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Tanzania. Elezioni farsa, centinaia i morti

Il malcontento dei giovani dilaga, l’opposizione accusa

La mattina di mercoledì 29 ottobre – giorno delle elezioni presidenziali in Tanzania – molti seggi in tutto il Paese sono rimasti quasi vuoti. Tra coloro che non si sono recati a votare, c’erano moltissimi giovani. Quei giovani che, il pomeriggio, hanno invece iniziato a radunarsi per le strade di Dar es Salaam (capitale economica del Paese) per manifestare il loro malcontento nei confronti di un regime sempre più oppressivo. Oltre che per denunciare l’inutilità di un’elezione, il cui risultato – la vittoria della presidente uscente, Samia Suluhu Hassan – era deciso già da tempo. Infatti, i principali esponenti dell’opposizione (Tundu Lissu del partito Chadema e Luhaga Mpina dell’Act-wazalendo) erano stati esclusi, servendosi di accuse giudiziarie e cavilli burocratici.

Lo scoppio delle proteste

Dar es Salaam è una città di oltre sette milioni di abitanti. Affacciata sull’Oceano Indiano, è uno snodo commerciale fondamentale, grazie al suo porto. È proprio in questo agglomerato urbano che, il giorno del voto, sono iniziate le proteste dei giovani tanzaniani. Mentre i manifestanti sfogavano la loro rabbia contro il sistema, bruciando veicoli, pompe di benzina e stazioni di polizia, le forze dell’ordine hanno risposto con gas lacrimogeni, proiettili e blocchi stradali.

Poi, è sceso in strada anche l’esercito, rafforzando la repressione. A nulla è servito il coprifuoco, dichiarato dalle autorità la sera di mercoledì: i manifestanti l’hanno ignorato, continuando a protestare e la polizia ha risposto con colpi d’arma da fuoco e gas lacrimogeni.

Nel frattempo, la situazione nel resto del Paese è diventata sempre più confusa. Già prima del voto, le autorità avevano bloccato l’accesso a internet e posto i media sotto rigido controllo, tanto che le uniche notizie sulle proteste circolano sui social. Tutti i dipendenti pubblici lavoravano da remoto e gli uffici governativi erano chiusi. Anche la riapertura di università e college (prevista per lunedì 3 novembre) è stata posticipata a data da destinarsi.

Sui social circolavano video non verificati che mostravano i manifestanti mentre invadono l’aeroporto di Dar es Salaam. D’altra parte, gli scali di Dar es Salaam, Arusha e del Kilimangiaro sono stati chiusi e molti voli cancellati, provocando una situazione di panico e caos soprattutto tra i viaggiatori stranieri. Solo l’aeroporto di Zanzibar continua a funzionare, anche se con difficoltà.

I risultati contestati

Mentre giovedì 30 la rete televisiva statale, la Tanzania broadcasting corporation, mandava in onda i risultati provvisori del voto – che davano Hassan in testa con il 96,99% dei consensi -, le proteste si sono intensificate, coinvolgendo diverse città del Paese, tra cui Dar es Salaam, Arusha, Dodoma e Mbeya.

Nell’arcipelago semiautonomo di Zanzibar, invece, la vittoria del Chama cha mapinduzi (Ccm) – il partito di cui fa parte Hassan e che governa la Tanzania dall’indipendenza nel 1961 – era certa già giovedì, quando la Commissione elettorale ha annunciato che il presidente uscente, Hussein Mwinyi, aveva ottenuto il 78,8% dei consensi. L’opposizione ha reagito, denunciando «frodi massicce».

Sabato primo novembre, invece, sono stati annunciati i risultati definitivi anche per la Tanzania: senza sorprese, Hassan è stata riconfermata con il 97,66%. Nel comunicare i dati ufficiali, la Commissione ha sottolineato che la presidente uscente aveva «dominato in ogni circoscrizione». Un risultato che John Kitoka, portavoce del Chadema (il principale partito di opposizione, escluso dal voto per non aver firmato il Codice di condotta elettorale), ha definito «una parodia di un processo democratico».

Centinaia di manifestanti uccisi

Il bilancio di questi primi giorni di protesta non è chiaro. La mancanza di una connessione internet affidabile e le poche notizie che escono dal Paese rendono difficile avere certezze.

Venerdì, esponenti del Chadema hanno riferito all’Agence France Presse (Afp) che almeno 700 persone erano rimaste uccise nelle manifestazioni. Il bilancio stilato dalle Nazioni Unite invece, per il momento, si ferma a dieci morti. Da parte sua, il governo tanzaniano nega qualsiasi decesso, oltre a rigettare le accuse sulla violenza della polizia. Le autorità hanno derubricato le proteste a semplici tafferugli e Hassan – che, nel frattempo, il 3 novembre, si è nuovamente insediata come presidente – ha accusato i manifestanti di atteggiamenti irresponsabili e antipatriottici.

Ma i giovani tanzaniani, in realtà, non sembrano avere intenzione di fermarsi. D’altra parte, la loro decisione di scendere in massa per le strade delle maggiori città del Paese è sintomo di un malessere generalizzato – comune a quello di tanti altri giovani del continente – nei confronti di una classe politica spesso anziana, lontana dai reali bisogni della popolazione e interessata solo a mantenersi al potere e ad arricchire la propria cerchia di fedeli.

Aurora Guainazzi

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