Lo sciamano, messaggero di Dio

Sono 82 le etnie indigene della Colombia. Un milione di indios (su un totale di 37 milioni
di colombiani) che occupano l’ultimo gradino nella scala sociale del paese.
Eppure, a differenza degli altri stati latinoamericani,
la Colombia dispone di una legislazione molto avanzata in questo campo.
La Costituzione del 1991 ha ufficializzato un paese plurietnico e multiculturale,
riconoscendo alle popolazioni indigene il diritto all’autonomia
(territoriale, politica, economica e culturale).
In questi inserti, cercheremo di descrivere alcuni aspetti della cosmogonia, antropologia
e vita quotidiana degli indigeni colombiani, con particolare riferimento all’etnia nasa-paez.
Cominciamo con la figura dello sciamano o medico tradizionale.

In lingua nasa si chiama «tke» (si legge: thè), che significa «tuono» e dunque «messaggero di Dio». Lo sciamano o medico tradizionale è l’uomo dell’armonia con la madre terra, è colui che conosce il mondo degli spiriti e di conseguenza il modo per entrare in contatto con loro. Egli è l’intermediario tra l’uomo e l’aldilà e quindi ha una funzione sacrale, sacerdotale.
All’interno della comunità lo sciamano è investito di molteplici funzioni. Conoscendo i segreti della natura, sa curare le malattie attraverso le erbe. Conoscendo l’aldilà, può prevedere la morte e i pericoli. Sa purificare, liberando le persone dagli spiriti cattivi. Il medico tradizionale è dunque il centro della vita nasa, più importante del cabildo (l’organo collegiale e decisionale della comunità) e del governatore. «Quando – spiega padre Roattino – si decidono gesti importanti, per esempio l’occupazione della Panamericana, mai si procede senza il preventivo permesso dello sciamano».
Ma come si diventa medico tradizionale? «Per tradizione o per vocazione. C’è una sorta di “chiamata” o un sogno che indica la strada. Poi, i chiamati si mettono nelle mani di un medico tradizionale che, nel giro di qualche anno, con determinati rituali fa uscire allo scoperto i loro poteri».
Naturalmente non tutti rivestono con merito questo ruolo. «È innegabile – scrive Luz Marina Quiguanas Conda, rappresentante nasa – che non tutti gli sciamani sono stati o sono buoni medici: alcuni si sono venduti al nemico di tuo, si sono lasciati ingannare o comprare o hanno lavorato contro l’armonia della comunità; altri chiedono soldi per il loro servizio o vogliono competere con i medici occidentali, approfittando dei poteri curativi delle piante medicinali, diventando così dei semplici “curanderos”».
Ci sono donne medico? «Sono rare, ma quelle poche hanno poteri molto forti. Va ricordato che gli sciamani non sono tutti uguali. In America Latina quelli dell’Amazzonia sono i più noti e rispettati. Qui, in Colombia, i più conosciuti sono quelli provenienti dal Putumayo, regione confinante con l’Amazzonia».
L’iconografia dello sciamano parla di gesti e rituali particolari. È vero? «Sì, lo sciamano ha tutto un suo alfabeto. Così, se sente lo spirito salire dalla mano destra e scendere dalla sinistra, è un buon segno, mentre è cattivo se avviene il contrario. Poi ci sono i riti che utilizzano la coca, le erbe, l’acqua…».
A prima vista, sacerdote e medico tradizionale sembrerebbero figure in competizione, entrambe intermediarie tra il mondo umano e quello spirituale… «Un tempo lo sciamano era demonizzato o ridicolizzato anche dalla chiesa cattolica. Oggi, per fortuna, le cose sono molto cambiate.
Il nostro rapporto con i medici tradizionali è più che buono. Essi riconoscono la figura del sacerdote e i sacramenti. Sono battezzati e vengono a messa. Nei loro rituali hanno assunto simboli ed elementi della tradizione cattolica. Quando, ad esempio, sono chiamati al “refresco”, una sorta di benedizione del nuovo cabildo e del bastone del governatore, molte volte gli sciamani chiedono la presenza del sacerdote, che benedirà l’acqua che essi useranno nel rito. E sulle loro insegne ci sono spesso immagini cristiane».
Rispetto a voi, le sètte evangeliche si comportano diversamente… «Altro che! Per gli evangelici gli sciamani sono l’incarnazione del diavolo».
Pa.Mo.

Paolo Moiola

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