Venezuela: Un paese sotto anestesia


La situazione sociale, economica e politica è precaria, e peggiora rapidamente. Molti fuggono dal paese. I missionari della Consolata, presenti dalla capitale Caracas alle foci del rio Orinoco, hanno scelto di restare accanto alla gente alimentando la speranza e condividendo la vita con i più poveri.

«Volevo offrirvi un caffè, ma oggi non ho niente». Lo sfogo viene da una madre che riceve una visita a casa sua nella regione di Barlovento, stato di Miranda, in Venezuela. La situazione economica, politica e sociale del paese è così complicata che diventa difficile da capire. Con ampi poteri, il governo di Nicolás Maduro, seguendo il suo ispiratore, Hugo Chávez, controlla tutte le istituzioni e impone la sua ideologia. Forse è per questo che ci sono ancora persone che difendono la «Rivoluzione Bolivariana». Tuttavia, crescono le critiche non solo dell’opposizione, ma anche di alcuni settori della sinistra e della popolazione in generale che soffre le dure conseguenze di una disastrosa gestione economica.

Coda per comperare del cibo a Caracas

«Non c’è prospettiva per il futuro e la cosa più triste è che le persone si abituano a vivere male. Il Venezuela è un paese anestetizzato da una diffusa rassegnazione», dice padre Adan Ramirez, cancelliere della curia a Caracas, analizzando lo stato generale e lo spirito della popolazione.

Ci sono persone che credono nella possibilità concreta di un cambiamento, ma manca un leader per transformare questo desiderio in un progetto politico alternativo.

«Tra aprile e luglio (2017) in particolare, in varie parti del paese si sono svolte proteste di massa a favore e contro il governo. Il diritto di riunione pacifica non è stato garantito. Secondo i dati forniti dalle autorità, nel contesto di queste proteste di massa sono rimaste uccise almeno 120 persone e più di 1.777 sono state ferite, tra manifestanti, membri delle forze di sicurezza e passanti» (dal Rapporto annuale 2017-2018 di Amnesty International). Centinaia le persone arrestate.

La situazione già precaria sta peggiorando rapidamente. Sebbene il paese abbia grandi riserve di petrolio, l’iperinflazione ha spinto l’economia nel caos.

È un Venezuela in fiamme quello di oggi, di contrapposizioni forti e sanguinarie. Per questo si scorge quella rassegnazione che nasce quando, alzando gli occhi al cielo, non si vedono più le stelle.

La corruzione e la mancanza di beni di prima necessità colpiscono la popolazione che già soffre a causa della carenza di energia elettrica, acqua, gas, trasporti, farmaci e servizi pubblici.

Distribuzione di cibo a Carapita

Senza nessuna prospettiva di lavoro, milioni di venezuelani emigrano, soprattutto giovani e professionisti. Quasi tutte le famiglie hanno qualcuno all’estero. Molti genitori affidano i bambini ai nonni e se ne vanno fuori dal paese alla ricerca di fortuna.

Secondo il cardinale Baltazar Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida e amministratore apostolico di Caracas, il paese non ha la forza di reagire. «I partiti di opposizione sono disabilitati, i loro leader sono incarcerati o costretti a fuggire all’estero. Le istituzioni sono controllate dal governo che domina anche l’economia. La paura è grande, soprattutto tra i giovani che sono disillusi», dice il cardinale, che sottolinea anche le sfide di questa crisi per la Chiesa: «Rilanciare la speranza e la fede del popolo, oltre che curare l’odio, frutto della polarizzazione».

Il Venezuela è il paese con le maggiori riserve di petrolio del mondo, e questo fa dell’oro nero l’unico motore dell’economia, rappresentando oltre il 95% dei proventi delle esportazioni. Nel 2014, un barile di petrolio era scambiato a 115 dollari americani. Oggi è valutato a 70 dollari, dopo essere sceso a 26 nel 2016.

Il governo di Maduro accusa «la borghesia» di creare una struttura economica che non favorisce lo sviluppo. Un altro nemico sempre citato nelle spiegazioni del presidente sono gli Stati Uniti che, secondo lui, interferiscono per destabilizzare il paese.

