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di padre Stefano Camerlengo, superiore generale dei Missionari della Consolata
Siamo molto vicini ai nostri parenti, amici e benefattori e ogni persona. Assicuriamo la preghiera quotidiana, e condividiamo profondamente le lacrime e il dolore di tutti e ciascuno, mentre attendiamo con Speranza i giorni in cui potremo tornare a cantare e danzare insieme l’inno alla Vita (a nome dei Missionari della Consolata in Italia e nel mondo).
Carissimi Missionari, parenti, amici e benefattori,
da diversi mesi stiamo vivendo il periodo più devastante della nostra storia, attaccati da questo nemico sconosciuto, piccolissimo, nascosto: il coronavirus. E, mentre tutti cerchiamo di obbedire agli ordini dei governi che, consigliati dagli scienziati, cercano di arginare il flagello, la preoccupazione aumenta e, a volte, diventa paura. Siamo preoccupati per la nostra comunità, per la nostra famiglia, per la comunità della missione in cui viviamo, per gli amici e certamente anche per noi stessi. Siamo preoccupati ora per l’Italia e l’Europa, ma pensiamo anche a che cosa capiterà fra poco, quando questo micidiale virus dilagherà negli altri paesi, negli altri Continenti. Ci domandiamo tutti, che ne sarà di noi? Che ne sarà della nostra vita? Che futuro ci aspetta? Queste ed altre domande maturano dentro di noi in questi giorni e non abbiamo risposta.
L’emergenza causata dal micidiale virus, che dilaga e infetta ovunque e chiunque nel mondo intero, genera una situazione talmente nuova che neanche in caso di terremoti, o conflitti era stata mai vissuta. In guerra ci si può salvare fuggendo, scendendo nei rifugi, ma con il virus questo non è possibile, non esistono vie di fuga, e l’unica difesa è di impedirgli di diffondersi, attraverso la restrizione dei normali comportamenti, evitando il più possibile ogni contatto tra gli individui. Se durante la guerra le persone trovavano conforto andando a pregare in chiesa, ora con il virus non si può; le chiese restano chiuse perché altrimenti diventano luoghi privilegiati di contagio.
In questo modo il nostro bizzarro isolamento ci mette in rapporto non solo alle persone con le quali lo condividiamo materialmente, ma con altri, altri sconosciuti e fratelli al tempo stesso. La lezione tremendissima del virus ci introduce forzatamente nella porta stretta della fratellanza universale. In questo strano e surreale isolamento noi stabiliamo una inedita connessione con la vita del fratello sconosciuto e con quella più ampia del mondo, ci sentiamo veramente missionari. Indubbiamente ciò che è male rimane male e ciò che è emergenza rimane emergenza. Ma anche un fatto in sé doloroso e molto negativo assume un valore differente per la nostra vita dal modo in cui noi lo viviamo, scegliamo di viverlo e, come credenti, cerchiamo di comprendere come attraversarlo alla luce della Parola di Dio. Allora anche il tempo del Covid-19 può diventare un’occasione per riscoprire alcuni aspetti della nostra fede, mentre la Quaresima che stiamo vivendo può insegnarci ad attraversare il difficile deserto del Coronavirus.
La quarantina della quaresima ha qualche cosa da dire alla quarantena del virus. La Chiesa nella sua storia bimillenaria per questo tempo liturgico ha sempre indicato dei “rimedi”, delle “medicine” per attraversare il deserto quaresimale e giungere, rinnovati e “guariti” dalle nostre ferite, a celebrare la vittoria pasquale: l’ascolto della Parola e la preghiera, il digiuno, la carità. Non potrebbero essere anche queste “medicine” quaresimali ad indicarci come vivere questo tempo così difficile anche per la fede. Invece di protestare per la ragionevole e doverosa sospensione delle celebrazioni pubbliche, per il bene nostro e degli altri, non si potrebbe “rispolverare” alcune pratiche che ci vengono dalla sapiente tradizione cristiana? Forse allora anche la quarantena potrebbe dire qualche cosa alla nostra quarantina e “costringerci”, come spesso accade quando si è necessariamente ridotti all’essenziale, a riscoprire alcuni elementi fondamentali della fede.
Concludendo vorrei ricordare a tutti noi alcuni punti fondamentali e invitare a rispettarli in toto con impegno e amore.
Carissimi, per il momento, considerando le informazioni che possediamo, abbiamo una comunità attaccata dal virus e in quarantena (…). Certamente il pensiero e la preghiera vanno per loro e per tutti quelli che appartenenti alla nostra famiglia della Consolata sono stati colpiti dal virus o sono nel timore che arrivi devastante. Il pensiero e la preghiera vanno anche ai nostri missionari e alle nostre comunità che vivono in Continenti e paesi poveri, meno strutturati a livello della sanità. È il momento di stare lontani tra noi fisicamente ma vicini come non mai con il cuore. È il momento di preoccuparci di tutti, è l’ora della consolazione. Che San Giuseppe sia e ci faccia custodi di tutti!
Coraggio e avanti in Domino!
Roma, 19 marzo 2020, festa di San Giuseppe!
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