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Nelle ultime settimane, la marina militare degli Stati Uniti ha silurato e affondato quattro pescherecci venezuelani con un conto di 21 vittime civili, etichettate da Washington come «narcoterroristi» che, secondo la versione statunitense, stavano trasportando carichi di droga verso il Nord America.
Il bombardamento, che rientra nella dichiarata guerra statunitense ai cartelli del narcotraffico, è avvenuto nelle acque internazionali di fronte al Venezuela, dove, a partire da fine agosto, gli Stati Uniti hanno lanciato un’ampia operazione militare con il dispiegamento di tre cacciatorpediniere dotati di missilistica, aerei militari e sommergibili.
Questa azione verso dei civili di cui non è stato appurata la collusione con il narcotraffico ha portato a un’escalation senza precedenza della storica e continua ostilità tra Stati Uniti e Venezuela. Il presidente Nicolas Maduro si sente minacciato dall’affollamento militare delle acque davanti alle coste del suo paese e ha dichiarato che se Washington attaccherà, allora il Paese del petrolio risponderà. Nel frattempo, ha rafforzato i controlli alle frontiere e mobilitato oltre quattro milioni di membri della Milizia nazionale.
Lotta al narcotraffico o a Maduro?
Dietro infatti al dispiegamento del contingente militare statunitense nel mar dei Caraibi si nasconderebbe l’ipotesi che, oltre alla guerra al narcotraffico, Trump punti a colpire il Venezuela per generare un cambio politico, attraverso la cattura di Maduro che considera il «più grande narcotrafficante del mondo», e su la cui testa ha emesso una taglia da 50milioni di dollari.
Da parte sua, Caracas ha dichiarato che l’intento del governo di Trump sarebbe quello di eliminare l’attuale presidente per creare un governo fantoccio, facilmente manovrabile, che permettesse agli Stati Uniti di accedere alle risorse naturali del Venezuela.
Maduro è inviso a buona parte della popolazione e anche della comunità internazionale, che lo accusano di brogli elettorali, corruzione e isolamento politico, e, di fatto, avrebbe portato il paese al collasso economico. Nonostante ciò, l’offensiva degli Stati Uniti è stata vista con grande preoccupazione da esperti di diritti umani e da 62 Ong, tra cui Oxfam e Human rights first. Queste, martedì 8 ottobre, hanno inviato una lettera aperta al Congresso degli Stati Uniti, per fermare la campagna militare di Trump nel mare dei Caraibi che potrebbe innescare una guerra senza precedenza in Venezuela o in tutta la regione.
Il presidente colombiano, Gustavo Petro, ha condannato l’attacco missilistico definendolo un vero e proprio «assassinio» e ricordando che la guerra al narcotraffico dovrebbe basarsi sull’arresto e non sull’uccisione di chi trasporta i carichi di droga. Ha inoltre sottolineato come non sia la cupola del narcotraffico a occuparsi del trasporto, ma persone giovani in condizione di grave povertà che accettano di fare i corrieri per pochi soldi. Per questo motivo, ha spiegato Petro, un attacco militare in mare non rappresenta un valido strumento per smantellare un cartello e tanto meno il narcotraffico.
A fare eco al presidente colombiano è Clacso, il Consiglio latinoamericano di scienze sociali, che ha espresso la sua profonda preoccupazione per un’offensiva in acque internazionali contro navi che non rappresentano una minaccia diretta per gli Stati Uniti. Il Consiglio ha dichiarato: «Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione di fronte alle azioni militari del governo degli Stati Uniti nelle acque dei Caraibi, che dimostrano la chiara intenzione di ottenere una posizione geopolitica per il controllo delle risorse strategiche della regione dei Caraibi e dell’America Latina».
Uccidere civili in mare (o in terra) è un atto criminale.
L’offensiva navale statunitense crea un precedente importante nella storia alla lotta contro i cartelli del narcotraffico e solleva molti dubbi legali.
In primo luogo, secondo la convezione Onu sul diritto del mare, non è consentito attaccare una barca in acque internazionali, a meno che lo scontro non sia iniziato in acque territoriali di un paese e si sia poi spostato al largo.
In secondo luogo, anche se le persone a bordo fossero state – dato non appurato – coinvolte nel traffico di droga, l’uso della forza letale non è giustificabile perché esse non hanno attaccato e quindi non rappresentavano un pericolo immediato per i militari statunitensi, per cui non sussiste l’attenuante della legittima difesa. Uccidere dei civili senza provare la loro collusione con il crimine organizzato è una vera e proprio esecuzione extragiudiziale, ma anche se fossero stati collusi, si tratterebbe comunque di un uso eccessivo e non proporzionato della forza.
Per agire nel rispetto del diritto, gli Stati Uniti avrebbero dovuto aspettare che le barche entrassero nelle acque di propria giurisdizione e a quel punto avrebbero potuto intervenire senza ricorrere a misure letali.
Il Nobel che piace a Trump
Nella giornata di oggi, 10 ottobre, è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace 2025 a María Corina Machado, leader dell’opposizione in Venezuela, con la seguente motivazione: «Per il suo instancabile lavoro a favore dei diritti democratici del popolo venezuelano e per la sua lotta per una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia».
Machado, figura molto amata da una parte significativa della popolazione venezuelana, si è battuta per libere elezioni e ha denunciato in più occasioni le violazioni dei diritti umani e la repressione del dissenso da parte del Governo bolivariano che l’ha colpita personalmente. È’ stata infatti esclusa dalle elezioni e durante un comizio proprio dopo le votazioni del 2025 è stata fermata e brevemente detenuta. Da allora vive in luogo segreto fuori dal paese.
Sostenuta dagli Stati Uniti, che attraverso la voce di Marco Rubio l’hanno definita «la dama d’acciaio del Venezuela», la decisione di assegnare a María Corina Machado il Nobel in questo momento assume un forte valore simbolico. Allo stesso tempo, però, potrebbe contribuire a influenzare l’opinione pubblica internazionale e legittimare un eventuale intervento armato degli Stati Uniti in Venezuela che con la scusa di instaurare un governo «democratico», di fatto imporrebbe una sua ingerenza nella politica venezuelana, giustificando anche la violazione dei diritti umani che si sta già verificando nel Mar dei Caraibi.
Simona Carnino