Inserisci la tua email e iscriviti alla nostra newsletter

Bolivia. La fine del socialismo

Alle elezioni presidenziali vince il centro destra

Il nuovo presidente è Rodrigo Paz Pereira, esponente del centro destra e figlio dell’ex presidente Jaime Paz Zamora. Eletto il 19 ottobre scorso, il suo successo potrebbe essere sintetizzato in quattro parole: fine del socialismo boliviano. La sua vittoria, contro il suo avversario Jorge Tuto Quiroga, è stata sostenuta da oltre il 54% dei votanti, e ha segnato un cambio di rotta del Paese, da oltre 20 anni guidato dal «Movimiento al socialismo» (Mas), il partito fondato da Evo Morales, e più recentemente dall’ultimo presidente Luis Arce Catacora.

Rodrigo Paz è riuscito a convogliare su di sé il voto, ma anche il malcontento e la frustrazione, di molti di coloro che per anni hanno votato il Mas, ma che oggi delusi dalla sua politica economica, dall’aumento generalizzato dei prezzi e dalla difficoltà di accedere a beni importati sempre più cari. A questo si aggiunge la scarsità di combustibile, che ha gravato sulla produzione in generale e sui trasporti.
L’ascesa del centrodestra in Bolivia riflette la crisi dei governi di sinistra di matrice marxista, accomunati da stagioni di forti riforme sociali, ma anche brama di potere dei suoi leader, spesso accusati di autoritarismo e di aver isolato economicamente i propri Paesi. Questo ha favorito l’avvento di governi orientati al libero mercato e alla riduzione dello statalismo.

Il caso Bolivia

Nel 2016 un referendum costituzionale permise la rielezione del presidente Evo Morales. Nel 2019, presunti brogli elettorali che avrebbero favorito la vittoria dell’ex presidente hanno scatenato proteste di piazza. A dieci giorni dalle elezioni, l’opposizione richiese la rinuncia di Morales proprio quando gli osservatori elettorali dell’Organizzazione degli stati americani (Oea, sigla in spagnolo, ndr) avevano pubblicato un rapporto nel quale si metteva nero su bianco la comprovata presenza di irregolarità nel voto.

L’escalation delle tensioni raggiunse il culmine con l’abbandono dell’incarico da parte dei militari dell’Unidad táctica de operaciones policiales (Utop), incaricata della difesa del presidente. Questo fatto fu la miccia che portò a quello che Evo Morales e altri leader latinoamericani definirono Golpe.

Pochi giorni dopo, Morales, ormai vulnerabile e a rischio di detenzione da parte delle sue stesse forze armate, si rifugiò in Messico, e al suo posto prese il potere Jeanine Áñez, vicepresidente del senato, poi arrestata nel 2021 con le accuse di sedizione, terrorismo e cospirazione per la partecipazione al colpo di Stato del 2019.

Il governo di Morales, come quello di altri leader di ispirazione socialista, portò a numerose riforme per la riduzione della povertà, ottenute anche grazie alla nazionalizzazione delle risorse naturali e al miglioramento dello stato sociale, a partire dall’educazione e dal sistema sanitario. Dall’altra parte, però, il Paese rimase isolato finanziariamente e diplomaticamente. Le forti tensioni tra Stati Uniti e Bolivia portarono alla reciproca espulsione delle ambasciate, a cui è seguita da parte di Morales la successiva esclusione dal territorio nazionale dell’agenzia di cooperazione governativa statunitense Usaid e dell’agenzia antidroga Dea. Allo stesso tempo, la scarsità di dollari rese difficili l’approvvigionamento di materiali sanitari e del combustibile, che avveniva attraverso acquisti in valuta estera, aumentando di fatto l’instabilità del mercato e l’inflazione nel Paese.

Rodrigo Paz e la new wave

Il programma elettorale di Rodrigo Paz presenta chiari elementi antitetici rispetto ai suoi predecessori. Dopo la vittoria elettorale ha dichiarato che porrà fine allo statalismo, cavallo di battaglia di Morales, e aprirà il Paese agli investimenti esteri, abbracciando di fatto un’ideologia neoliberista e promuovendo la crescita del settore privato boliviano.

Paz ha inoltre promesso di porre fine alla scarsità di combustibile che negli ultimi tempi è stata evidente nelle lunghe code di automobili nelle stazioni di servizio, e di aumentare la disponibilità di dollari nel Paese, misura che potrebbe favorire una graduale rivitalizzazione dell’economia.
Lo slogan di Paz è capitalismo para todos, che si svilupperebbe appunto attraverso l’apertura al libero mercato, senza dimenticare, a quanto dice, le riforme sociali che in passato hanno permesso a molte persone di uscire da contesti di estrema povertà.

Soprattutto, Paz parla di ricucire le fratture diplomatiche con gli Stati Uniti, che hanno espresso commenti favorevoli alla sua elezione e ribadito l’importanza di sostenere il nuovo leader nell’espansione del settore privato nazionale.

La vicinanza espressa da Paz nei confronti di Washington comporterà probabilmente un distanziamento da partner storici come Cuba e Venezuela. D’altro canto, sul piano geopolitico, l’elezione di Paz conferma il progressivo isolamento dei governi di sinistra in America Latina.

Rimane sullo sfondo la relazione con la Cina, potenza silenziosa ma saldamente inserita nell’economia di molti Paesi della regione e oggi uno dei principali partner commerciali della Bolivia.
Dalla prima riunione con l’ambasciatore cinese a La Paz, Wang Liang, è emerso l’interesse del nuovo presidente a rafforzare le relazioni diplomatiche e commerciali, senza escludere la possibilità di aprire il Paese a nuove partnership e finanziatori. In parallelo, Paz ha dichiarato che intende rendere più trasparenti gli accordi sul litio siglati dai governi precedenti con Russia e Cina.

Simona Carnino

SCARICA IL PDFSTAMPA L'ARTICOLO

Ti è piaciuto questo articolo? Sostieni MC: ci aiuterai a produrre un’informazione approfondita senza pubblicità!

Cambiare il mondo comincia da te. Diamo voce ai valori umani: iscriviti e fai la differenza!