Missionaria della Consolata riuniti a Barquisimeto

La Consolata in Venezuela

In Venezuela lavorano 13 missionari della Consolata:

  • a Barlovento nelle parrocchie di Panaquire, El Clavo e Tapipa;
  • nell’archidiocesi e nella città di Barquisimeto, con un Centro di animazione missionaria (Cam);
  • nel vicariato di Tucupita tra gli indigeni Warao a Tucupita e
    Nabasanuka;
  • a Caracas nella la sede della delegazione, nel seminario propedeutico e di filosofia, e nella parrocchia di Carapita in periferia.

Oltre a soddisfare i bisogni materiali, i missionari si preoccupano di mantenere viva la speranza della gente con una presenza di consolazione spirituale.

I padri keniani, Charles Gachara Munyu e Silvano Ngugi Omuono, lavorano in tre parrocchie di Barlovento, nella diocesi di Guarenas, regione a 100 chilometri da Caracas, controllata da gruppi armati che operano impunemente. Per visitare le 36 piccole comunità del territorio, i missionari hanno bisogno di avvisare i capi di questi gruppi per non correre rischi. Anche la strada nazionale che dà accesso a Tapipa, Panaquire e El Clavo è controllata. «Spesso siamo fermati dai “malandros”, (come vengono chiamati i ragazzi) che minacciano e rubano gli oggetti di valore», afferma padre Silvano. Il missionario ha già avuto la pistola puntata alla testa quattro volte. In una di queste era acompagnato dal vescovo. «Ho pensato qualche volta di lasciare il paese, ma non sono venuto qui per la mia sicurezza. Credo che sia stato Dio a mandarmi, e così Egli mi proteggerà. Vedendo la situazione della gente e come apprezzano la nostra presenza, riprendo coraggio per continuare la mia missione».

Padre Charles Gachara Munyu

«Una volta assunta la missione dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito, con un cuore aperto alla gente, imparare dalla realtà per aiutare con quello che abbiamo. La nostra cultura è diversa, ma il contributo che diamo è quello di creare e formare le comunità di base che in Kenya sono forti».

Questa è la richiesta principale degli animatori, come fa notare il catechista di Panaquire, Frank Rondón: «Abbiamo bisogno di formare ministri della Parola e dell’Eucaristia, catechisti e altri leader che possano assumere il lavoro di animazione delle comunità e non dipendere, così, sempre dai padri».

Nella diocesi di Guarenas ci sono cinque parrocchie senza parroco, e i missionari della Consolata che già lavorano in tre parrocchie, stanno studiando la possibilità di assumerne una quarta a Caucagua, a 15 km da Tapipa.

Zone «calde e pericolose» attorno a Barlovento

La pastorale afro

A Barlovento la popolazione è afro americana. «Dopo oltre 30 anni di presenza, adesso possiamo concentrarci in modo più mirato sulla pastorale afro. È necessario creare consapevolezza che essere afrodiscendenti ha il suo valore che può essere integrato nell’esperienza della fede cristiana, con un impatto sulla società, la politica, l’educazione e la salute», afferma padre Charles, missionario con un master in Teologia Biblica. «Questo è un processo lento, ma dobbiamo stabilire alleanze con altre organizzazioni per ottenere i diritti. Per molti anni, la Chiesa non ha riconosciuto l’identità afro del popolo sostenendo che erano tutti venezuelani. La nostra presenza è un segno di speranza, ma dobbiamo ancora lavorare sulla resistenza», dice il padre, presente nel paese dal 2002.

I missionari non pensano solo ai sacramenti. «Non importa se celebriamo le messe o semplicemente facciamo una visita. Il fatto di andare a vedere la gente è sufficiente per dire che non sono soli. Le persone apprezzano molto l’amicizia», aggiunge padre Charles. Eduin Ruiz, uno dei coordinatori della pastorale afro, spiega che «l’obiettivo è riscattare l’identità e i valori della cultura negata nel corso della storia. Ciò richiede un lavoro di inculturazione del Vangelo». Padre Silvanus offre un piccolo esempio di forte potere simbolico: «La stessa campana suonata nel passato per avvertire della fuga di uno schiavo, oggi serve per invitare gli afro americani a partecipare alle celebrazioni».

