Allamano e san Pier Giorgio Frassati erano contemporanei e quasi certamente si conoscevano. Infatti, è dimostrato che il secondo ha frequentato il Santuario della Consolata, quando Allamano ne era rettore. È inverosimile che un giovane del suo calibro spirituale non abbia sentito il fascino di un tale rettore! Tanto più se si pensa che anche Frassati aveva un’anima missionaria e intendeva, presa la laurea in ingegneria mineraria, emigrare per essere accanto ai minatori in America, in Russia, in Africa.

Ci sono due testimonianze di don Nicola Baravalle, secondo successore di Allamano come rettore della Consolata. La prima è stata rilasciata al processo canonico: «Il Servo di Dio come grandemente gioiva e si compiaceva del bene compiuto dagli altri, così soffriva immensamente per le offese fatte al Signore. Ricordo, che quando nella andata a Roma della Gioventù cattolica, vi furono tafferugli, per cui vennero incarcerati parecchi nostri giovani, egli si compiaceva e versava lacrime di intima gioia nel leggere che il Servo di Dio Pier Giorgio Frassati teneva alto il morale di tutti, non piegandosi alla volontà dei nemici, e non accettando la liberazione quando si venne a conoscere che era figlio dell’ambasciatore d’Italia a Berlino. E più ancora nel sapere che era l’anima di tutti, che invitava a recitare il rosario, e intonava le litanie della Madonna».

Ma la testimonianza più bella è quella che Baravalle scrisse nella lettera alla sorella di Frassati: «(Nel 1925) alla notizia della morte di Pier Giorgio, il vecchio Allamano pianse». Non si piange per uno sconosciuto. Baravalle continua: «Nel giorno dell’ingresso del nostro amatissimo arcivescovo (monsignor Giuseppe Gamba – 4 maggio 1924), a cena, il canonico Allamano ricordava di aver notato lo studente Frassati che procedeva soddisfatto e riverente a lato dell’arcivescovo, e sovente concordava ancora con questo giovane così nascostamente virtuoso».

Il padre Giacinto Scaltriti, ricordando l’impegno cristiano, soprattutto sul piano sociale di Frassati, e conoscendo la sensibilità di Giuseppe Allamano in questo campo, si domanda: «Quante volte Pier Giorgio fu dall’Allamano per coordinare quest’azione che aveva un quartiere non secondario in quello della Consolata?». Una conferma indiretta è rappresentata da una foto che riprende, in una sola inquadratura, sia Allamano che Frassati, vicini al nuovo arcivescovo, monsignor Gamba, nel corteo del solenne ingresso in diocesi.

L’amore per il Signore, per l’Eucarestia, per la Consolata, per i poveri e la missione che li ha accomunati qui in terra li trova ora uniti nella comunione dei santi insieme ad altre belle figure di santità della chiesa torinese sempre attenta a tutto ciò che è umano, ma che ci riporta a Cristo e che sosteneva la vita di fede di san Pier Giorgio, il quale scriveva: «Gesù nella santa comunione mi fa visita ogni mattina. Io gliela rendo, con i miei poveri mezzi, visitando i poveri».

Michelangelo Piovano

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