La terra è ricca per coltivare il cacao, che sarebbe un potenziale economico per le famiglie, ma, purtroppo, il governo impone dei prezzi molto bassi rendendone impossibile il commercio. «La qualità dell’istruzione si sta deteriorando, molte scuole sono state chiuse e i giovani non ricevono una formazione professionale adeguata», lamenta Eduin Ruiz, che aggiunge: «In molte famiglie i bambini non possono contare sulla presenza del padre e finiscono per strada dove sono vittime di violenza, povertà e delinquenza. La nostra lotta è per la vita, contro la droga, l’alcolismo e l’insicurezza».

Periferia di Caracas dove c’è la parrocchia di Carapita.

Essere segni di Consolazione

In visita al Venezuela, padre Stefano Camerlengo, superiore generale, ha lasciato tre parole di incoraggiamento. «La Consolazione: che non è un’idea, una politica, ma Gesù Cristo il Salvatore; la Comunione: la comunità non è costituita solo dal padre, ma da tutti coloro che vivono e lavorano per i valori comuni; la Liberazione: come insiste il papa Francesco, essere Chiesa in uscita significa che non dobbiamo solo pregare tra noi, ma dobbiamo andare a cercare e includere gli altri nella proclamazione del Vangelo che è gioia e salvezza per tutti».

La gente ricorda con affetto tutti i missionari della Consolata che negli ultimi 30 anni hanno lavorato nella regione. La catechista Alejandrina Pimentel rammenta che «ognuno contribuisce con il suo carisma. Cerchiamo di capire tutti. Vado in chiesa per la mia fede e non per il prete», osserva. Pedro Vamonde vede l’importanza di continuare il lavoro: «La vicinanza ai missionari ci ha aiutato a cambiare. La Chiesa siamo noi e dobbiamo contribuire di più per sostenerla». I missionari della Consolata si sono stabiliti in Venezuela nel 1971 con il padre Giovanni Vespertini, nella diocesi di Trujillo. Con l’arrivo nel 1974 di padre Francesco Babbini e di altri, i missionari hanno esteso la loro presenza nell’arcidiocesi di Caracas. Anche le missionarie della Consolata hanno tre comunità nel paese, a Caracas, a Puerto Ayacucho e Tencua.

Jaime C. Patias, IMC,
 Consigliere Generale per l’America

assemblea parrocchiale a Carapita


Qualche cifra

Il 20 agosto 2018 è stato introdotto il nuovo «bolivar soberano» (BsS) dal valore di 100mila bolivares (Bs) vecchi.

1 $ = 61 BsS (mercato nero: 90)

Il 1 ottobre è stata lanciata la cryptovaluta «Petro» dal valore di 60 $, ufficialmente acquistabile dal 5 novembre 2018.

Prezzi di alcuni prodotti essenziali

prezzo ufficiale in BsS       in  nero

1 kg di carne              90           250
12 uova                     120           360
1 l di latte 49            120
1 kg pollo 78            180
1 kg di formaggio      80           300
1 l olio da cucina       36             80
1 kg di riso                 42             70
1 kg zucchero            32           120
1 kg farina polenta    20             30
1 kg farina bianca      54           150

1 l benzina regolare  0,70 (= 70mila Bs, prima costava 1 Bs)
1 l benzina premium                 0,90          (da 6 Bs)
1 l Diesel  0,50
Questi prezzi della benzina sono validi solo per chi ha il «carnet de la patria».

Salario minimo: da settembre 2018: 1.800 BsS (30 $ ca.)

Confronta con i prezzi pubblicati su MC giugno 2018, pag. 27

(Dati al 1/10/2018 da nostra fonte in loco)

Mariakoto, casa lungo uno dei rami del delta dell’Orinoco nel vicariato di Tucupita


Sostieneni il progetto degli Amici Missioni Consolata in favore degli indigeni Warao nel delta dell’Orinoco.

P. Juan Carlos Greco con parte della comunità di Janabasaida.